lunedì, ottobre 19, 2009
Il procuratore antimafia Grasso: «Il momento era terribile, bisognava cercare di fermare la deriva stragista». Di Pietro: «Parole gravissime. Faccia i nomi di chi ha gestito questa indecente mercificazione dello Stato».

La trattativa con la mafia nei primi anni ’90 c’è stata ed anzi Cosa Nostra aveva capito di poter ricattare lo Stato. A sostenerlo è il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, intervistato dal Tg 3. «Quando Riina dice a Brusca, come lui ci riferisce, che "si sono fatti sotto" vuol dire che è scattato il meccanismo di ricatto nei confronti dello Stato: la strage di Falcone ha funzionato in questo modo. L’accelerazione probabile della strage di Borsellino può allora essere servita a riattivare, ad accelerare la trattativa con i rappresentanti delle istituzioni», dice Grasso. Per il procuratore «il momento era terribile, bisognava cercare di fermare questa deriva stragista che era iniziata con la strage di Falcone: questi contatti dovevano servire a questo e ad avere degli interlocutori credibili. Il problema - continua - è di non riconoscere a Cosa nostra un ruolo tale da essere al livello di trattare con lo Stato, ma non c’è dubbio che questo primo contatto ha creato delle aspettative che poi ha creato ulteriori conseguenze». In ogni caso dopo l’arresto di don Vito Ciancimino e Riina «le stragi prendono un’altra strada, ma continuano. Io ritengo - conclude Grasso - che ci sia sempre un unico filo che collega le stragi iniziali, come l’omicidio Lima, a tutte le altre, tra cui quelle mancate dell’attentato all’Olimpico».

«LA TRATTATIVA HA SALVATO LA VITA A MOLTI MINISTRI» - L'intervista in serata al Tg3 ha fatto seguito a un'altra, uscita sulla Stampa, nella quale il procuratore nazionale antimafia sosteneva che la trattativa tra Stato e mafia «ha salvato la vita a molti ministri. Anche via D'Amelio -afferma Grasso- potrebbe essere stata fatta per "riscaldare" la trattativa. In principio pensavano di attaccare il potere politico e avevano in cantiere gli assassinii di Calogero Mannino, di Martelli, Andreotti, Vizzini e forse mi sfugge qualche altro nome. Cambiano obiettivo - dice il magistrato - probabilmente perché capiscono che non possono colpire chi dovrebbe esaudire le loro richieste. In questo senso si può dire che la trattativa abbia salvato la vita a molti politici». Grasso, cita le carte processuali e anche di un "papellino" comparso poco tempo prima del "papello": «Potrebbe essere stato consegnato ai carabinieri del Ros, al col. Mori che nega l'episodio, da uno strano collaboratore dei servizi che chiedeva l'abolizione dell'ergastolo per i capimafia Luciano Liggio, Giovanbattista Pullará, Pippo Calò, Giuseppe Giacomo Gambino e Bernardo Brusca. Anche quelle richieste ovviamente finirono nel nulla perchè irrealizzabili».

DI PIETRO: «ADESSO FACCIA I NOMI» - «Quelle di Grasso sono parole che non avremmo mai voluto ascoltare». E' di Pietro a reagire nel modo più critico alle due interviste del procuratore: «Deve fare i nomi di chi ha gestito questa indecente mercificazione dello Stato e della sua dignità». «Piero Grasso - continua Di Pietro - deve dire quali politici sono stati salvati e perché la mafia voleva ucciderli. Cosa avevano promesso i politici? Cosa hanno ottenuto? Chi sono i porta nome e porta interessi della mafia in Parlamento? Alcuni nomi li conosciamo: il primo sarebbe stato Giulio Andreotti, uomo di "esperienza" nei rapporti con la mafia, salvato dal reato di favoreggiamento per prescrizione; un altro è Marcello Dell'Utri, fondatore di Forza Italia, oggi in appello con 9 anni di condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa». «Vogliamo tutti i nomi -prosegue Di Pietro- l'intera lista, per poterli allontanare dalle istituzioni e processare, oltre che per i reati più ovvi, anche per alto tradimento della Patria. Si, di questo stiamo parlando e nessuno in uno Stato ha l'autorità per poter "vendere" i suoi cittadini alla criminalita. I politici coinvolti nella trattativa con la mafia -conclude Di Pietro- vadano a dare le loro indecenti spiegazioni ai familiari di Giovanni Falcone, della moglie, Francesca Morvillo, dei tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montanaro, a quelli di Borsellino, di Agostino Catalano, di Emanuela Loi, di Vincenzo Li Muli, di Walter Eddie Cosina, di Claudio Traina».

AGNESE BORSELLINO: «MIO MARITO TEMEVA DI ESSERE SPIATO» - «Stranamente negli ultimi giorni che precedettero via d'Amelio, mio marito mi faceva abbassare la serranda della stanza da letto, perché diceva che ci potevano osservare dal Castello Utveggio». È questo un passaggio dell'intervista rilasciata a La Storia Siamo Noi di Rai Educational, da Agnese Borsellino, la moglie del magistrato ucciso assieme agli agenti della scorta nella strage di via D'Amelio. L'intervista andrà in onda lunedì alle 23.30 su RaiDue. Il castello Utveggio si trova sul monte Pellegrino e domina dall'alto la città di Palermo; secondo alcuni esperti di mafia, tra cui l'ex consulente di diverse Procure Gioacchino Genchi, sarebbe stato un punto di osservazione da parte di apparati dei servizi segreti.

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