martedì, agosto 11, 2009
del nostro redattore Carlo Mafera

Benedetto XVI ha scritto due anni fa “Spe salvi” (salvati dalla Speranza), un’enciclica che voleva esaltare il ruolo di questa virtù teologale spesso misconosciuta e messa da parte a favore della più “gettonata” Fede. Eppure senza la Speranza, propedeutica alla Fede, non si può proprio andare avanti. La disperazione è infatti una brutta bestia. Ne sa qualcosa Giuda che ha disperato lui per primo della misericordia di Dio. E lo sanno tutti quelli che dopo di lui si sono disperati e non hanno creduto nell’aiuto di Dio per risolvere situazioni senza via di uscita, che tali non sarebbero state se messe di fronte alla Provvidenza divina.

E così, quante coppie si sono separate e divise perché non hanno coltivato la virtù della Speranza e poi quella della Fede (magari tante volte ascoltate e praticate in chiesa)? Ma quando non si alimenta un incontro personale con Gesù, bensì solo una superficiale liturgia culturale (forse compensativa del proprio stato di nevrosi), non si può veramente entrare in un rapporto intimo con Lui, né tantomeno in un dialogo “cuore a cuore” per affidarGli le nostre difficoltà. Ci induriamo in ragionamenti umani gretti e meschini pieni di giudizi e pregiudizi su noi stessi e sugli altri. Tagliamo corto e prendiamo decisioni così dure da fare impallidire quelle dei peggiori gerarchi nazisti. Diventiamo spietati con l’altro e con noi stessi, coltivando nella nostra solitudine la disperazione più profonda. Non sappiamo riconoscere più nessuna via di uscita. Il demonio si è impossessato di noi suggerendo i pensieri più tristi e sfiduciati che possano esistere. Questo è il panorama mentale di cui ognuno di noi fa esperienza quando è in preda alla disperazione. Un autore latino (Terenzio) diceva “homo sum, nihil alienum humanum puto”, e cioè: “sono un uomo e tutto ciò che è umano non mi è estraneo”. Allora posso comprendere la disperazione della donna, in certi casi di solitudine, quando lei ha il tremendo potere, conferitole dalla legge 194, di decidere della vita di un altro (il nascituro). E’ un potere di vita e di morte che, a mio avviso, è troppo grande in mano ad una persona sola, spesso non in grado di decidere serenamente perché disperata.

L’attuale legge 194, quella relativa all’interruzione di gravidanza, mi sembra troppo permissiva perché negli articoli 2 e 5, messi proprio perché ci sia un ripensamento, una dissuasione e poi un sostegno nei confronti della donna, di fatto sono poi puntualmente disattesi e regolarmente assenti nel percorso terapeutico previsto dalla legge. Tutte le buone intenzioni del legislatore sono sempre andate a “farsi benedire”: estrapolando i principi animatori della 194, si vede benissimo come siano tutti falliti. Eccone alcuni: “Lo Stato tutela la vita umana sin dal suo inizio”; “L’interruzione volontaria della gravidanza non deve essere il mezzo per il controllo delle nascite”; e poi che l’aborto è ammesso solo “quando la gravidanza mette in serio pericolo la salute fisica o psichica della madre”, e ancora “che a tutte le donne che desiderano abortire dovrebbero essere garantite l’assistenza e gli aiuti opportuni per far loro superare le difficoltà che le inducono ad interrompere la loro maternità.” Tutti questi principi sono stati disattesi e chi dichiara che questa legge è buona, lo dice soltanto per non creare tensioni politiche, per non inimicarsi il popolo delle donne, per non rimettere in discussione dei principi validi solo sulla carta, la cui mancata applicazione rende la legge sostanzialmente permissiva. Sia l’on. Livia Turco che l’on. Rosy Bindi non ritengono necessaria una ridiscussione della legge 194 mentre ci si dovrebbe chiedere il motivo per il quale solo l’8% delle donne si rivolge a quei consultori istituiti proprio per prevenire l’aborto. La verità e che la legge 194 non ha diminuito gli aborti, come da più parti si afferma, ma li ha aumentati rispetto a quelli possibili prima del 1978, cioè quelli clandestini che erano circa 25-30mila ogni anno. Si, è vero che sono diminuiti rispetto ai primi anni dell’istituzione della legge, quando erano 240mila (e ora sono soltanto 130mila!). Ma tale diminuzione non dipende dalla legge che rende gli aborti, in tutti i casi, liberi, facili e gratuitamente rapidi.

Piuttosto la loro diminuzione dipende da altri fattori: per esempio dal maggior ricorso ai contraccettivi e dall’uso sempre più diffuso della “pillola del giorno dopo” (ne sono state vendute nel 2007 circa 350mila confezioni), che è stata l’antesignana della RU486 in quanto è anch’essa abortiva se la donna avesse prima concepito. Così anche incide nella diminuzione degli aborti il minor numero di matrimoni e l’età più avanzata nella quale si pensa di avere un figlio. Certo rimane singolare il fatto che tutti e 130mila aborti siano terapeutici e giustificati dal serio pericolo per la salute della madre. Infatti, senza questa motivazione, la legge 194 non li riterrebbe leciti. Gli esperti dicono che, statisticamente, prima dell’istituzione della legge, erano una percentuale bassissima sul totale delle nascite. Per esempio il prof. De Biase, ginecologo dell’Università di Genova, affermava che nel 1972 dovette praticare 7 aborti terapeutici su 16261. Quindi lo 0.4 per mille. Ancora oggi le ragioni veramente mediche che inducono a dover abortire rimangono una percentuale infinitesima rispetto alle reali motivazioni che sono frutto di una cultura di morte. Infatti si tende a far passare per terapeutico ogni aborto, specie quelli dopo il terzo mese di gravidanza, proprio perché dopo questo limite di tempo, si può abortire solo se la gravidanza “comporta un grave pericolo per la vita della madre” (peraltro rarissimo) o quando rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro “determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (pericolo che viene sempre dichiarato anche per malformazioni minime se la madre non vuole la sua creatura). Inoltre si può dire che 127mila aborti “terapeutici” sono un numero elevatissimo anche rispetto ad altri paesi europei dove l’interruzione della gravidanza è libera. Noi italiani siamo al 9,3 per mille di tasso di abortività mentre in Spagna si è al 9 per mille, in Olanda al 8,7 , in Germania al 7,4 e in Svizzera al 7 per mille. Eppure la presenza della Cattedra di Pietro a Roma sembra non incidere più di tanto in questa “strage degli Innocenti”. La laicità dello Stato in questo caso sembra un totem, un idolo su cui sacrificare ben 127mila vite umane e il Magistero della Chiesa nulla ha potuto fare per evitare questo misfatto. Oltre tutto, ogni volta che i vescovi si pronunciano su questioni che riguardano la tutela della vita umana, immancabilmente vengono tacitati e tacciati dell’orrendo delitto di ingerenza!

Ora, con l’introduzione della pillola abortiva RU486, si è data un’ulteriore facilitazione e permissività all’aborto “terapeutico” senza che nessuno lo impedisca o lo voglia impedire. Neppure il Presidente della Camera, l’on. Gianfranco Fini, si dichiara favorevole al dibattito parlamentare. Così si è espresso recentemente: “E’ originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull’efficacia di un farmaco”. E ancora ribadisce : “ Ognuno ha la sua opinione e io ho la mia, ma non credo ci sia motivo per un dibattito politico”. E Fini continua “ Ci sono le linee guida del governo. C’è l’Agenzia del Farmaco che si è pronunciata. Non vedo cosa c’entri il Parlamento”. Si allinea anche Fabrizio Cicchitto: “Dopo il pronunciamento dell’Agenzia nazionale del farmaco ormai il problema reale è quello della regolamentazione della RU486 che è materia che riguarda il ministero che ha competenza sulla sanità.” Poi Fini si lamenta dell’esautorazione del Parlamento da parte dell’esecutivo (per esempio con l’uso della decretazione di urgenza) ma evidentemente solo in certe materie. Quando si tratta del delicatissimo tema della vita umana, non vuole contrasti politici all’interno della maggioranza e dice che è compito del governo regolamentare un farmaco. Ma questo non è un farmaco qualsiasi. Questo è stato definito “Kill Pill” la pillola che uccide. Mi sembra che i vertici della classe politica italiana talvolta dimostrano di ispirarsi al comportamento di Erode, quando mettono in atto decisioni commissive e, altre volte si ispirano al comportamento di Pilato, quando omettono di fare ciò che dovrebbero fare. Fortunatamente c’è qualcuno nella maggioranza come il senatore Gaetano Quagliarello, vice-presidente dei senatori del Pdl che è di opinione completamente opposta. Egli afferma infatti : “ Non si può impedire che il Parlamento discuta sulla compatibilità tra la nuova tecnica e la legge 194 che, non va dimenticato, è una legge dello Stato in vigore.” Così, dello stesso parere è il sottosegretario all’Interno (An) Alfredo Mantovano. “La RU486 non è un farmaco ma un composto chimico che determina con certezza la morte del concepito e, in qualche caso, danni alla madre.” E così continua Mantovano “il concepito, come previsto dalla legge 40, qualche diritto lo ha , così come è sancito il diritto alla salute della donna.” Così “il Parlamento ha più di una ragione per occuparsi della questione”.

Desidero concludere con degli auspici. Smettiamola di nasconderci dietro un dito per sostenere la cultura della morte. Dobbiamo deciderci. Il Parlamento legiferi secondo i principi di difesa e di tutela della vita. Non dia “licenze di uccidere” a nessuno, né tantomeno con una semplice pillola. Coltiviamo la virtù teologale della Speranza modificando questa legge iniqua. Si renda obbligatorio il ricorso al consultorio, la cui decisione deve essere motivata dai più rigidi criteri scientifici. Si dia sostegno morale ed economico alla donna e alla coppia. Non la si lasci sola e non le si diano facilmente strumenti di morte. Non si diventi novelli Erode con atti commissivi e omissivi legislativi in questa delicata materia. E poi, i teologi come Vito Mancuso la smettano di definire “esserino” l’embrione per giustificare la donna a commettere un delitto, dicendo anche che l’aborto è una semplice “mortificazione di una parte di sé”. Diamo un nome alle cose. Non ci nascondiamo dietro gli eufemismi per uccidere o lasciare uccidere. Dobbiamo essere tutti d’accordo che il più debole (che la legge deve tutelare) è l’embrione, essere umano a tutti gli effetti e che non ha voce per gridare tutto il suo diritto a vivere. La verità è che abbiamo paura dell’altro, del diverso da noi, (in questo caso l’embrione), di tutto ciò che ci da fastidio. (Lo sa tanto bene Nostro Signore Gesù Cristo che nacque in una stalla e morì in croce per essere stato rifiutato). E in questi giorni di vacanza per esempio, dobbiamo andare a divertirci e allora abbandoniamo gli animali, parcheggiamo gli anziani in una clinica. Si, diciamocelo con franchezza. Abbiamo fastidio e paura dell’altro. Non c’è più spazio per l’altro e per il diverso. Ci toglie la libertà e la possibilità di esprimere tutto il nostro meschino egoismo.

Mentre scrivo leggo che l’Avvenire con Dino Boffo, interpretando la posizione della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, dichiara: “Di cosa si occupa il Parlamento? Domanda persino banale: leggi, dibattiti, grandi questioni all’ordine del giorno nel Paese. Vi siedono i nostri rappresentanti, ci si aspetta che si prendano a cuore quanto ci riguarda più da vicino. E l’aborto? No, quello no, escluso. Anzi, è originale pretendere che le Camere possano discuterne. E’ la sorprendente battuta con la quale, con fare liquidatorio, l’onorevole Fini ha archiviato l’ipotesi di un confronto parlamentare sulla RU486”. Ma conclude sarcasticamente Boffo: “Se il Parlamento va tenuto fuori da questioni che attengono alla salute dei cittadini, di cosa si devono interessare allora i deputati?”. Concludo: l’alterità, la diversità non è un peso da accollarsi ma è una grande risorsa da scoprire e da riscoprire tutti i giorni, come ha detto recentemente anche il nostro amatissimo Papa Benedetto XVI.

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