lunedì, luglio 13, 2009

di Fabio Gioffrè

E’ passato qualche mese da quando il famoso scrittore Roberto Saviano fu intervistato da Fabio Fazio in una nota trasmissione televisiva. Mi è capitato di rivedere in questi giorni il video del suo intervento, che definirei un vero e proprio documento-testimonianza utile a ‘scuotere’ le coscienze. Chi vi scrive proviene dalla stessa terra di Saviano, impavido scrittore e giornalista, emblema dei napoletani e degli italiani ‘assetati’ di giustizia e che troppo spesso lo Stato non è in grado di garantire. Napoli, una città bellissima, ricca di storia e di arte, che però vive sotto il governo di due Stati: il secondo è quello della Camorra, che con i suoi tentacoli si infiltra ed inquina ogni anfratto di legalità. Saviano racconta la storia di un "cancro" senza fine, che logora, consuma, avvelena Napoli e le città partenopee.

Non è facile per un giornalista del sud ed in particolare di Napoli trattare l'argomento 'camorra', perché il coraggio di mettersi in trincea è spesso scardinato dall'istinto di protezione verso i propri famigliari ed amici. Incutere la ‘paura’ delle ritorsioni è il metodo più usato dalla camorra per ‘piegare’ le persone, costringerle al silenzio e spesso usarle. Chi finisce in queste maglie e tenta di ribellarsi e denunciare i soprusi spesso finisce sotto terra, ad allungare l'elenco di tutte le altre vittime, centinaia, ammazzate dalla camorra.

Saviano ha deciso di prendere parte ad una guerra, così come la definisce lui stesso. Raccontare e denunciare i fatti di camorra vuol dire mettersi in prima linea nella lotta tra Stato e camorristi. Chi decide di farlo non mette in gioco solo se stesso, trascina con sé nel 'pericolo di morte' tutte le persone che gli sono vicine. La camorra non si ferma davanti a niente. Questo "cancro" è infiltrato nei più impensati aspetti della vita della città. A raccontarle certe cose, sembra che Napoli sia una città di un altro pianeta. Ricordo, e quasi mi vergogno a dirlo, che la camorra chiese un "contributo" anche per consentire lo svolgimento tranquillo del funerale di una persona qualsiasi come mio nonno. I camorristi non lasciano in pace nemmeno i morti. Ero bambino, e quando sentii questa storia rimasi un po’ stupito, dico “un po’” perché di storie come queste ne sentivo tutti i giorni. A Napoli si pagano tangenti per le cose più impensate, anche per riavere un motorino rubato. Già, perché se ti rubano uno scooter o un'automobile non è detto che siano realmente persi. La camorra infatti negli ultimi anni si è evoluta, è ben organizzata e ti umilia due volte, lasciandoti l'opzione di poter riavere, se paghi, ciò che è tuo.

Come dare torto a Saviano se usa la penna per denunciare l’orrore che deturpa la vita dei napoletani? Quando penso a lui mi viene in mente un film di qualche anno fa, “Dead man walking”, uomo morto che cammina. E’ la frase che viene usata nelle carceri americane prima dell’esecuzione per definire un condannato a morte che, appunto, compie gli ultimi passi prima di morire. La camorra vuole eliminare Saviano, i sicari camorristi ci hanno già provato in più di un’occasione, forse solo per fargli sapere che lo hanno già condannato a morte. Non credo però che faranno l’errore - costato caro ai mafiosi - commesso dalla mafia con Falcone e Borsellino. Troppo sgomento susciterebbe adesso la morte di Saviano e lo Stato reagirebbe con troppo fervore. La camorra deve mantenere certi equilibri, fatti anche di silenzi ed omissioni. 'Loro' aspetteranno che i riflettori puntati su Gomorra siano spenti e poi tenteranno di fargliela pagare. Non sarebbe il primo giovane giornalista ad essere ammazzato dalla camorra. Era il 1985, sono passati tanti anni da quando la camorra uccise il 26enne Giancarlo Siani, giornalista che ebbe il coraggio di denunciare sulle pagine del Mattino il “triangolo delle bermuda” che si creò in quegli anni tra i vertici di camorra, industria e politica. Siani credeva di poter cambiare le cose scrivendo bene i suoi articoli, raccontando una verità che in pochi sapevano e avevano voglia di ascoltare.

Ma non tutti i giornalisti sono eroi come Saviano o Siani, anzi capita anche che su certi quotidiani locali il linguaggio giornalistico venga usato per esaltare, o meglio, per lasciare intendere che i camorristi non sono poi così cattivi. Lo stesso Saviano, in più di un’occasione, ha mostrato titoli di quotidiani locali in cui certi personaggi vengono subdolamente mitizzati. La camorra non si ferma davanti a niente, divora cose e persone, e non risparmia nemmeno i giovani. Anzi è proprio tra i ragazzi che trova i nuovi “soldati”. Giovani coscienze deturpate e comprate attraverso regali affascinanti, come moto e scooter, in cambio di spaccio e scippi. Questa è la manovalanza della camorra; un generazione bruciata di ragazzi che vivono nelle periferie di Napoli. Ma non tutto è perduto; ci sono persone coraggiose che lottano per strappare dalle braccia della criminalità i ragazzi. Questa speranza di recupero e di rinascita cresce e si concretizza grazie a sacerdoti come Don Aniello Manganiello che il 20 ottobre del 2008 guidò una troupe delle "Iene", dapprima al mercato. Denunciando a voce alta e indicando con la mano: «Qui tutti sono costretti a pagare il pizzo». Poi mostrò una piazza di spaccio. «Qui si vende droga». Non si è affatto pentito Don Aniello: «Un sacerdote deve cogliere ogni opportunità per sollecitare l'attenzione di chi governa sui mali della nostra società. Alcolismo, degrado, povertà. E la droga è il nemico terribile dei nostri ragazzi. Come si fa a non denunciare chi sfrutta i "visitors", i poveracci usati per testare la droga tagliata?». Dopo che il servizio venne mandato in onda Don Aniello fu pesantemente minacciato di morte.

Poi ci sono sacerdoti come don Beppe Diana, diventato suo malgrado famoso per essere stato ucciso dalla camorra. Don Beppe era parroco di Casal di Principe e amava festeggiare il suo onomastico. Se non fosse che, il 19 marzo di 15 anni fa, un sicario entrò in sagrestia pochi minuti prima della messa, scaricando sul sacerdote diversi colpi. Don Peppe Diana era impegnato nel contrasto alla Camorra, amava i ragazzi, le partite del Napoli e la Ferrari. Questi e molti altri sacerdoti e volontari sono impegnati a Napoli per salvare i giovani dando loro dei valori e la speranza di un futuro “pulito”.

Dice Saviano a proposito della sua più grande paura: «La mia vera paura è quella di restare in questa solitudine senza fine, e sono grato a chi in questi ultimi anni è riuscito ad entrare nella mia vita non facendomi sentire in colpa per quello che sto subendo». Come Falcone e come Borsellino, Saviano è un uomo solo e se le 'luci' su di lui si spegneranno la camorra non avrà pietà.

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