mercoledì, maggio 20, 2009
«Rifiutano di vedere la trasformazione della Chiesa nei confronti degli ebrei». L’esperto di media orientali e l’ex 007 contro i religiosi e gli osservatori israeliani che si accaniscono sul Papa

Tempi.it - Una visita attesa, preparata con cura eppure non sempre compresa. «Il pubblico israeliano è stato diffidente, soprattutto per una mancanza di conoscenza. Alcuni rabbini hanno persino deciso di boicottare il Papa, dicendo che la sua visita è in contraddizione con l’ebraismo, non capendo l’importanza di questo storico viaggio». Per Yigal Carmon, consigliere dell’ex premier Yitzhak Rabin e oggi presidente del Middle East Media Research Institute, seguire il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa ha significato osservare con particolare attenzione l’atteggiamento dei media dello Stato ebraico, tutti pronti a sorprendere i “passi falsi” del Pontefice, in modo da poterlo accusare di avere perso un’opportunità storica nelle relazioni con il popolo ebraico. Carmon non nasconde il suo disappunto per «le parole numerose e ripetitive spese sul presunto passato del Papa nella gioventù hitleriana, le critiche per il ripristino della Messa tridentina e della preghiera “per la salvezza degli ebrei” del Venerdì santo, le battute sul negazionismo del vescovo lefebvriano Williamson».
Vecchie cicatrici che tornano a far male e recenti ferite che stentano a rimarginarsi. È sempre stato questo il filo conduttore dei rapporti tra Chiesa cattolica e Israele. Per Segev Shmulik, colonnello (ora riservista) dell’intelligence israeliana, il riavvicinamento tra lo Stato ebraico e la Chiesa è una possibilità che intellettuali e governo sarebbero probabilmente pronti a cogliere. «Il problema, però, è che le questioni religiose sono sotto il monopolio del rabbinato, che appare essere un interlocutore inadeguato per affrontare la questione. Il capo rabbino Amar, per esempio, è affiliato alla coalizione sefardita del partito religioso Shas, e i ministri dello Shas hanno deciso di boicottare la visita del Papa, non si sono presentati alla cerimonia di benvenuto al Pontefice presso l’aeroporto, dicendo che Benedetto XVI non meritava tali onori e che gli eventi organizzati nel paese per l’occasione erano inappropriati. Lo stesso Amar e il capo rabbino ashkenazita hanno deciso di non presentarsi alla cerimonia. È ovvio che se questa è la posizione tenuta dal rabbinato, la tanto attesa riconciliazione (seppur voluta dalla Chiesa cattolica) sembra essere ancora lontana».
Inevitabile che pesi anche la posizione politica del Vaticano riguardo alla risoluzione del conflitto arabo-israeliano, con Benedetto XVI che è tornato a sottolineare l’assoluta necessità di uno Stato palestinese in un momento in cui il processo di pace è insabbiato. «La posizione del pontefice – commenta Shmulik – coincide perfettamente con quella dell’Occidente. Non è una sorpresa per il governo israeliano. Ad ogni modo, l’attuale esecutivo ha varie anime al suo interno, e sicuramente i laburisti sono i primi ad appoggiare il proseguimento del processo di pace. Per quanto riguarda invece il primo ministro Benjamin Netanyahu – che nei giorni precedenti l’incontro con Obama ha dichiarato impossibile istituire adesso uno Stato palestinese – sicuramente sente dopo le parole del Pontefice un’ulteriore pressione».
Al fondo resta sempre aperta la questione religiosa nei rapporti tra Chiesa e giudaismo, la cui evoluzione nel corso del tempo i media israeliani non sembrano minimanente disposti a cogliere. «Purtroppo i giornali israeliani – osserva Carmon – non stanno aiutando questa riconciliazione. Anzi, sembrano voler mettere nuovi ostacoli, facendo un’informazione che allontana dal dialogo tra le due religioni. Restano indifferenti davanti all’evidente trasformazione della Chiesa nei confronti degli ebrei». Un esempio di questa resistenza alla novità si è avuto con il discorso di Benedetto XVI al museo dell’Olocausto, che è stato duramente attaccato in Israele. «Alcuni editorialisti hanno scritto che il Pontefice è stato freddo e calcolatore, altri hanno persino insinuato che il suo discorso mirasse a giustificare il crimine dell’Olocausto, dichiarando la propria delusione per la mancata richiesta di perdono per la Shoah, che sarebbe stata significativa se fatta da un pontefice tedesco… In realtà il Papa è stato puntuale nel condannare un problema oggi urgente per Israele, ovvero l’antisemitismo. Ha detto chiaramente che l’antisemitismo è totalmente inaccettabile e che “sfortunatamente continua a sollevare la sua ripugnante testa”. Ha preso l’impegno di combattere questo fenomeno».

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