lunedì, aprile 27, 2009
di Monica Cardarelli

La lingua di un paese rappresenta la sua cultura. La ricchezza di termini e le loro sfumature rispecchiano il modo di pensare della società in cui viviamo. Oltre a tutto ciò, però, le parole hanno un loro profondo significato che, spesso, non viene valutato, venendo così utilizzate con maggiore leggerezza, alleggerite cioè del loro significato iniziale per cui sono nate. Quante volte nel nostro quotidiano ci troviamo a dire un ‘Grazie’ oppure ‘Scusa’ fino ad arrivare ad una parola così impegnativa come ‘Perdono’ solo per formalità, senza soffermarci al pensiero di cosa significhi veramente ringraziare e che cosa metta in funzione dentro di noi. Ringraziare è il modo per apprezzare un dono e per dimostrarlo. È, dunque, un’azione che ci mette in relazione con l’altro, è una risposta a qualcosa che ci è stato donato, una reazione. Tutto ciò mette in movimento noi e l’altro, crea empatia, risonanza. L’altro ci dona qualcosa che ‘esce’ dal suo ‘sé’ e giunge fino a noi che recepiamo questo ‘qualcosa’ come un dono, apprezzandone il valore e il nostro ‘sé’ reagisce rispondendo con un ‘Grazie’.
Di conseguenza, per poter dire appieno il nostro ‘Grazie’ dovremmo veramente essere disponibili all’incontro con l’altro, a guardare e ascoltare l’altro, a perdere qualcosa di noi per far spazio a quel qualcosa che l’altro ci sta donando.
Essere disponibili a ricevere, ad arricchirsi. Non sempre è facile ricevere, accogliere. A volte è più semplice donare. Così come non è facile farsi aiutare quanto piuttosto aiutare gli altri.
A mio avviso ciò è dovuto, in parte, al fatto che oggi si è troppo concentrati alla ricerca di un equilibrio interiore, di una stabilità personale, di una stima e fiducia in sé stessi (indispensabili) e siamo meno inclini a perdere tutto questo e metterci in discussione, o meglio, farci mettere in discussione dagli altri.
Perché accettare l’aiuto dell’altro significa prima di tutto ammettere a sé stessi di averne bisogno, demolendo quindi l’immagine di sicurezza e autosufficienza che abbiamo creato di noi stessi ai nostri occhi e a quelli degli altri.
Poi significa essere disponibili ad accettare l’aiuto dell’altro, qualunque esso sia, anche se questo aiuto fosse espresso in una forma che noi pensiamo non essere consona alle nostre necessità.
Questa accettazione presuppone però una disponibilità al cambiamento. Perché quel ‘qualcosa’ che l’altro ci dona inevitabilmente ci cambia.
A ben guardare si tratta solo e semplicemente di un gioco di equilibri in cui a giocare si è sempre in due. Non si sta parlando di equilibrio personale (quello deve esserci come punto di partenza), ma di relazione con un altro diverso da me.
Non un’altalena in cui posso giocare da solo, ma un ‘bilico’ in cui si è in due a mantenere l’equilibrio e a turno, si sale e si scende.
Così, dire un ‘Grazie’ riacquista il suo senso e significato originario.

Infatti, come dice il protagonista di “Grazie” di Daniel Pennac, alle prese con i ringraziamenti ad una cerimonia di premiazione: “Non è possibile immaginare un mondo in cui nessuno ringrazierebbe mai nessun altro, tranne che per le porte! Un mondo in cui si farebbero solo regali aziendali, dove il grazie sarebbe plausibile solo se messo in scena! E verrebbe trasmesso solo nelle ‘condizioni della diretta’!...un mondo così simile al nostro non è immaginabile! (…) Io sono venuto qui per…sono venuto in cerca di…qualcuno…è stato qualcuno ad attirarmi qui, la promessa di un incontro che mi ha fatto salire su questo…”.
La relazione umana, l’incontro. Se davvero riesco ad ascoltare, ad essere vigile, a percepire l’altro posso accorgermi se il mio rapportarmi a lui provoca o meno dispiacere, sofferenza o una qualunque sensazione negativa che meriti da parte mia l’uso di una parola come ‘Scusa’ o ‘Mi dispiace’.
È sempre necessaria una relazione ed una vera empatia, una conoscenza. Dispiacersi di qualcosa presuppone una consapevolezza del ‘fastidio’ arrecato.
Nel ‘Mi dispiace’ si percepisce chiaramente che l’azione di essere dispiaciuti parte e si sviluppa nel soggetto che parla per giungere e interessare altri, i soggetti dello ‘Scusa’.
È interessante notare come i verbi e le parole citati fin qui (ringraziare, scusa, dispiacersi…) presuppongano un’emozione e questa parte e conduce ad un movimento interiore e ad un movimento verso l’altro.
Dalla parte dell’altro, dopo le ‘scuse’, si potrebbe arrivare a ‘Perdonare’, altro termine estremamente impegnativo.
La parola ‘Perdono’ risulta un composto di ‘PER – DONO’. Presuppone, quindi, che colui che ha ricevuto un’offesa reagisca e reazioni a questo rapporto umano con un ‘dono’.
Il perdono, proprio perché è un ‘dono’ lo può concedere solo colui che deve perdonare, non lo si può chiedere come regalo all’altro.
Non si può chiedere un dono all’altro come scrive Tiziano Ferro nella sua canzone ‘Perdono’: “infatti chiedo perdono” quanto invece, come si legge in un altro suo testo, la canzone ‘Alla mia età’: “Perché Dio mi ha suggerito che ti ho perdonato e ciò che dice Lui, l’ho ascoltato”.
Il perdono è un regalo estremamente faticoso da regalare ma nel momento in cui lo si fa, ci si sente improvvisamente alleggeriti di un gran fardello che pesava fino ad allora.
A questo ‘dono’ tanto desiderato, a questo punto si potrebbe rispondere con un sincero ‘Grazie!’ e ricominciare il delicato ma attraente gioco della relazione umana.


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