domenica, aprile 26, 2009
Seicento indigeni Emberá sono stati costretti ad abbandonare i loro villaggi situati nel cuore del Chocó, nordovest della Colombia, a causa dei violenti scontri tra la guerriglia, i paramilitari e l'esercito. La denuncia arriva dalla Corce rossa internazionale.

PeaceReporter - Le comunità desplazadas sono state costrette a vagare nella selva per giorni, in attesa che gli scontri a fuoco si placassero. Adesso, secondo Caracol Radio, sono riusciti a rifugiarsi nel centro urbano di Pizarro e in un villaggio agricolo dei dintorni. A fornire loro gli alimenti base e le cure necessarie supplendo all'emergenza sono gli uomini della Cruz Roja, aiuti che non potranno durare all'infinito. "Il Comitato internazionale della Croce rossa è preoccupato per la sorte della popolazione civile di questa zona, che da molte settimane sopporta un aggravarsi delle conseguenze del conflitto armato. La maggioranza delle persone colpite da questa situazione è formata da donne e bambini", conclude il comunicato dell'organizzazione medica. La delegata incaricata della zona, Silvia Padrón, ha cercato di sottolineare lo stato d'angoscia in cui si trovano queste persone nel sapere di familiari e vicini sperduti nella selva, tra scontri a fuoco e attacchi.

La denuncia di Msf. Uno sfollamento, questo degli indigeni, che va a sommarsi a quelli avvenuti nelle ultime settimane in molte altre zone del Chocó. All'inizio di marzo, Medici senza frontiere ha denunciato un escalation di violenze tra paramilitari e guerriglieri dell'Esercito di Liberazione nazionale (Eln) che ha costretto famiglie intere a lasciare i loro villaggi. Si tratta di circa ottocento persone, che si sono rintanate a Catru, un piccolo villaggio di 1200 anime. Ad attendere a questa ennesima emergenza ci ha pensato questa volta Msf: "La comunità locale ha mostrato grande solidarietà nell'accogliere la gente desplazada nelle loro case. Al momento ci sono dalle due alle quattro famiglie in ogni casa, e si tratta di casupole che vanno strette anche a un singolo nucleo familiare", ha spiegato Oscar Bernal, coordinatore per la Colombia di Msf. "Il sovraffollamento fa aumentare il rischio di diffusione di malattie infettive".

Ogni giorno Medici senza frontiere procura un team di settanta fra medici e psicologi. "I principali problemi di salute sono dati dalla malaria, poi c'è la tubercolosi e la malnutrizione dei bambini", spiega Bernal. Poi si contano gravidanze a rischio, polmonite e tubercolosi extra polmonare e per raggiungere il primo ospedale è necessario percorrere 4 ore di barca e molte altre via terra. Ma ciò che sta accadendo adesso in Chocó non è certo un'emergenza nuova, come non lo è per molte altre zone della Colombia, martoriate da un conflitto ultraquarantennale. Il numero di desplazados colombiani, infatti, fanno del paese sudamericano il secondo al mondo dopo il Sudan per numero di sfollati interni. Le cifre ufficiose, date da Ong, parlano di circa 4 milioni di desplazados contro l'1.9 milioni dichiarati dal governo. A questi si aggiungono altre cifre della crisi umanitaria: oltre alle vittime, che si aggirano oltre i 300mila - ma che sono difficili da stimare per la natura stessa della guerra in Colombia - si contano oltre mille persone l'anno ferite da mine antiuomo, centinaia di rapiti ogni anni a scopo di riscatto dai vari gruppi armati (486 nel 2007) e da bande di criminali comuni, e il dieci percento della superficie territoriale coltivata a coca (dato delle Nazioni Unite del 2007).

Accordo di pace. Forse. Intanto, il presidente della Repubblica, nemico giurato delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia e da sempre paladino delle prove di forza in nome di una guerra senza esclusione di colpi, dà l'impressione di rendersi conto di quanto sia lontana la tanto sbandierata vittoria sul campo. E guarda a un accordo di pace con le Farc, mentre quello in atto con le Eln langue da anni. In cambio, le Farc dovranno rispettare, però, un cessate il fuoco a partire da questa settimana, la Semana Santa, quale dimostrazione di buona fede verso dei negoziati che la guerriglia va dicendo di volere da anni. Si tratta del secondo invito ad accordi di pace in 24 ore. Un atteggiamento quello tenuto da Alvaro Uribe nel fine settimana, che ha colto di sorpresa molti settori politici, visto che solo una settimana fa aveva rigettato ogni proposta di dialogo lanciata dalle Farc. Già arrivata la risposta delle Farc, che si sono dette disponibili a realizzare lo scambio di prigionieri che viene rimandato da anni, ma per la prima volta dimostrandosi meno inflessibili sull'esigenza di una zona smilitarizzata nel sudest del paese, condizione sine qua non delle proposte passate. Ventidue, fra militari e poliziotti, contro 500 guerriglieri prigionieri nelle carceri di Stato. Questo quanto chiesto dalle Farc. A Uribe l'ardua risposta.

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