domenica, marzo 29, 2009
Agenzia Misna - Si chiamano Ahmed, Muhammad, Ali, vengono dalla Tunisia e dal Marocco, hanno trascorso settimane, a volte mesi in Libia, prima di sfidare le onde del Mediterraneo per arrivare in Italia. A Lampedusa nel 2008 sono sbarcati 32.600 migranti, altri 642 non ce l’hanno fatta, sono morti annegati, assiderati, ustionati; ma i morti potrebbero essere molti di più. Mentre marocchini e tunisini rappresentano la grande maggioranza delle persone trattenute nel centro di identificazione ed espulsione (Cie) di contrada Imbriacola, somali, eritrei e ivoriani hanno spesso ottenuto, al termine del loro lungo viaggio, la possibilità di chiedere lo status si richiedente asilo. Al Cie, entrando con una delegazione della Caritas in via straordinaria autorizzata a presentarsi con qualche giornalista al seguito, la realtà vista è stata quella di centro di detenzione con condizioni di vita scadenti nonostante l’impegno degli operatori dell’ente gestore. E la voce dei migranti, prima con timore poi con maggiore vigore è stata solo una: “Libertà, libertà” ripetuta più volte e in più lingue. “Un’aspirazione legittima – ha detto il vicedirettore di Caritas Italiana Francesco Marsico – che chi lavora al Cie né questo paese possono garantire a causa delle legislazione vigente. Occorrono valutazioni serie sul sistema applicato perché in futuro accoglienza, rispetto dei diritti umani e legalità procedano di pari passo”.


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