mercoledì, maggio 21, 2008

Agenzia Misna - A distanza di oltre 12 ore dalla scomparsa, sono ancora confuse le circostanze del sequestro di tre operatori umanitari della ong Cins (Cooperazione Italiana nord-sud), due italiani e un somalo, rapiti alle 6 e 30 di questa mattina ora locale (le 4 e 30 in Italia) da uomini armati nella provincia della Bassa Shabelle a sud di Mogadiscio. Secondo le prime ricostruzioni, un gruppo armato sarebbe penetrato nella sede del Cins a Awdhegle, 70 chilometri a sud della capitale, e avrebbe bendato e portato via Iolanda Occhipinti, Giuliano Paganini e Abderahman Yusuf Arale, rubando anche alcuni computer. Poche ore dopo il sequestro, fonti ben informate della MISNA avevano avanzato l’ipotesi che “a rapire i tre operatori umanitari sarebbe stato un gruppo indipendente” ovvero non legato ad alcuno degli schieramenti politici protagonisti del devastante conflitto che da quasi due anni è in corso in Somalia. “La zona di Awdhegle in cui è avvenuto il sequestro – precisano - situata a metà strada tra Afgoye (il villaggio un ventina di chilometri a sud di Mogadiscio dove si trova gran parte delle centinaia di migliaia di sfollati della capitale) e Merka, è un’area normalmente tranquilla, dove non c’è la predominanza di nessun clan particolare e rimasta ai margini delle violenze che sconvolgono il paese”.
I tre cooperanti lavoravano a un progetto di costruzione di impianti di irrigazione nella provincia della Bassa Shabelle, una delle zone della Somalia maggiormente interessata da gravi e cicliche siccità. Nelle ore successive varie fonti contattate dalla MISNA in zone e ambienti differenti della Somalia hanno continuato a privilegiare l’ipotesi un sequestro ‘tradizionale’ somalo, destinato cioè a concludersi in tempi brevi dietro pagamento di un riscatto. In circolazione, però, ci sono anche voci che puntano il dito contro gli ‘shebab’ (letteralmente i ‘giovani’) miliziani sorti nella guerra civile seguita alla caduta di Siad Barre (1991) e divenuti negli ultimi anni il braccio armato dell’ala più radicale delle deposte Corti islamiche, al potere a Mogadiscio e in gran parte del sud del paese tra il giugno e il dicembre 2006. “La notizia del sequestro ha suscitato scalpore nell’opinione pubblica somala perché gli italiani da noi sono di casa” dice Ali, contattato dalla MISNA a Mogadiscio. “Gli Shebab - aggiunge - attaccano, razziano, uccidono, ma non rapiscono per chiedere riscatti. Hanno altri metodi per finanziare la loro lotta”. Opinioni di gente comune, spettatori forzati di violenze crescenti che nell’ultimo anno hanno costretto centinaia di migliaia di abitanti alla fuga, ma che non bastano a chiarire le dinamiche del sequestro dei tre cooperanti. “Sono stati attivati canali confidenziali nel tentativo di mettersi in contatto con i rapitori, ma in questa fase non è ancora chiaro lo scopo e la natura del sequestro” dice, con voce piatta, una fonte diplomatica contattata dalla MISNA. La pista degli ‘shebab’ è quella che preoccupa maggiormente soprattutto alla luce delle recenti dichiarazioni del movimento che aveva definito gli operatori umanitari internazionali un “obiettivo legittimo” dopo l’uccisione il primo maggio scorso del loro capo militare Adan Hashi Ayro in un bombardamento statunitense. “Non si può escludere a priori che dietro il sequestro ci siano gruppi legati all’opposizione somala. Il che non vuol dire che lo scopo dell’operazione non fosse quello di avanzare una richiesta finanziaria, poiché anche i gruppi dell’opposizione – come i criminali comuni – utilizzano rapimenti e sequestri per finanziare le loro guerre private, in un paese sull’orlo del baratro” conclude il diplomatico. Sulla sorte dei tre, nel primo pomeriggio era stato lo stesso Cins a fornire rassicurazioni, quando in una nota pubblicata sul proprio sito internet aveva fatto sapere di aver “stabilito un primo contatto con i tre cooperanti“ (successivamente, la nota era stata modificata per inserire la parola “contatto indiretto”) i quali avrebbero comunicato di stare bene e di non aver subito alcun tipo di violenza. L’ultimo sequestro nel paese, in ordine di tempo, era stato quello di un cooperante inglese e uno keniano, rapiti lo scorso 1° aprile a sud di Mogadiscio; ed un lettore universitario keniano rapito la scorsa settimana nell'ateneo della capitale. I tre sono tutt’ora in mano ai rapitori.
[AdL]


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