Radio Vaticana - I leader politici libanesi riuniti a Doha, in Qatar, hanno raggiunto un accordo per mettere fine alla crisi in Libano. Entro 24 ore il comandante dell'esercito libanese Michel Suleiman sarà eletto presidente della Repubblica. Un traguardo importante, dopo mesi di vuoto istituzionale ed una crisi che stava facendo scivolare il Paese dei Cedri verso la guerra civile. Ma come si può definire questo accordo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del quotidiano “Il Corriere della Sera” e profondo conoscitore di politica mediorientale: (ascolta)R. – Sicuramente, è un traguardo importante se consideriamo importante interrompere gli scontri che rischiavano di riaccendere quello che covava sotto la cenere della vecchia guerra civile, oppure riaccenderne una nuova, devastante. Allarmante, perché con questo accordo c’è il rischio che il Libano perda un pochino della sua sovranità: dopo averne già persa tanta, questo sarebbe un ulteriore passo verso una perdita completa di sovranità.
D. – Ci puoi spiegare brevemente quali sono i termini dell’accordo, i punti principali?
R. – L’accordo prevede: la nomina del presidente della Repubblica – sappiamo che questa carica è vacante dalla fine di novembre. Però, il problema viene sul secondo passo, e cioè che del nuovo governo faranno parte 30 ministri, 16 alla maggioranza filo-occidentale, quella che oggi è guidata dal premier Fouad Siniora, 11 all’opposizione guidata da Hezbollah e tre di nomina presidenziale. Poi bisognerà vedere quali ministeri andranno agli uni e quali ministeri andranno agli altri. Ma è il terzo passo, quello più allarmante: perché l’opposizione avrà diritto di veto, e questo vorrà dire che la maggioranza, in effetti, potrà governare soltanto con il pieno consenso dell’opposizione e quindi viene da concludere che il vero vincitore di questo compromesso è Hezbollah e naturalmente i suoi due padrini, cioè la Siria e l’Iran.
D. – Gli attivisti dell’opposizione libanese guidata dal movimento sciita Hezbollah hanno iniziato a smobilitare il sit-in che da 18 mesi occupa il centro istituzionale e commerciale di Beirut. Si può parlare di un primo segnale di normalizzazione per il Paese?
R. – Certo, assolutamente sì: questo si lega alla decisione di eleggere il presidente. Noi cosa abbiamo visto, oggi? Che a Doha anche il leader, un altro leader istituzionale importante, Nabih Berri, presidente del Parlamento, che è sciita ma non hezbollah, ha detto: cari signori, adesso smantellate questo sit-in che dura da svariati mesi. E questo un po’ la dice lunga sulla crescita del potere complessivo degli sciiti, al di là di Hezbollah. Quindi, è chiaro: anche questo è un passo importante! Ma, ripeto, tutto va nella direzione di una certa pacificazione del Libano, però a detrimento della sua sovranità.
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