mercoledì, febbraio 01, 2017
Crediti deteriorati in zona di pericolo per tutte tranne UniCredit e Intesa. E se il resto del settore rischia a causa dei prestiti inesigibili, anche le due big...

WSI - Come dimostra anche il caso UniCredit, il cui maxi piano di aumento di capitale da 13 miliardi di euro, il maggiore della storia delle società quotate italiane, non è ancora sicuro al 100% che sia sufficiente a rimettere in sesto le finanze della banca in crisi patrimoniale, i problemi finanziari dell’Italia non si fermano con il salvataggio di Mps. L’AD di UniCredit Jean-Pierre Mustier sperava che i problemi di Mps potessero essere definitivamente risolti entro dicembre, in modo da non avere alcun impatto sull’aumento di capitale della banca da lui guidata. Tuttavia il piano di salvataggio pubblico da 20 miliardi di euro varato dal governo, quattro volte più di quanto stimato in precedenza, per mettere al sicuro Mps, Veneto Banca, Pop Vicenza e altre banche più piccole in difficoltà, non è bastato a scongiurare una nuova crisi.

Il settore bancario italiano ha custoditi in portafoglio un terzo dei crediti inesigibili di tutta Europa. E non sono soltanto la montagna di prestiti morosi iscritti a bilancio a preoccupare gli investitori in questi ultimi tempi: si tratta anche dei crediti ancora esigibili, ma che prima o poi potrebbero deteriorarsi, per esempio nel caso in cui l’economia continui a rimanere in una fase stagnante. Molto dipenderà dalle prossime decisioni che prenderanno l’Unione Europea (in merito alla manovra correttiva di bilancio del 2017″)” e il governo e il parlamento, in relazione al futuro politico del paese. L’ex premier Matteo Renzi e i partiti di opposizione vogliono andare alle elezioni anticipate, ma chiamare i cittadini alle urne a giugno rischia di mettere sotto pressione i titoli di Stato italiani sui mercati.

Crediti morosi: solo UniCredit e Intesa al sicuro 
L’economia non cresce con convinzione da ormai vent’anni. Da quando ha adottato l’euro, l’Italia è diventata la terza potenza economica del blocco della moneta unica ma in 17 anni non è riuscita a ottenere un’espansione dell’attività a livelli decorosi, figuriamoci rispetto a quelli visti durante il boom economico degli Anni 60. Steve Eisman, il gestore americano famoso per aver tempestivamente speculato al ribasso sui mutui subprime prima dello scoppio della crisi finanziaria del 2008, si è detto preoccupato per il rapporto Texas Ratio (TR) delle banche italiane, un modo popolare per misurare i problemi creditizi di un comparto finanziario.

Il tasso TR si ottiene dividendo il valore complessivo delle sofferenze creditizie di una banca per il valore degli attivi tangibili sommato alle riserve. Come spiegato dallo stesso money manager Eisman, si tratta in pratica del rapporto tra “tutti i crediti tossici a bilancio e i soldi che vanno pagati per quei crediti inesigibili”. Quando il rapporto raggiunge il 100% le finanze delle banche hanno buone possibilità di fare crac. In Italia le due prime banche del paese per fatturato e capitalizzazione, UniCredit e Intesa SanPaolo, hanno un TR superiore al 90%, secondo i calcoli di Eisman. Tutte le altre banche sono sul 100%. Finché i livelli sono così alti, le banche meno grandi d’Italia continueranno a pesare anche sui primi due gruppi della classe.

Futuro UniCredit ancora incerto 
UniCredit sta cercando di reperire più soldi freschi possibili prima di dover chiedere nuovi capitali al mercato con l’aumento di capitale, della cui emissione di azioni oggi il CdA stabilità il prezzo. La banca ha già venduto le sue holding in Turchia e estratto un “dividendo speciale” di 3 miliardi di euro dalla divisione tedesca HVB, alimentando tuttavia le paure delle autorità di supervisione tedesche che HVB esca indebolita dalla fuoriuscita di fondi. Unicredit non ha altra scelta: adottare un grande piano di riduzione dei costi e indebolire le sue divisioni non ‘core’, è l’unica soluzione per poter mantenere intatto il suo business principale. Il suo futuro è sempre incerto. Anche se la Bce ha fatto sapere di essere “molto contenta” del piano esistente, che prevede anche la cessione di 17,7 miliardi di euro in crediti deteriorati a un veicolo di Singapore controllato da Pimco e Fortress, il suo destino dipenderà dalla sua capacità di convincere gli investitori di essere in grado di ristrutturare le proprie operazioni e pagare loro un dividendo prima o poi.

 A complicare le cose, come avvenuto già con Mps, il cui piano di ricapitalizzazione facendo ricorso ai finanziamenti dei privati è fallito miseramente sul nascere, è anche la tensione sul piano politico. Il governo ha diverse grane da risolvere, tra cui la crisi delle banche più piccole. Scongiurare l’appuntamento con le elezioni anticipate, secondo economisti e commentatori, dovrebbe contribuire a facilitare il compito di Unicredit e tranquillizzare gli investitori preoccupati per il futuro dell’Italia. Quello della prima banca d’Italia per fatturato è un compito difficile e il tempo rimasto è poco.


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