lunedì, novembre 14, 2016
Si è concluso domenica 13 novembre il Giubileo dei senza fissa dimora, degli esclusi, voluto da Papa Francesco e reso possibile grazie al lavoro dei volontari dell’associazione francese “Fratello”.

di Monica Cardarelli

Nel 2014 alcune parrocchie francesi e associazioni che si occupano dei senza fissa dimora si sono recate a Roma in udienza da Papa Francesco. L’entusiasmo nato da quell’incontro ha spinto i volontari a sognare un evento più ampio che raccogliesse i poveri da tutta Europa. Dopo mesi di riflessione, i responsabili furono contattati dal Vaticano e gli fu espressa la volontà di Papa Francesco di dedicare ai senza fissa dimora un evento giubilare, in occasione della chiusura delle porte sante di tutto il mondo.

Così è nata l’associazione “Fratello”, con l’intento di organizzare l’evento appena concluso e, continuando a sognare con il Vangelo come gli ha augurato Papa Francesco, con la speranza di poter organizzare una Giornata Mondiale dei Poveri. “Fratello” è nata in Francia ma da subito i responsabili non hanno voluto legarla, limitandola, alla realtà francese: da qui l’idea del nome italiano di fratello, perché tutto ciò che i volontari delle associazioni svolgono, viene fatto con spirito di fraternità.

I giorni scorsi Roma è stata pacificamente e fraternamente invasa più di 4000 tra senza fissa dimora e accompagnatori provenienti da 23 Paesi. I gruppi si sono preparati per mesi nella propria sede organizzando l’evento e la partecipazione come se fossero loro i protagonisti. I partecipanti hanno risposto con grande emozione, incredulità ed entusiasmo, perfino i non credenti o coloro che professano un’altra religione. La meraviglia dell’invito di Papa Francesco rivolto loro era immensa e palpabile dai loro sguardi. Ma ancor più toccante e tangibile era il rapporto di fratellanza tra di loro e con i loro accompagnatori.
Ci piace sottolinearlo perché non si è trattato di una visita a Roma di un gruppo di turisti, non volontari e “utenti”, ma persone con la propria dignità (troppo spesso non riconosciuta) che con degli amici hanno vissuto un evento giubilare.

Le tre giornate hanno avuto come tema “Dio consola”, con l’udienza a loro riservata da Papa Francesco in Aula Paolo VI venerdì 11; “Dio perdona”, con la veglia di preghiera e le confessioni nella Basilica di San Paolo fuori le mura sabato 12; “Dio spera”, domenica 13 con la messa celebrata da Papa Francesco in San Pietro. Ulteriori iniziative giubilari hanno accompagnato i pellegrini in questo percorso, da spettacoli teatrali su san Francesco a testimonianze di grandi testimoni della fede.

Mentre sono ancora vive le parole del cardinale Philippe Barbarin alla veglia nella Basilica di San Paolo, che invitava a lasciarsi riconciliare con Dio, mentre si svolgevano le confessioni, sono tuttora vive le immagini di Papa Francesco che in Aula Paolo VI ha chiesto ai poveri di benedirlo, ponendo le loro mani su di lui e recitando insieme il Padre Nostro, chiedendo a Dio, Padre di tutti, di dare la forza, la gioia e che “ci insegni a sognare per guardare avanti; che ci insegni ad essere solidali, perché siamo fratelli; e che ci aiuti a difendere la nostra dignità”.

Speranza e sogni, fraternità e dignità: alcune delle parole chiave pronunciate da Papa Francesco ma certo le parole che più hanno colpito restano la sua richiesta di perdono.


“Vi ringrazio di essere venuti a visitarmi. Ringrazio per le testimonianze. E vi chiedo scusa se vi posso aver qualche volta offeso con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire. Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo trovando la povertà al centro. Vi chiedo perdono per tutte le volte che noi cristiani davanti a una persona povera o a una situazione di povertà guardiamo dall’altra parte. Scusate. Il vostro perdono per uomini e donne di Chiesa che non vogliono guardarvi o non hanno voluto guardarvi, è acqua benedetta per noi; è pulizia per noi; è aiutarci a tornare a credere che al cuore del Vangelo c’è la povertà come grande messaggio, e che noi – i cattolici, i cristiani, tutti – dobbiamo formare una Chiesa povera per i poveri; e che ogni uomo e donna di qualsiasi religione deve vedere in ogni povero il messaggio di Dio che si avvicina e si fa povero per accompagnarci nella vita.”

Sono parole forti quelle che Papa Francesco pronuncia in Aula Paolo VI ai poveri che interpellano però tutti i cristiani. Papa Francesco ha toccato anche un altro punto, la povertà imposta: “Povero sì, schiavo no! La povertà è nel cuore del Vangelo, per essere vissuta. La schiavitù non è nel Vangelo per essere vissuta, ma per essere liberata!”. Ed ha aggiunto: “Io so che molte volte voi avete incontrato gente che voleva sfruttare la vostra povertà ... però so anche che questo sentimento di vedere che la vita è bella, questo sentimento, questa dignità, vi ha salvati dall’essere schiavi.”

Infatti, i cristiani sono chiamati ad operare per eliminare ogni forma di povertà, di schiavitù e di ingiustizia. Numerose sono le iniziative che in questi anni si stanno susseguendo per offrire occasioni di riflessione e di studio in tal senso. A fine ottobre, ad esempio, si è svolto presso la Casina Pio IV il workshop su povertà e inclusione sociale, anche per riflettere su nuove forme di economia sociale; lo studio sull’economia civile e la sua attuazione o la realizzazione di forme di economia di comunione sono in questo senso un utile strumento. In fondo, Francesco e Chiara con il loro esempio di vita evangelica ci aprono la strada, loro che hanno scelto di vivere la povertà come Cristo povero, lavorando per ristabilire il criterio di giustizia e per eliminare la povertà.

Le parole di Papa Francesco sono state portatrici di speranza in situazioni di degrado e marginalità. Ci colpisce il suo richiamo al sogno e alla bellezza nella vita, anche in situazioni di emarginazione. Più volte, anche all’omelia di domenica 13 novembre, ha invitato i presenti a non smettere di sognare. Ma l’auspicio più bello forse è che si possano promuovere le Giornate Mondiali dei Poveri; lo stesso sogno che anima i responsabili e i collaboratori di “Fratello”.

Un’invasione pacifica e fraterna dicevamo, una piccola grande rivoluzione per i cristiani “tiepidi”, una scossa che richiama al Vangelo perché “i poveri li avrete sempre tra voi”. In particolare quello che abbiamo vissuto questi giorni ci interpella e ci interroga in prima persona, ci fa riflettere su quanto volgiamo lo sguardo a Dio e non ai fratelli.

Non si tratta però di assistenzialismo, ma di fraternità, di quella relazione fraterna che dovrebbe crearsi tra tutti gli uomini e da cui scaturisce un mutuo aiuto concreto e quotidiano. Questa appare ai nostri occhi la vera piccola e grande rivoluzione (o forse dovremmo chiamarla conversione) delle giornate appena trascorse: cambiare o ridimensionare il nostro concetto di aiuto e di solidarietà e la nostra immagine del povero che non è qualcuno che ha bisogno del nostro sostegno o aiuto economico (anche di quello si intende), ma necessita sopra a ogni cosa di uno sguardo umano, fraterno. Arrivare a percepire l’altro come fratello, amico, a cui dedicare del tempo e attenzioni, riconoscendo in lui il Cristo povero e sofferente.

L’esercito pacifico e silenzioso di poveri che in questi giorni ha invaso la città eterna deve farci svegliare dal sonno e renderci consapevoli della loro numerosa presenza tra di noi, non contro di noi; essere consapevoli della loro dignità, spesso da recuperare, che li pone accanto a noi, non un gradino più in basso e soprattutto, li colloca nella Chiesa, non ai margini. E allora se possiamo continuare a sognare, ci piace pensare sì ad una prossima Giornata Mondiale dei poveri, ma che ci trovi pronti e ci prepari ad una inclusione, ad una condivisione fraterna con loro. Certo, per molti può trattarsi di una vera e propria conversione, ma d’altronde, anche la vita nella fede è un percorso per arrivare alla meta.

In fondo, anche per san Francesco l’incontro con il lebbroso viene da lui riportato nel suo Testamento (FF 110) come l’inizio della sua conversione: “Il Signore concesse a me, frate Francesco, d’incominciare così a far penitenza, perché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo.” (FF 110)


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