Nel mondo, l’80% delle persone uccise a causa della loro fede sono cristiani.
Radio Vaticana - Non dimenticare queste persecuzioni quotidiane è la ragione del convegno “Perseguiteranno anche voi. Persone, drammi e prospettive”, che si è svolto ieri a Roma. Un evento organizzato dall’onlus “Integra”, che si occupa di accoglienza ai migranti, con la collaborazione della Camera dei deputati. Il servizio di Michele Raviart:
Secondo stime al ribasso, ogni anno settemila cristiani nel mondo muoiono per il loro credo. L’ultimo eccidio, quello dei 21 copti decapitati in Libia dallo Stato Islamico, si aggiunge alle persecuzioni in Nigeria da parte di Boko Haram o alla difficile situazione in Pakistan. Mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma.
“Noi siamo di fronte a un mondo globalizzato che non è stato ancora capito. Allora, la domanda è se il cristianesimo ha qualcosa a che fare con la globalizzazione. Io credo di sì. Occorre mobilitare le forze intellettuali per poter riflettere se esiste e come potrà il cristianesimo servire la globalizzazione, evitando però che vada incontro a persecuzioni di fronte alle quali non resta che la nostra testimonianza che è quella che ha segnato la vita di tutti i discepoli di Cristo”.
Nel nord dell’Iraq, oltre 100 mila cristiani sono stati cacciati dalle loro case a Mosul ed Erbil e vivono come profughi insieme alle altre minoranze perseguitate dal cosiddetto Stato islamico. Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews:
“Questa gente è gente che ha perso tutto e ha lasciato la casa, ha lasciato il lavoro a causa della fede, perché poteva benissimo convertirsi all’islam come chiedeva l’Isis. E invece loro hanno preferito mantenere la loro fede e lasciare tutto e vivono ancora adesso come rifugiati nella miseria più totale. L’unica cosa che li tiene in via è la fede cristiana. La Chiesa cattolica sta aiutando sia i cristiani, sia i musulmani, sia gli yazidi, proprio per cercare di sopravvivere”.
In questi Paesi la Chiesa svolge un ruolo essenziale di aiuto e testimonianza. Esempi come quello di mons. Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, consapevole di rischiare la vita insieme ai quattro sacerdoti e alle sei suore che vivono con lui. Alfredo Mantovano , magistrato ed esponente di Alleanza Cattolica:
“Spesso si dice: la Chiesa arriva tardi. Non è vero quasi mai. Ma in particolare non è vero in Libia, in Siria, in Iraq, in Palestina, dove oggi i cristiani patiscono le persecuzioni più efferate perché sono proprio i luoghi dai quali è partita la predicazione apostolica. Lì la Chiesa è arrivata prima e non solo è arrivata prima, ma mentre tutti vanno via - e con ragione vanno via, vista la situazione - la Chiesa resta, resta dove essere cristiani costituisce l’unico motivo per essere macellati”.
Come ha detto Papa Francesco, i copti in Libia sono stati uccisi “per il solo fatto di confessare Cristo”. Eppure, il ruolo dei cristiani in questi luoghi sa essere prezioso per l’integrazione e per il dialogo. Ancora padre Bernardo Cervellera:
“I cristiani sono una specie di collante, perché questo puntare sulla dignità dell’uomo li porta a essere dialoganti sia con i musulmani sunniti, sia con i musulmani sciiti, con gli yazidi, con i drusi, etc. Quindi, i cristiani sono veramente l’elemento che permette l’integrazione in questi Paesi”.
Radio Vaticana - Non dimenticare queste persecuzioni quotidiane è la ragione del convegno “Perseguiteranno anche voi. Persone, drammi e prospettive”, che si è svolto ieri a Roma. Un evento organizzato dall’onlus “Integra”, che si occupa di accoglienza ai migranti, con la collaborazione della Camera dei deputati. Il servizio di Michele Raviart:Secondo stime al ribasso, ogni anno settemila cristiani nel mondo muoiono per il loro credo. L’ultimo eccidio, quello dei 21 copti decapitati in Libia dallo Stato Islamico, si aggiunge alle persecuzioni in Nigeria da parte di Boko Haram o alla difficile situazione in Pakistan. Mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma.
“Noi siamo di fronte a un mondo globalizzato che non è stato ancora capito. Allora, la domanda è se il cristianesimo ha qualcosa a che fare con la globalizzazione. Io credo di sì. Occorre mobilitare le forze intellettuali per poter riflettere se esiste e come potrà il cristianesimo servire la globalizzazione, evitando però che vada incontro a persecuzioni di fronte alle quali non resta che la nostra testimonianza che è quella che ha segnato la vita di tutti i discepoli di Cristo”.
Nel nord dell’Iraq, oltre 100 mila cristiani sono stati cacciati dalle loro case a Mosul ed Erbil e vivono come profughi insieme alle altre minoranze perseguitate dal cosiddetto Stato islamico. Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews:
“Questa gente è gente che ha perso tutto e ha lasciato la casa, ha lasciato il lavoro a causa della fede, perché poteva benissimo convertirsi all’islam come chiedeva l’Isis. E invece loro hanno preferito mantenere la loro fede e lasciare tutto e vivono ancora adesso come rifugiati nella miseria più totale. L’unica cosa che li tiene in via è la fede cristiana. La Chiesa cattolica sta aiutando sia i cristiani, sia i musulmani, sia gli yazidi, proprio per cercare di sopravvivere”.
In questi Paesi la Chiesa svolge un ruolo essenziale di aiuto e testimonianza. Esempi come quello di mons. Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, consapevole di rischiare la vita insieme ai quattro sacerdoti e alle sei suore che vivono con lui. Alfredo Mantovano , magistrato ed esponente di Alleanza Cattolica:
“Spesso si dice: la Chiesa arriva tardi. Non è vero quasi mai. Ma in particolare non è vero in Libia, in Siria, in Iraq, in Palestina, dove oggi i cristiani patiscono le persecuzioni più efferate perché sono proprio i luoghi dai quali è partita la predicazione apostolica. Lì la Chiesa è arrivata prima e non solo è arrivata prima, ma mentre tutti vanno via - e con ragione vanno via, vista la situazione - la Chiesa resta, resta dove essere cristiani costituisce l’unico motivo per essere macellati”.
Come ha detto Papa Francesco, i copti in Libia sono stati uccisi “per il solo fatto di confessare Cristo”. Eppure, il ruolo dei cristiani in questi luoghi sa essere prezioso per l’integrazione e per il dialogo. Ancora padre Bernardo Cervellera:
“I cristiani sono una specie di collante, perché questo puntare sulla dignità dell’uomo li porta a essere dialoganti sia con i musulmani sunniti, sia con i musulmani sciiti, con gli yazidi, con i drusi, etc. Quindi, i cristiani sono veramente l’elemento che permette l’integrazione in questi Paesi”.
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