Con un gesto ironico e significativo, un giocatore del Barcellona ha fatto una denuncia diventata moda. E persino Renzi e Prandelli si sono messi a “bananare”.
di Danilo Stefani
Dopo che Dani Alves, l’ironico e veloce giocatore del Barcellona, si è messo a mangiare una banana piovuta dagli spalti, non se ne può più: francamente, ripetutamente, stancamente…basta. Muoiono di noia anche gli avverbi. Una volta piovevano polpette, adesso piovono banane da tutte le parti. I social network ne sono invasi, come pure tutti i media; e poi politici, associazioni varie, squadre di calcio e di bocce, di tiro con l’arco e del ramino, fino all’uncinetto incrociato di manrovescio e al circolo degli anziani (se i tedeschi ci tirassero una pizza, andremmo in giro con una prosciutto e funghi?) .
Simbolo di sfottò universale negli stadi come altrove, perché metafora fallica per eccellenza, la banana è su tutte le tavole perché frutto ricco di sostanze nutritive. Si direbbe, frutto ricco mi ci ficco: ma si sa, non ci sono più le banane di una volta. E allora eccoci al razzismo - cosa c’entra la banana con il razzismo, Dio solo lo sa - al buonismo, al perbenismo: ma l’unico “ismo” che funziona in Italia è il fancazzismo; intendiamoci però, è il fancazzismo attivo, e non quello solitario e disincantato, persino timido e fuori dal proscenio.
No, qua si sta in prima linea – e non si facciano facili battute - con il moschetto in mano... anzi, la banana. Eh sì, anche qui, non si sono più i fancazzisti di una volta. Ma certo, Renzi e Prandelli non appartengono alla categoria, per carità. Il primo sta cominciando a distribuire il nobile frutto, il secondo potrebbe riceverlo di ritorno dal mondiale brasiliano. Sempre metaforicamente, s’intende. Perché nessuno può togliere il gusto della scoperta, materiale e simbolica, al fluidificante del Barcellona Dani Alves. Vera o non vera questa storia – si parla anche di “trovata” – la realtà, razzista e non, è sempre più dura di una banana; somiglia di più a una noce di cocco, ma nessuno si azzardi a tirarle. Con una pioggia di noci di cocco ci sarebbe poco da fluidificare. E il razzismo rimarrebbe sempre lì: un frutto ignobile, radicato e infiorato d’ignoranza e inciviltà.
di Danilo Stefani
Dopo che Dani Alves, l’ironico e veloce giocatore del Barcellona, si è messo a mangiare una banana piovuta dagli spalti, non se ne può più: francamente, ripetutamente, stancamente…basta. Muoiono di noia anche gli avverbi. Una volta piovevano polpette, adesso piovono banane da tutte le parti. I social network ne sono invasi, come pure tutti i media; e poi politici, associazioni varie, squadre di calcio e di bocce, di tiro con l’arco e del ramino, fino all’uncinetto incrociato di manrovescio e al circolo degli anziani (se i tedeschi ci tirassero una pizza, andremmo in giro con una prosciutto e funghi?) .
Simbolo di sfottò universale negli stadi come altrove, perché metafora fallica per eccellenza, la banana è su tutte le tavole perché frutto ricco di sostanze nutritive. Si direbbe, frutto ricco mi ci ficco: ma si sa, non ci sono più le banane di una volta. E allora eccoci al razzismo - cosa c’entra la banana con il razzismo, Dio solo lo sa - al buonismo, al perbenismo: ma l’unico “ismo” che funziona in Italia è il fancazzismo; intendiamoci però, è il fancazzismo attivo, e non quello solitario e disincantato, persino timido e fuori dal proscenio.
No, qua si sta in prima linea – e non si facciano facili battute - con il moschetto in mano... anzi, la banana. Eh sì, anche qui, non si sono più i fancazzisti di una volta. Ma certo, Renzi e Prandelli non appartengono alla categoria, per carità. Il primo sta cominciando a distribuire il nobile frutto, il secondo potrebbe riceverlo di ritorno dal mondiale brasiliano. Sempre metaforicamente, s’intende. Perché nessuno può togliere il gusto della scoperta, materiale e simbolica, al fluidificante del Barcellona Dani Alves. Vera o non vera questa storia – si parla anche di “trovata” – la realtà, razzista e non, è sempre più dura di una banana; somiglia di più a una noce di cocco, ma nessuno si azzardi a tirarle. Con una pioggia di noci di cocco ci sarebbe poco da fluidificare. E il razzismo rimarrebbe sempre lì: un frutto ignobile, radicato e infiorato d’ignoranza e inciviltà.
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