domenica, novembre 17, 2013
La musica liturgica e il rito sono unite intimamente: solo rispettando questa profonda relazione avremmo tutto quello che è necessario per essere trasformati nell’ascolto attento e meditato. E’ il più grande insegnamento dell’opera di Aurelio Porfiri edita da Marcianum Press.

di Carlo Mafera

Sono tante le caratteristiche della musica liturgica. L’autore di questo prezioso libro, Aurelio Porfiri, Direttore delle attività corali presso la scuola Santa Rosa de Lima e delle attività musicali presso la scuola Nostra Signora di Fatima a Macao, ne indica almeno dieci. Una sorta di decalogo musicale in cui la lettera iniziale è la E: Ecclesiale, Eccellente, Estatica, Espandente, Eccellente, Eccedente, Estatica, Estetica, Espressiva, Edificante, Elegante, Educante. Sarebbe interessante esaminarli tutti, ma è significativo tra i dieci soprattutto il termine “espandente”, la caratteristica che più di ogni altra contraddistingue la musica liturgica. Tale attributo fa riferimento al fatto che la vera musica deve allargare gli spazi della nostra anima, cioè espanderli verso dimensioni spazio-temporali ulteriori che già nel “qui” fanno pregustare il “non ancora”.

Aurelio Porfiri cita Papa Benedetto XVI, che raccomanda, in questa opera di espansione, di restare aderenti alla tradizione e al rito. Infatti egli afferma che il criterio perché avvenga l’espandersi “è l’aderenza piena e assoluta al rito che si va svolgendo. Ma allora la bontà della composizione non è importante?” – si chiede Porfiri – “Lo è proprio perché aderisce a questo criterio. I linguaggi liturgici (non solo quello verbale) comunicano per via emozionale qualcosa del mistero della celebrazione, ecco perché ci ‘espandono’. Non è la musica ma il suo contatto con il mistero che si celebra, la sua forte unione. Per essere a servizio di questa comunicazione bisogna essere esperti e in grado di piegare la materia (sonora e visiva) ad esigenze così alte”. Solo così la musica liturgica ci porta via dal quotidiano, ci permette di affacciarci in una dimensione che ancora non ci appartiene. Si direbbe, in un linguaggio di antropologia filosofica, che l’uomo, ascoltando questo tipo di musica, potrebbe raggiungere l’autotrascendimento. La musica liturgica ci permette infatti di toccare il cielo anche se solo per pochi momenti. E a proposito di autotrascendimento mi sembra significativo citare ancora il grande Papa teologo Benedetto XVI che, concludendo un suo documento proprio su “Liturgia e Musica Sacra”, faceva riferimento a questa espansione che la melodia religiosa opera sull’anima umana. Egli affermava infatti: “Oggi vediamo che all’uomo privo di trascendenza rimane solo il gridare, perché vuole essere soltanto terra e cerca di far diventare sua terra anche il cielo e la profondità del mare. La vera liturgia, la liturgia della comunione dei santi, gli restituisce la sua totalità. Gli insegna di nuovo il tacere e il cantare, apren¬dogli la profondità del mare e insegnandogli a volare, l’essere dell’angelo; elevando il suo cuore fa risuonare di nuovo quel canto che in lui si era come assopito. Anzi, possiamo dire persino che la vera liturgia si riconosce proprio dal fatto che essa ci libera dall’agire comune e ci restituisce la profondità e l’altezza, il silenzio e il canto. La vera litur¬gia si riconosce dal fatto che è cosmica, non su misura di un gruppo. Essa canta con gli angeli. Essa tace con la profondità dell’universo in attesa. E così essa redime la terra”.


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