I militari americani potrebbero rimanere in Afghanistan anche dopo il 2014 e questo in base ad un preaccordo dei giorni scorsi tra Kabul e Washington.
Radio Vaticana - Ne ha parlato oggi il presidente afghano, Karzai, all’apertura della Loya Girga, la grande assemblea di leader tribali, esperti religiosi e personaggi influenti della società. L’assise dovrà ora dare il suo parere su questa ipotesi, che sta creando opposti commenti all’interno e fuori del Paese. Sulla fattibilità del prolungamento della permanenza straniera, Giancarlo La Vella ha intervistato Marco Lombardi, esperto di Afghanistan dell’Università Cattolica di Milano: ascolta
R. – La fattibilità operativa non la discuterei: c’è di sicuro! Diciamo che, forse, il discorso, più che sulla fattibilità, è sulla opportunità e il senso di questo prolungamento. La permanenza da parte delle truppe io la do per scontata, sotto forme diverse, in genere di collaborazione per quanto riguarda la formazione – per esempio – dell’esercito, della polizia, dell’impianto giudiziario e quant’altro. Qui stiamo, però, parlando di 10-15 mila uomini. Sicuramente la permanenza di un gruppo così folto di militari ha un ritorno economico: nell’Afghanistan si è costruito un sistema economico fondato sugli aiuti diretti, che arrivano per la presenza sul terreno delle truppe e soprattutto perché così tanti militari creano un indotto economico rilevante per il Paese. In termini politici è da vedere in che modo questo si pone con un Paese che è altamente frammentato al suo interno. Il presidente Karzai non rappresenta tutti: c’è una rappresentanza forte, che è quella dei talebani, con i quali si era aperto un dialogo, ma che oggi risulta un pochino impantanato. Quindi, la discussione è aperta in termini di convenienza.
D. – Che ricaduta avrebbe questa decisione – se approvata – rispetto ai Paesi limitrofi?
R. – L’Afghanistan è al centro di una situazione geopolitica altamente problematica. Il grande vicino è – da una parte – l’Iran e – dall’altra – il Pakistan. Con l’Iran ci sono una serie di discussioni che hanno a che fare con la vecchia questione nucleare: l’Iran non è certo favorevole a una permanenza delle truppe americane, in veste di controllori del suo territorio. Quindi in termini di stabilità regionale questo rinvio potrebbe aprire dei problemi. Dall’altra, molto probabilmente l’interesse americano anche a restare in Afghanistan è finalizzato a mantenere una finestra aperta anche sul Pakistan. Il Pakistan è un enorme problema: è un Paese fuori controllo, dove sicuramente ha sede oggi buona parte del terrorismo; un Paese mal governato e con una bomba atomica costruita e finanziata dagli americani. A livello globale dico che, se si resta lì, bisogna restarci cambiando evidentemente il modo di guardare alle cose. Quindi rifondare sia i patti tra le truppe internazionali che restano su una prospettiva diversa, sia soprattutto con Karzai e il popolo afghano su una prospettiva completamente nuova. Troppe volte in questo ultimo anno mi sono sentito dire dagli afgani: “Non sappiamo più chi sono i cattivi: i talebani o le truppe internazionali? Perché tutti si stanno comportando allo stesso modo nei nostri confronti!”.
Radio Vaticana - Ne ha parlato oggi il presidente afghano, Karzai, all’apertura della Loya Girga, la grande assemblea di leader tribali, esperti religiosi e personaggi influenti della società. L’assise dovrà ora dare il suo parere su questa ipotesi, che sta creando opposti commenti all’interno e fuori del Paese. Sulla fattibilità del prolungamento della permanenza straniera, Giancarlo La Vella ha intervistato Marco Lombardi, esperto di Afghanistan dell’Università Cattolica di Milano: ascolta
R. – La fattibilità operativa non la discuterei: c’è di sicuro! Diciamo che, forse, il discorso, più che sulla fattibilità, è sulla opportunità e il senso di questo prolungamento. La permanenza da parte delle truppe io la do per scontata, sotto forme diverse, in genere di collaborazione per quanto riguarda la formazione – per esempio – dell’esercito, della polizia, dell’impianto giudiziario e quant’altro. Qui stiamo, però, parlando di 10-15 mila uomini. Sicuramente la permanenza di un gruppo così folto di militari ha un ritorno economico: nell’Afghanistan si è costruito un sistema economico fondato sugli aiuti diretti, che arrivano per la presenza sul terreno delle truppe e soprattutto perché così tanti militari creano un indotto economico rilevante per il Paese. In termini politici è da vedere in che modo questo si pone con un Paese che è altamente frammentato al suo interno. Il presidente Karzai non rappresenta tutti: c’è una rappresentanza forte, che è quella dei talebani, con i quali si era aperto un dialogo, ma che oggi risulta un pochino impantanato. Quindi, la discussione è aperta in termini di convenienza.
D. – Che ricaduta avrebbe questa decisione – se approvata – rispetto ai Paesi limitrofi?
R. – L’Afghanistan è al centro di una situazione geopolitica altamente problematica. Il grande vicino è – da una parte – l’Iran e – dall’altra – il Pakistan. Con l’Iran ci sono una serie di discussioni che hanno a che fare con la vecchia questione nucleare: l’Iran non è certo favorevole a una permanenza delle truppe americane, in veste di controllori del suo territorio. Quindi in termini di stabilità regionale questo rinvio potrebbe aprire dei problemi. Dall’altra, molto probabilmente l’interesse americano anche a restare in Afghanistan è finalizzato a mantenere una finestra aperta anche sul Pakistan. Il Pakistan è un enorme problema: è un Paese fuori controllo, dove sicuramente ha sede oggi buona parte del terrorismo; un Paese mal governato e con una bomba atomica costruita e finanziata dagli americani. A livello globale dico che, se si resta lì, bisogna restarci cambiando evidentemente il modo di guardare alle cose. Quindi rifondare sia i patti tra le truppe internazionali che restano su una prospettiva diversa, sia soprattutto con Karzai e il popolo afghano su una prospettiva completamente nuova. Troppe volte in questo ultimo anno mi sono sentito dire dagli afgani: “Non sappiamo più chi sono i cattivi: i talebani o le truppe internazionali? Perché tutti si stanno comportando allo stesso modo nei nostri confronti!”.
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