giovedì, settembre 26, 2013
Dialogo proficuo fra il cardinale Gianfranco Ravasi e il fondatore de "La Repubblica” Eugenio Scalfari, a dimostrazione che non c’è contraddizione tra fede e ragione

di Carlo Mafera

E’ iniziato ieri un dialogo tra il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ed Eugenio Scalfari, fondatore de “La Repubblica”, dialogo inserito nel contesto del “Cortile dei Giornalisti”, la giornata del Cortile dei Gentili (www.cortiledeigentili.com) dedicata agli operatori della comunicazione. Nei dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali italiani si sono confrontati e interrogati su temi come il rapporto tra responsabilità e libertà, obiettività e verità nel mondo dei media e le possibili interazioni tra fede e ragione. Tutte considerazioni che sono scaturite soprattutto dal nuovo stile comunicativo introdotto da Papa Francesco nel mondo della Chiesa cattolica.

Scalfari racconta di esercizi spirituali “forzati” dai gesuiti nella Casa del Sacro Cuore a Roma e puntualizza in anticipo: “Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse possano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata”. La laicità e la religiosità hanno molti valori e punti in comune ed entrambi possono combattere la buona battaglia contro i “nuovi barbari”, cioè “coloro che stanno elaborando un nuovo linguaggio”, molto più povero di parole e ricco di immagini ma che rischia di “accrescere la solitudine”; in un mondo in cui “il tasso di narcisismo è diventato patologico”. E qui il ruolo della Chiesa nella rivoluzione della comunicazione dell’era digitale può essere decisivo – ha lasciato intendere il cardinale Ravasi, che ha aggiunto: “Se un pastore oggi non si interessa di comunicazione è al di fuori del suo ministero”.

Del resto, secondo il presidente del Pontificio Consiglio della cultura, è stato proprio Gesù il primo a usare i tweet in maniera sistematica: “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi”, 145 caratteri in tutto nell’originale greco della Bibbia, e il suo modo di predicare attraverso le parabole ne ha fatto il ‘precursore’ della tv. Il linguaggio di Gesù era quindi sintetico ed efficace come quello dei media attuali. Anche il linguaggio del corpo, la “via della corporeità”, ha la sua rilevanza nella comunicazione e Papa Francesco ben conosce l’importanza di questo sottile linguaggio, ha ricordato Ravasi. Un altro tipo di linguaggio comunicativo è oggi costituito dai Tweet. Il loro successo straordinario promosso e incoraggiato dal Papa è stato analizzato dal direttore de “L’Osservatore Romano”, Gian Maria Vian, che ha sottolineato la delicatezza di tale iniziativa “difficile da far capire” nella sua portata, ma che poi si è affermata prepotentemente, come dimostrano i milioni di followers in costante aumento dell’account @pontifex.

Gli altri direttori dei principali quotidiani italiani si sono succeduti negli interventi mettendo in evidenza la condivisione di molti valori comuni tra mondo laico e mondo religioso. “In comune tra credenti e non credenti c’è la ricerca del bene comune e dei significati ultimi”, ha detto Ezio Mauro, direttore de La Repubblica, che come cambiamento epocale dell’attuale pontificato ha segnalato che “Papa Francesco non s’interessa delle beghe della politica”. “Papa Francesco ha abbandonato l’ossessione dei valori non negoziabili, che ha caratterizzato quasi esclusivamente la proiezione della Chiesa nel mondo mediatico negli ultimi anni - ha detto Ferruccio De Bartoli, direttore del Corriere della Sera. Mentre il direttore di Avvenire Marco Tarquinio dal canto suo ha sottolineato che “avere l’ossessione dei valori non negoziabili è avere l’ossessione per l’umano, nel tempo del preteso post-umano”. I cosiddetti valori “non negoziabili”, che sono poi quelli del magistero della Chiesa, e dunque anche di Papa Francesco, “sono quelli sui quali non si fa mercato, in un mondo in cui si fa mercato di tutto”. “Il Papa cambierà il nostro mestiere del fare informazione”, ha concluso profeticamente Virman Cusenza, direttore de “Il Messaggero”.


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