La tragica morte del giovane pilota domenica scorsa, nel corso di una gara del Mondiale Supersport resa difficoltosa dalle forti piogge, ha riportato alla memoria l'incidente di cui fu vittima Marco Simoncelli. Le critiche agli organizzatori e le accuse di Melandri
Città Nuova - Morto dopo essere stato investito da un collega. La tragedia che ha colpito Andrea Antonelli ha fatto tornare alla mente la scomparsa di Marco Simoncelli: entrambi italiani, entrambi molto giovani (25 anni il primo, 24 il secondo), spaventosamente simile la dinamica dell’incidente che è stato loro fatale. Di diverso, però, c’erano le condizioni nelle quali si correva, ed è una differenza non da poco
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A Sepang, in quel tragico 23 ottobre 2011, non pioveva: il “Sic”, semplicemente, aveva qualche problema con le gomme, non riuscì a controllare la moto e perse la vita perché - una volta scivolato - restò aggrappato al mezzo nell’estremo tentativo di rimetterlo in piedi, finendo per essere colpito dallo statunitense Colin Edwards. Gli sport motoristici, del resto, sono pericolosi per natura, e tutti i piloti sono consapevoli dei rischi che corrono.
Domenica, però, a Mosca diluviava. Condizioni al limite, ed è bastato un solo giro di gara per conoscerne il loro risvolto più tragico. Sul rettilineo principale del circuito russo si viaggiava a 250 chilometri orari, in una nube d’acqua che lasciava poco spazio all’immaginazione, o forse solo a quella: difficile capire dov’eri, chi c’era davanti a te e chi dietro. Così Antonelli, scivolato dopo aver tamponato il collega e connazionale Massimo Roccoli, è stato colpito alla testa dalla moto di un altro collega e connazionale, Lorenzo Zanetti. Per il perugino di Castiglione del Lago non c’è stato nulla da fare: fatali le ferite causate dalla pedana della Honda guidata dal centauro bresciano.
Dopo lo shock, il dolore e il cordoglio manifestato da addetti ai lavori e non, sono arrivate - immediate - anche le critiche agli organizzatori del Mondiale Supersport, che hanno dato il via libera alla corsa nonostante il tempo avverso. La verità, però, è che nella categoria in cui correva il povero Antonelli sono gli stessi motociclisti a poter decidere di non partire: basta alzare un braccio dopo il giro di ricognizione, e la gara è annullata. «Ma i piloti sono stupidi», ha commentato Marco Melandri, che pochi minuti prima della tragedia aveva vinto, sul circuito moscovita, la gara 1 dell’ottava tappa del Mondiale Superbike. E del resto, quando si vede un professionista tornare in pista a sole 48 ore dalla rottura di una clavicola (vedasi Jorge Lorenzo qualche settimana fa), si comprende il significato delle parole del centauro ravennate. Difficile cambiare la testa dei piloti, così come è impossibile scongiurare gravi incidenti in pista. Domenica, però, qualcosa in più si poteva e - forse - si doveva fare.
Città Nuova - Morto dopo essere stato investito da un collega. La tragedia che ha colpito Andrea Antonelli ha fatto tornare alla mente la scomparsa di Marco Simoncelli: entrambi italiani, entrambi molto giovani (25 anni il primo, 24 il secondo), spaventosamente simile la dinamica dell’incidente che è stato loro fatale. Di diverso, però, c’erano le condizioni nelle quali si correva, ed è una differenza non da poco
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A Sepang, in quel tragico 23 ottobre 2011, non pioveva: il “Sic”, semplicemente, aveva qualche problema con le gomme, non riuscì a controllare la moto e perse la vita perché - una volta scivolato - restò aggrappato al mezzo nell’estremo tentativo di rimetterlo in piedi, finendo per essere colpito dallo statunitense Colin Edwards. Gli sport motoristici, del resto, sono pericolosi per natura, e tutti i piloti sono consapevoli dei rischi che corrono.
Domenica, però, a Mosca diluviava. Condizioni al limite, ed è bastato un solo giro di gara per conoscerne il loro risvolto più tragico. Sul rettilineo principale del circuito russo si viaggiava a 250 chilometri orari, in una nube d’acqua che lasciava poco spazio all’immaginazione, o forse solo a quella: difficile capire dov’eri, chi c’era davanti a te e chi dietro. Così Antonelli, scivolato dopo aver tamponato il collega e connazionale Massimo Roccoli, è stato colpito alla testa dalla moto di un altro collega e connazionale, Lorenzo Zanetti. Per il perugino di Castiglione del Lago non c’è stato nulla da fare: fatali le ferite causate dalla pedana della Honda guidata dal centauro bresciano.
Dopo lo shock, il dolore e il cordoglio manifestato da addetti ai lavori e non, sono arrivate - immediate - anche le critiche agli organizzatori del Mondiale Supersport, che hanno dato il via libera alla corsa nonostante il tempo avverso. La verità, però, è che nella categoria in cui correva il povero Antonelli sono gli stessi motociclisti a poter decidere di non partire: basta alzare un braccio dopo il giro di ricognizione, e la gara è annullata. «Ma i piloti sono stupidi», ha commentato Marco Melandri, che pochi minuti prima della tragedia aveva vinto, sul circuito moscovita, la gara 1 dell’ottava tappa del Mondiale Superbike. E del resto, quando si vede un professionista tornare in pista a sole 48 ore dalla rottura di una clavicola (vedasi Jorge Lorenzo qualche settimana fa), si comprende il significato delle parole del centauro ravennate. Difficile cambiare la testa dei piloti, così come è impossibile scongiurare gravi incidenti in pista. Domenica, però, qualcosa in più si poteva e - forse - si doveva fare.
di Paolo Candeloro
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