Da questa mattina una lunga fila di artisti e gente comune, ammiratori e colleghi, sta rendendo omaggio alla salma di Enzo Jannacci, scomparso ieri sera dopo una lunga malattia.
Radio Vaticana - Con la sua musica ha dato voce ai diseredati, ci ha regalato una poesia spiazzante, ha rivoluzionato il modo di fare la canzone italiana: sono tanti i messaggi che anche sul web così ricordano un artista eclettico, nato e vissuto nell’amata Milano dove dal 1959 ha cominciato a fare spettacolo. Il servizio di Gabriella Ceraso: ascolta
Jannacci è stato tante cose insieme: così vogliamo ricordarlo. Cardiologo e comico, cantautore e autore, più di 30 album, tante colonne sonore e collaborazioni con i grandi del teatro, del cinema e della tv; capo-scuola del cabaret, divo del teatro-canzone anche se la sua prima etichetta fu quella di pioniere del rock-‘n-roll per il sodalizio di oltre 40 anni, che negli anni Cinquanta strinse con Gaber, suo grande amico, come più tardi fu Dario Fo, ma anche con Celentano, Tenco e Little Tony. La sua cifra espressiva, assolutamente unica. Franz Coriasco, critico musicale:
“Questo sapere raccontare la vita con un linguaggio che in prima battuta è estremamente popolare, così come erano estremamente stradaioli i suoi personaggi; ma che racchiudeva un’anima molto profonda: c’era la sua attenzione agli emarginati, agli ultimi, ma direi anche ai giullari, quale lui stesso è stato …”.
Emblematico, a questo proposito, il “Vengo anch’io – no, tu no”, il tormentone che sdoganò Jannacci, solo apparentemente una canzone-paradosso. Da qui, tanti altri successi: “Giovanni Telegrafista”, “L’Armando”, “Veronica”, “Andava a Rogoredo”. Sempre sociologico, il taglio dei suoi testi, ma mediato dalla poesia e mai volgare. Milano, la sua culla e la sua ispirazione. Ancora Coriasco:
“Al pari di Gaber, sono stati i primi a cogliere che sotto ai coriandoli del miracolo italiano in realtà c’erano delle inquietudini che poi sarebbero sopravvissute. Poi, lui è sempre stato un personaggio che non ha mai amato troppo il pubblico: me lo ricordo in tante interviste. Già questo suo parlare sbiascicato, indolente, che era però semplicemente di facciata. E poi, magari, riteneva urticanti certi riti tipici del music-business o della comunicazione all’interno del mondo dello spettacolo. Anzi, di questo amava dimostrarsi in tutti i modi decisamente altro. Un’altra cosa molto bella che ha saputo fare Jannacci è stato il rapporto con suo figlio, che è diventato poi, alla fine, una colonna fondamentale del suo continuare ad essere artista anche negli ultimi anni della sua carriera. Cosa bellissima, ma purtroppo rara …”.
Radio Vaticana - Con la sua musica ha dato voce ai diseredati, ci ha regalato una poesia spiazzante, ha rivoluzionato il modo di fare la canzone italiana: sono tanti i messaggi che anche sul web così ricordano un artista eclettico, nato e vissuto nell’amata Milano dove dal 1959 ha cominciato a fare spettacolo. Il servizio di Gabriella Ceraso: ascolta
Jannacci è stato tante cose insieme: così vogliamo ricordarlo. Cardiologo e comico, cantautore e autore, più di 30 album, tante colonne sonore e collaborazioni con i grandi del teatro, del cinema e della tv; capo-scuola del cabaret, divo del teatro-canzone anche se la sua prima etichetta fu quella di pioniere del rock-‘n-roll per il sodalizio di oltre 40 anni, che negli anni Cinquanta strinse con Gaber, suo grande amico, come più tardi fu Dario Fo, ma anche con Celentano, Tenco e Little Tony. La sua cifra espressiva, assolutamente unica. Franz Coriasco, critico musicale:
“Questo sapere raccontare la vita con un linguaggio che in prima battuta è estremamente popolare, così come erano estremamente stradaioli i suoi personaggi; ma che racchiudeva un’anima molto profonda: c’era la sua attenzione agli emarginati, agli ultimi, ma direi anche ai giullari, quale lui stesso è stato …”.
Emblematico, a questo proposito, il “Vengo anch’io – no, tu no”, il tormentone che sdoganò Jannacci, solo apparentemente una canzone-paradosso. Da qui, tanti altri successi: “Giovanni Telegrafista”, “L’Armando”, “Veronica”, “Andava a Rogoredo”. Sempre sociologico, il taglio dei suoi testi, ma mediato dalla poesia e mai volgare. Milano, la sua culla e la sua ispirazione. Ancora Coriasco:
“Al pari di Gaber, sono stati i primi a cogliere che sotto ai coriandoli del miracolo italiano in realtà c’erano delle inquietudini che poi sarebbero sopravvissute. Poi, lui è sempre stato un personaggio che non ha mai amato troppo il pubblico: me lo ricordo in tante interviste. Già questo suo parlare sbiascicato, indolente, che era però semplicemente di facciata. E poi, magari, riteneva urticanti certi riti tipici del music-business o della comunicazione all’interno del mondo dello spettacolo. Anzi, di questo amava dimostrarsi in tutti i modi decisamente altro. Un’altra cosa molto bella che ha saputo fare Jannacci è stato il rapporto con suo figlio, che è diventato poi, alla fine, una colonna fondamentale del suo continuare ad essere artista anche negli ultimi anni della sua carriera. Cosa bellissima, ma purtroppo rara …”.
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