lunedì, gennaio 28, 2013
In occasione della Giornata della memoria, è nei cinema italiani il film “In Darkness” della regista polacca Agnieszka Holland.

Radio Vaticana - Storia di un polacco nella Leopoli del 1943 occupata dai nazisti, che accetta di nascondere, ma solo per soldi, un gruppo di ebrei, e che poi finirà per aiutarli seguendo la sua umanità, rischiando la vita, e divenendo uno dei Giusti tra le nazioni. Servizio di Francesca Sabatinelli: ascolta
E’ il 1943 a Lvov, Leopoli, città prima polacca, poi passata all’Ucraina sovietica, occupata nel ‘41 dai tedeschi, e che ha conosciuto orribili repressioni, soprattutto contro la popolazione ebraica, quasi interamente trucidata. E’ in questa Lvov che Leopold Socha, polacco cattolico, operaio delle fognature, dedito a piccoli furti per mantenere la famiglia, si troverà ad affrontare la scommessa più dura della sua vita: quella con la sua stessa umanità. Il bivio per Socha arriva quando nei dedali delle fogne incontra un gruppo di ebrei, in fuga dal ghetto e dalla furia nazista. Sa che aiutandoli rischia la morte per mano dei nazisti, sa anche che però può essere un modo per farsi pagare un bel po’ di denaro. E sceglie questa strada, li nasconde:

(clip audio: “Hai sentito? Pare che abbiano fatto piazza pulita nel ghetto …”

“Hai visto qualcosa?”

“Danno una ricompensa a chi denuncia un ebreo … alcuni stanno facendo un mucchio di soldi!”)

I 14 mesi vissuti dal gruppo di ebrei sotto le fogne di Leopoli, sono anche i 14 mesi di trasformazione di Socha, lo Schindler polacco, è stato detto, la cui storia però è sconosciuta ai più:

(clip audio: “Signor Socha, signor Socha, non possiamo più pagare …” “I soldi di venerdì erano gli ultimi: non c’è rimasto niente, niente!”.

“Signor Gigel, lo sanno anche gli altri?”

“No, non l’ho detto apposta!”.

“Va bene. Questi sono per venerdì. Me li dia davanti agli altri: non devono pensare che sono un idiota … che lavora e non si fa pagare …”.)

“In Darkness” è un bel film, difficile, molte le scene al buio che raccontano la vita nelle fogne, una storia vera affrontata magistralmente dalla regista polacca Agnieszka Holland, un film tra i finalisti lo scorso anno agli Oscar come miglior film straniero. Leopold Socha, così come sua moglie, sono stati riconosciuti da Israele fra i Giusti tra le nazioni, cittadini non ebrei che hanno agito eroicamente rischiando la propria vita per salvare dalla Shoah anche un solo ebreo. Olek Mincer nel film è Shlomo Lanzberg, una delle persone aiutate da Socha. Mincer è originario proprio di Leopoli, i suoi genitori sono nati lì e da lì sono fuggiti durante la guerra proprio perché ebrei. E Mincer è cresciuto a Varsavia:

R. – Per me, tornare in maniera non propria, ma soltanto sul set, in quella città significava rivivere i racconti dei miei familiari. Purtroppo, di quelli che sono rimasti durante la guerra a Leopoli non è sopravvissuto nessuno. Leitmotiv della mia vita è questo ricordo di mia madre che quando si scopriva che qualcuno era sopravvissuto, che si era salvato, diceva sempre: “Perché non è capitato mai ai miei?”. Mio padre è rimasto solo, di una famiglia di centinaia di persone; mia madre è riuscita a scappare con suo padre e suo fratello in Russia; mia zia e mia nonna, invece, sono riuscite a passare dalla parte fuori dal ghetto, fino praticamente a pochi giorni dall’arrivo dei russi. Ma poi c’è stata una spia che le ha denunciate e sono morte. Pure il mio cuginetto di un anno …

D. – La storia del ghetto di Leopoli ai più è sconosciuta, rispetto – ad esempio – a quella del ghetto di Varsavia …

R. – Era la terza città per grandezza ed importanza della Polonia di prima della guerra, con una grandissima fiera, quella che si chiamava la “fiera dell’Est”. Una città di tradizione secolare, una gran bella città. Per quelli che ci abitavano il legame era profondo: i miei genitori ne hanno conservato anche il dialetto, che è particolarissimo. Nel film è stato ricostruito in maniera molto precisa, non è un polacco che si parla adesso in Polonia. Oltre a questo, a Leopoli si parlava ucraino: c’erano tantissimi ucraini. C’era la tradizione germanica, perché per oltre cento anni la città era stata la capitale della parte polacca dell’Impero asburgico. Era una città piena di minoranze, di lingue, di colori; una città rivolta verso la tradizione mediterranea, in qualche modo, perché c’erano tanti greci, c’erano gli armeni, tantissimi rom … E quando poi è arrivata la guerra, alcune minoranze sono state a favore dell’occupazione nazista, altre no. Da una parte di ucraini, che prima erano stati vittime delle politiche di Stalin, è paradossale pensarlo, ma l’arrivo dei tedeschi fu considerato una liberazione. Nel film questo atteggiamento è descritto benissimo. E dunque, il potenziale nemico non era soltanto il soldato nazista: poteva essere un poliziotto ucraino o un vicino di casa polacco che aveva, magari, paura … Quell’epoca, è stata da una parte, una fonte di nefandezze, dall’altra espressione di comportamenti magnifici di esseri umani. Spesso e volentieri, e ne abbiamo testimonianze, di ladri, di persone che in condizioni normali sarebbero finite in prigione, durante la guerra si scopre la profonda umanità e sensibilità nei riguardi di un altro essere umano. E proprio così è successo con Leopold Socha che, oltre ad essere un operaio nelle fognature di Leopoli, era un ladruncolo. Quando poi è stato chiamato dal destino, perché nelle fogne di Leopoli si è imbattuto in un gruppo di persone, decide di aiutarle.


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