mercoledì, gennaio 23, 2013
Intervista esclusiva a Silvana Arbia, cancelliere della Corte Penale Internazionale

di Paola Bisconti

D - Oggi sono in molti a sperare in un intervento da parte della Corte Penale Internazionale (CPI) per condannare le violenze che stanno straziando la Siria, dove sia il regime di Assad che i ribelli legati al Free Syrian Watch continuano a commettere una serie di crimini contro l’umanità. Quali sono i provvedimenti che possono essere eventualmente presi in casi del genere dalla Corte Penale Internazionale? E possono servire davvero a fermare le atrocità?
R - Ritengo che il mandato o la missione della CPI é fondamentalmente un servizio che implica anche la risposta a domande pertinenti. Parlare di un intervento della CPI nella Siria é pertinente se si conviene che la giustizia serve la pace e aiuta a prevenire la commissione o la continuazione della commissioni di crimini gravissimi di rilevanza internazionale come il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e, quando vi saranno le condizioni (trenta ratifiche della definizione data a Kampala nel 2010 e nuova decisione dell’Assemblea degli Stati parti allo Statuto istitutivo della CPI nel 2017), il crimine di aggressione. Disporre di uno strumento come la CPI, che in dieci anni ha mostrato di poter funzionare, e non usarlo in tutte le situazioni in cui si constatano violazioni gravi di diritti fondamentali e del diritto internazionale umanitario costituisce una ragione plausibile per interrogarsi su perché e su come la CPI interviene in una situazione e non in un’altra. Per noi che operiamo nel sistema la spiegazione é semplice: la CPI é stata costituita da un trattato multilaterale aperto all’adesione di altri stati; sono 121 oggi gli stati che ne fanno parte. La Siria non é parte dello statuto, quindi la CPI non può intervenire proprio motu. Né la Siria si é avvalsa della facoltá che uno stato non parte ha di accettare la giurisdizione della CPI (esempio di utilizzazione di questo meccanismo é la Costa d’Avorio). Un terzo meccanismo che permette alla CPI di intervenire in situazioni di stati non parti é il rinvio ad essa di situazioni da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (CDS), se esso considera che gli eventi che si verificano in paesi come la Siria costituiscono una minaccia grave per la pace e la sicurezza mondiale. Finora per esempio il CDS ha rinviato le situazioni del Sudan e della Libia alla CPI; non ha ancora rinviato la Siria.
Qualora la CPI avesse la possibilitá giuridica di intervenire in Siria, essa agirebbe in tutta indipendenza, avviando indagini autonomamente e stabilendo sulla base dei risultati delle proprie indagini se crimini di competenza della CPI siano stati commessi in Siria e da chi. Da ricordare che i crimini di competenza della Cpi non si prescrivono e nessuna immunitá é riconosciuta agli autori di quei crimini. L’intervento della CPI implica anche l’immediata azione per proteggere testimoni e assistere le vittime. L’esperienza dei primi anni di funzionamento della CPI ha dimostrato che porre fine all’impunitá, garantire un processo equo con la massima garanzia dei diritti della difesa e proteggere le vittime aiuta la pace, la riconciliazione e la restaurazione dello stato di diritto.
Se il trigger mechanism del rinvio da parte del CDS delle NU non funziona o funziona in maniera non soddisfacente, ci sono rimedi a livello politico e a livello di societá civile che possono influire sulle determinazioni di un organo politico internazionale come il CDS e comunque l’universalitá del mandato della CPI derivante dal carattere indivisibile del diritto fondamentale di accesso alla giustizia, in questo caso alla giustizia contro i crimini piú gravi, si puó realizzare attraverso l’adesione del piú gran numero di stati allo Statuto di Roma.
La mia esperienza prima nel Tribunale penale internazionale per il Ruanda e poi presso la CPI mi fa ritenere che l’esistenza di uno strumento permanente come la CPI ha definitivamente escluso ogni dubbio sulla concreta e non utopistica possibilitá di porre fine all’impunitá anche nei confronti delle piú alte autoritá, che proprio perché in posizione di potere avrebbero dovuto porre in essere le misure necessarie per proteggere la popolazione. Se tale dovere é disatteso, si configurano responsabilitá penali per omissione. Tutto questo sviluppo del diritto penale internazionale ha senza dubbio un effetto deterrente ai fini della prevenzione e in definitiva costituisce davvero una pietra angolare nella costruzione della pace.

D – Perché intervenga la Corte Penale, è indispensabile una risoluzione unanime del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma Russia e Cina hanno già minacciato il loro veto. Non crede che questa procedura sia ormai anacronistica e rallenti molti dei tentativi di pace dell’ONU?
R - Non é richiesta propriamente l’unanimitá, ma occorre che nessuno dei cinque stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Regno Unito, Francia, Russia, Cina , Stati Uniti) opponga il veto. Il rinvio alla CPI della situazione Sudan non fu deciso all’unanimità, mentre quello della Libia fu deciso all’unanimitá. Rimane comunque sempre possibile che i cinque stati con potere di veto cambino posizione.

D - Il 14 gennaio la Svizzera, insieme ad altri 56 paesi tra cui l’Italia, ha scritto una lettera rivolta alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza per porre fine alla situazione siriana, definita “insostenibile”, come ampiamente documentato da una commissione indipendente d’inchiesta istituita dall’Onu e da associazioni come Amnesty International e Human Rights Watch, che hanno denunciato esecuzioni sommarie, torture, violenze sessuali, genocidi, ecc. Dopo 22 mesi di conflitto, possiamo augurarci una tregua o secondo lei siamo ancora lontani dalla pace?
R - L’iniziativa della Svizzera e degli stati che vi hanno aderito é un esempio di azione a livello politico, la sola possibile. La CPI essendo una Corte permanente e ben consolidata sará pronta a svolgere il suo ruolo se richiesto.

D - L’incarico che ricopre dal 2008 presso la Corte Penale Internazionale le consente di dire che prima o poi tutto il mondo sarà pacificato o questa è solo una stolta utopia?
R - Le mie esperienze di magistrato italiano per venti anni, di procuratore internazionale per quasi nove anni presso il tribunale internazionale per il Ruanda e di registrar presso la CPI mi fanno ritenere che la giustizia serve la pace. Nessuna utopia é stolta, ma ci sono utopie che diventano realtá prima di quanto si possa prevedere perché toccano temi essenziali della vita e della dignità delle persone, sulla cui protezione tutti sono d’accordo. Per esempio permettere uguale accesso alla giustizia indipendentemente dal luogo, dai mezzi e da altre circostanze era un’utopia che rapidamente si é realizzata perché la giustizia é indispensabile per la pace e la pace é indispensabile per la prosperità. Penso che ciò spiega perché quella che sembrava un’utopia, fondare una Corte penale internazionale permanente e indipendente, diventò realtà in pochissimi anni.

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