lunedì, agosto 20, 2012
Il presidente Natale: «Se Monti insiste pronti a scendere in piazza»

Liberainformazione - Evidentemente al Presidente del Consiglio non bastano i problemi che già rendono difficile la navigazione del suo governo. Monti ha scelto di aggiungerci anche le intercettazioni, mettendosi alla testa della campagna che da mesi è tornata a sollecitare una legge più restrittiva in materia. Lo fa in maniera così unilaterale da renderne scoperta la strumentalità: anche Monti, infatti, come tutti coloro che vogliono accreditare l’urgenza di una nuova regolamentazione, parla delle intercettazioni solo e soltanto come “abusi”. Eppure la cronaca di questi giorni gli avrebbe dovuto suggerire un approccio più “sobrio” (per usare un aggettivo a lui caro): sono le settimane della vicenda Ilva, nella quale le intercettazioni (e la loro pubblicazione) sono servite a far emergere le manovre compiute ai danni della salute degli abitanti di Taranto e i patti oscuri tra dirigenti di azienda e funzionari pubblici. Qualsiasi cittadino si sente rassicurato dall’esistenza dello strumento intercettazioni, per quello che consentono di sapere; non il Presidente del Consiglio, anche in questo lontano dal comune sentire dell’opinione pubblica.

Monti si lancia invece in un attacco polemico che, per forzare la mano verso una nuova legge, usa la vicenda delle intercettazioni che hanno coinvolto il Presidente della Repubblica. Ma anche in questo caso va fuori strada: come gli ricorda non sono l’Associazione Nazionale Magistrati, ma il suo stesso ministro della Giustizia Paola Severino, la questione delle intercettazioni “indirette” di Napolitano (ora finita davanti alla Consulta) non ha niente a che vedere con la generale normativa sulle intercettazioni e la loro pubblicabilità.

Peraltro Monti non porta esempi, nell’intervista a “Tempi”, degli “abusi che ci sono stati e ci sono”. Si può persino comprendere questa sua reticente genericità. La campagna per una nuova legge che restringa gli spazi di lavoro per magistrati e giornalisti si è basata per anni sulla denuncia della privacy violata, della riservatezza infranta, delle intromissioni immotivate nella sfera più intima delle persone. Ma è difficile trovare traccia di queste invasioni di campo nelle intercettazioni “calde” degli ultimi mesi. E’ indubbiamente di totale rilievo pubblico la vicenda dell’Ilva. Così come lo è anche il capitolo scottante dei dialoghi tra l’ex-ministro dell’Interno Nicola Mancino e il consigliere giuridico del Quirinale Loris d’Ambrosio (il magistrato poi stroncato da un infarto): si parla delle indagini in corso sulla trattativa Stato-mafia, non di questioni private.

Se il Presidente del Consiglio pensa di poter beneficiare del clima emergenziale dal quale il suo governo è nato e continua a trarre alimento, sta commettendo un errore clamoroso. Non c’è alcun “baratro” economico dal quale la legge sulle intercettazioni debba tenere lontana l’Italia; non ci sono i mitici “mercati” ad incalzarci; non è vero che “ce lo chiede l’Europa”. Anzi, è vero il contrario: nel consueto rapporto annuale sulla libertà d’informazione nel mondo che Reporter Sans Frontieres ha presentato a maggio, l’Italia è scesa dal 49esimo al 61esimo posto anche per i tentativi del governo Berlusconi di ottenere una legge-bavaglio. La comunità internazionale ci chiede dunque di allinearci a standard di indipendenza del giornalismo, non solo a parametri economico-finanziari.

E se Monti (che pure si ritiene europeista convinto) non lo comprende, glielo farà capire quello stesso schieramento ampio di forze professionali e civili che da anni è cresciuto nella difesa del diritto-dovere di informare da parte di noi giornalisti e del diritto dei cittadini a conoscere tutte le vicende di rilevanza pubblica. La macchina è rodata: messa a punto già col governo Prodi (anni 2006-2008, quando il disegno di legge portava la firma del ministro della Giustizia Clemente Mastella), poi ripetutamente sperimentata con Berlusconi e Alfano. Non ha fatto in tempo ad arrugginirsi.

Ai primi di settembre si riunirà il Comitato per la libertà e il diritt all’informazione, quello stesso cartello di sigle del giornalismo e dell’associazionismo che nell’ottobre del 2009 riempì all’inverosimile piazza del Popolo. Continuiamo a pensare che l’Italia abbia da affrontare ben altre urgenze, in questi ultimi mesi di legislatura. Ma se Monti insiste, noi siamo prontissimi.

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