“L’Iraq è paese frammentato e instabile dal 2003: lo era con gli statunitensi, continuerà ad esserlo probabilmente ancora per molti anni”: Adel Jabbar, sociologo e saggista iracheno, lo dice alla MISNA mentre dal suo paese giungono le notizie del ritiro degli ultimi soldati a stelle e strisce e i “silenzi su quante guardie private resteranno a presidiare gli interessi di Washington” aggiunge Jabbar.
Agenzia Misna - “La Primavera araba è arrivata anche in Iraq – aggiunge Jabbar – ma se ne è parlato poco. Un movimento trasversale che da nord a sud ha coinvolto studenti, movimenti femminili, sindacati, qualche religioso ma che qui si è scontrato con un sistema di potere rafforzatosi negli anni. Di fronte a chi contesta non c’è un regime, ma tanti piccoli regimi, ognuno dei quali controlla un territorio, con una propria milizia e un proprio seguito”.
E’ questo il governo iracheno secondo Jabbar che un po’ minimizza il mandato di arresto spiccato contro il vice-presidente Tariq al-Hashimi, esponente di punta del blocco Iraqiya. “Un blocco – continua – all’interno del quale esistono diverse fazioni, così come nelle altre coalizioni irachene. Ognuno coltiva il suo giardino, cerca di allargare la propria sfera di influenze ma manca di una visione di insieme e di una capacità reale di governo”.
E’ questa la difficoltà dell’Iraq di oggi, secondo il sociologo, “un paese artificiosamente diviso da una Costituzione imposta dall’esterno che ha acuito differenze e divisioni anche a vantaggio di paesi stranieri”. Così, mentre il primo ministro Nouri al-Maliki discute di quanti soldati potrà ospitare l’ambasciata americana, tacendo però sulle guardie private, la popolazione è costretta a vivere in quartieri divisi l’uno dall’altro da muraglie difensive: “Perché non c’è fiducia – conclude Jabbar – perché è stata alimentata l’insicurezza e perché i gruppi di potere difendono il loro territorio-proprietà. E ho paura che questo clima di insicurezza e instabilità durerà ancora anni”.
Agenzia Misna - “La Primavera araba è arrivata anche in Iraq – aggiunge Jabbar – ma se ne è parlato poco. Un movimento trasversale che da nord a sud ha coinvolto studenti, movimenti femminili, sindacati, qualche religioso ma che qui si è scontrato con un sistema di potere rafforzatosi negli anni. Di fronte a chi contesta non c’è un regime, ma tanti piccoli regimi, ognuno dei quali controlla un territorio, con una propria milizia e un proprio seguito”.E’ questo il governo iracheno secondo Jabbar che un po’ minimizza il mandato di arresto spiccato contro il vice-presidente Tariq al-Hashimi, esponente di punta del blocco Iraqiya. “Un blocco – continua – all’interno del quale esistono diverse fazioni, così come nelle altre coalizioni irachene. Ognuno coltiva il suo giardino, cerca di allargare la propria sfera di influenze ma manca di una visione di insieme e di una capacità reale di governo”.
E’ questa la difficoltà dell’Iraq di oggi, secondo il sociologo, “un paese artificiosamente diviso da una Costituzione imposta dall’esterno che ha acuito differenze e divisioni anche a vantaggio di paesi stranieri”. Così, mentre il primo ministro Nouri al-Maliki discute di quanti soldati potrà ospitare l’ambasciata americana, tacendo però sulle guardie private, la popolazione è costretta a vivere in quartieri divisi l’uno dall’altro da muraglie difensive: “Perché non c’è fiducia – conclude Jabbar – perché è stata alimentata l’insicurezza e perché i gruppi di potere difendono il loro territorio-proprietà. E ho paura che questo clima di insicurezza e instabilità durerà ancora anni”.
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