mercoledì, novembre 30, 2011
Voleva convertirsi al cristianesimo ma è stata uccisa fra le mura domestiche. Abbiamo chiesto un'analisi a Isoke Aikpitanyi, responsabile dell'associazione «La ragazza di Benin City» che aiuta decine di migliaia di ragazze nigeriane schiavizzate in Italia.

di Paola Bisconti

La morte cruenta di Rachida Radi, 35 anni, marocchina e musulmana, provoca sconcerto e indignazione. A commettere il terribile gesto è stato il marito Mohamed El Ayaini, 39 anni, anche lui marocchino e residente in Italia dal 1995. La sua confessione, rilasciata ai Carabinieri un’ora dopo l’omicidio, riporta i dettagli di una violenza inaudita, e le macchie di sangue, evidenti anche sui vestiti della figlia minore (4 anni) presente al momento delle dichiarazioni, sono la prova delle brutalità commesse nel nucleo familiare. Rachida, infatti, aveva confidato agli amici della parrocchia di Sorbolo Levante di Brescello (PR), che frequentava abitualmente, di subire spesso percosse e per questo motivo, durante un viaggio estivo in Marocco, aveva avviato le pratiche di divorzio, ad insaputa di El Ayaini. Molte notizie attribuiscono la causa del gesto sconsiderato ad una possibile conversione della 35enne al cristianesimo: se così fosse Rachida sarebbe l’ennesima vittima di fanatismo religioso, ma se ci si rende conto che gli abusi erano una consuetudine, si concretizza l’idea che ad essere stata offesa è in primis la dignità di una donna, al di fuori di ogni credo.

La morte di Rachida va oltre la scelta religiosa che, seppur comporti una radicale e profonda richiesta di cambiamento, non è l’origine del malessere. La vittima rappresenta un universo femminile costretto a vivere tra continue intimidazioni da parte degli uomini, tuttavia insieme alla sottomissione fuoriesce dal personaggio di Rachida la voglia di ribellarsi. La partecipazione alla vita parrocchiale era uno strumento di integrazione alla vita sociale che lasciava intravedere spiragli di speranza anche per la figlia maggiore di 11 anni, anche lei coinvolta nel gruppo.

L’autopsia, avvenuta presso il Policlinico di Modena, ha svelato i dettagli dell’omicidio avvenuto con un martello da cucina, ripercosso scagliato ben 10 volte sul cranio della moglie. La probabilità che la secondogenita abbia potuto assistere alla scena è alta, tanto quanto l’eventualità di un trauma psicologico da curare. Bisogna sperare che la bambina, con il passare del tempo, possa trovare lo stesso coraggio della madre per condurre una vita migliore.

Ma sentiamo al riguado il commento di Isoke Aikpitanyi, giovane ragazza nigeriana che, arrivata nel 2000 in Italia piena di speranze, è stata costretta a prostituirsi, ma poi si è ribellata ed è ora responsabile dell'associazione «La ragazza di Benin City», con cui aiuta decine di migliaia di ragazze nigeriane schiavizzate in Italia: "Emigrare è una cosa difficile; non ci si mette in viaggio come dei turisti... emigrare spezza il cuore perché le ragioni della emigrazione non sono legate al disamore per la propria terra e per la propria cultura, ma alla difficoltà o alla impossibilità d vivere nella propria terra dove c'è fame, ci sono guerre, malattie, ecc. Così si fanno le valige ma quel che ci si porta dietro non sono i vestiti, ma cose immateriali come i ricordi, le tradizioni, la lingua, la cultura. Molti si portano dietro culture che sono fortemente "maschiliste", lo sono da sempre, da secoli, e sono una regola sociale che, per quanto sbagliata, è una regola che sembra poggiare addirittura su una fede o un insegnamento religioso.

I ritmi che segnano lo sviluppo di una società e di una cultura non sono gli stessi ovunque ed è questo che determina il fatto che in occidente certe cose dell'oriente sembrano sbagliate e viceversa. Inevitabilmente chi emigra si porta dietro almeno alcune radici, alcune certezze, alcune regole. Senza quelle regole i migranti privi di un solido bagaglio culturale non saprebbero resistere all’impatto di una cultura completamente nuova; forse questo potrebbe riuscire ad un individuo isolato che arriva in un posto e “o si adatta o si adatta”. Ma quando a migrare sono intere comunità, è inevitabile che in quelle comunità si riproducano tutti gli elementi culturali tradizionali, anche se questi sono in contrasto e sono più "arretrati" di quelli della comunità della quale si entra a far parte. Senza quegli elementi molti emigrati si sentono spersi e siccome non sono integrati nella nuova comunità si sentono disadattati.

Gli episodi di violenza che con frequenza si producono nell'occidente non hanno niente a che vedere con quella che è chiamata libera scelta... la libera scelta in una comunità chiusa e migrante equivale a un tradimento che, forse, non è neppure per davvero tradimento delle tradizioni , ma è tradimento di regole di sopravvivenza: cosa resta ad un migrante che vive in un posto nel quale non è davvero inserito se non la propria comunità, che è poi quel pezzo di terra patria nel quale tutto resta come prima, con le sue certezze? Per esempio una ragazza che non voglia coprirsi il volto, o una donna che voglia cambiare fede, compie per questa comunità un doppio tradimento: tradisce la cultura tradizionale e tradisce il proprio ruolo di donna che dovrebbe essere sottomessa.

E' facile puntare il dito contro l'arretratezza di questa visione maschilista, ma io che vivo in Italia dal 2000 ho imparato che le donne italiane non è che possano votare da tantissimo tempo, che fino a pochi anni c'era il delitto d'onore se un uomo uccideva la donna che lo aveva tradito, che i bambini lavoravano come contadini, servi o spazzacamini praticamente fino all'inizio degli anni ‘60. Non bisogna sorprendersi, quindi, se arrivano dei migranti con una cultura che sembra arretrata anche perché non ha potuto svilupparsi e cambiare da sé, ma cambia solo perché non regge il confronto con un'altra cultura.

Io ho una immensa pietà per ogni ragazza uccisa o anche solo picchiata perché si occidentalizza. Ma non credo che la vera ragione di una violenza sia, ad esempio, un conflitto religioso per cui un mussulmano odia i cristiani e se uno della sua comunità si fa cristiano, lui vede il demonio. Le ragioni sono anche altre, più profonde e più gravi, per questo anche un padre che uccide la propria figlia mi fa pena, molta pena...

Il mio compagno Claudio mi dice sempre che non bisogna analizzare una cultura con gli strumenti culturali di un'altra, perché si finisce sempre coll'affermare che una è superiore e questo è molto pericoloso: ci sono cambiamenti in molti paesi mussulmani che non possono prodursi in pochi anni e ci sono lotte tra cristiani e mussulmani, come quelle che si combattono nella mia Nigeria, che non sono davvero lotte religiose, ma lotte per il potere, per il petrolio, ecc.

Io sono cresciuta in una comunità dove c'erano insieme cristiani, mussulmani e animisti e si viveva in solidarietà. Mia madre, animista, mi faceva fare il ramadan per poter stare insieme ai bimbi mussulmani; Claudio mi prende in giro e mi dice che in realtà c'era poco da mangiare a casa mia ed era meglio saltare un pasto... ma la verità è che il rispetto e l'amore per gli altri è facile quando si dividono i sacrifici: quando si mete di mezzo il soldo allora scatta anche l'egoismo ed ecco che l'altro diventa un nemico.

La "colpa" di chi emigra è non capire che la prima cosa da rispettare è il modo di vivere della comunità che accoglie; se chi accoglie ha una economia migliore e un livello di vita migliore, vuol dire che bisogna accettarli, altrimenti meglio restare al paese, perché a quel livello di vita ci si arriva solo con regole diverse, con una cultura diversa.

Quale sia migliore invece non lo so, anzi credo che l'occidente abbia più colpe che meriti..."

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