Forme di protesta non violenta sono possibili anche nell’ambito dei rapporti tra Israele e Palestina. Perchè tale modello si diffonda è necessario che se ne parli, innanzitutto è necessario che ne parlino i media. A lanciare questo messaggio è Julia Bacha, autrice del film-documentario Budrus.
Julia Bacha è nata a Rio de Janeiro nel 1980. Laureatasi in Storia e Politiche del Medio Oriente presso la Columbia University, ha partecipato alla creazione di due pluripremiati documentari prima di realizzare ‘Budrus’, uscito nel 2009. Budrus è un villaggio di 1500 persone nei pressi di Ramallah in Cisgiordania. Nel suo film-documentario Julia Bacha ha raccontato la protesta non violenta, e di successso, messa in atto dalla popolazione del villaggio quando lo Stato israeliano ha annunciato la costruzione di una barriera di separazione tra i territori israeliani e quelli palestinesi che sarebbe passata proprio nel villaggio. Il muro sarebbe passato a 40 metri da una scuola, nel mezzo del cimitero, ma soprattutto avrebbe distrutto gli oliveti su cui si fonda l’economia dell’intero villaggio.
Le proteste pacifiche sono durate dieci mesi durante i quali agli abitanti del villaggio si sono presto uniti diverse fazioni di palestinesi, tra cui Hamas, e gruppi di israeliani, che per questo hanno rischiato l’arresto. Alla fine gli abitanti di Budrus hanno avuto la meglio: l’esercito israeliano ha deciso di spostare le linea lungo la quale sarebbe nata la separazione,così da non farla passare attraverso il villaggio.
L’esperienza di Budrus è stata imitata altrove in Cisgiordania e vicino Gerusalemme ma i media non hanno raccontato nessuna di queste esperienze: prima che il documentario di Julia Bacha fosse presentato, e portato in giro nei più importanti festival cinematografici del mondo, nessuno aveva mai sentito raccontare storie di resistenza non violenta provenienti da quei territori.
L’autrice del documentario, che a distanza di due anni dall’uscita continua a fare parlare molto di sé, ha individuato varie ragioni per cui i media non raccontano le rivolte pacifiche in Palestina, tra cui l’idea che gli spettatori preferiscano le notizie sensazionali, che la violenza faccia più ascolti della non violenza e che raccontare storie simili richiede tempi lunghi - questo tipo di vicende si dipana in mesi, non in un giorno - mentre oggi i media preferiscono notizie “veloci”.
Raccontare è importante perchè il mondo sappia che chi vive in uno dei territtori più martoriati e violenti del globo è capace di trovare soluzioni alternative agli scontri violenti. Ma soprattutto raccontare è importante, secondo la Bacha, perchè la non-violenza genera non-violenza. Alcuni villaggi hanno imitato l’esempio di Budrus, altri lo faranno quando ne conosceranno la vicenda.
Julia Bacha è nata a Rio de Janeiro nel 1980. Laureatasi in Storia e Politiche del Medio Oriente presso la Columbia University, ha partecipato alla creazione di due pluripremiati documentari prima di realizzare ‘Budrus’, uscito nel 2009. Budrus è un villaggio di 1500 persone nei pressi di Ramallah in Cisgiordania. Nel suo film-documentario Julia Bacha ha raccontato la protesta non violenta, e di successso, messa in atto dalla popolazione del villaggio quando lo Stato israeliano ha annunciato la costruzione di una barriera di separazione tra i territori israeliani e quelli palestinesi che sarebbe passata proprio nel villaggio. Il muro sarebbe passato a 40 metri da una scuola, nel mezzo del cimitero, ma soprattutto avrebbe distrutto gli oliveti su cui si fonda l’economia dell’intero villaggio.
Le proteste pacifiche sono durate dieci mesi durante i quali agli abitanti del villaggio si sono presto uniti diverse fazioni di palestinesi, tra cui Hamas, e gruppi di israeliani, che per questo hanno rischiato l’arresto. Alla fine gli abitanti di Budrus hanno avuto la meglio: l’esercito israeliano ha deciso di spostare le linea lungo la quale sarebbe nata la separazione,così da non farla passare attraverso il villaggio.
L’esperienza di Budrus è stata imitata altrove in Cisgiordania e vicino Gerusalemme ma i media non hanno raccontato nessuna di queste esperienze: prima che il documentario di Julia Bacha fosse presentato, e portato in giro nei più importanti festival cinematografici del mondo, nessuno aveva mai sentito raccontare storie di resistenza non violenta provenienti da quei territori.
L’autrice del documentario, che a distanza di due anni dall’uscita continua a fare parlare molto di sé, ha individuato varie ragioni per cui i media non raccontano le rivolte pacifiche in Palestina, tra cui l’idea che gli spettatori preferiscano le notizie sensazionali, che la violenza faccia più ascolti della non violenza e che raccontare storie simili richiede tempi lunghi - questo tipo di vicende si dipana in mesi, non in un giorno - mentre oggi i media preferiscono notizie “veloci”.
Raccontare è importante perchè il mondo sappia che chi vive in uno dei territtori più martoriati e violenti del globo è capace di trovare soluzioni alternative agli scontri violenti. Ma soprattutto raccontare è importante, secondo la Bacha, perchè la non-violenza genera non-violenza. Alcuni villaggi hanno imitato l’esempio di Budrus, altri lo faranno quando ne conosceranno la vicenda.
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Forse si parla poco di queste iniziative perché è diffusa convinzione che la non-violenza non dia risultati, mentre si ritiene che la violenza sia mezzo essenziale e imprescindibile di ogni grande rivoluzione. La rivoluzione più grande della storia, il Cristianesimo, è stata essenzialmente una rivoluzione non-violenta i cui effetti perdurano ancor oggi, mentre molte altre violente rivoluzioni della storia sono rimaste un puro ricordo del passato. Altra rivoluzione non violenta è stata quella di Gandi. Sì, è vero, le rivoluzioni non violente richiedono più tempo per portare a dei risultati concreti rispetto a quelle violente, ma i suoi effetti in compenso sono ancor più duraturi.
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