Il gruppo organizzatore, l’israeliano Sheikh Jarrah Solidarity movement, domanda uno Stato palestinese entro i confini del ’67. Si spera nel riconoscimento dell’Onu. Ma alcuni palestinesi sognano invece uno Stato che unisca Israele e Palestina.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) – Migliaia di israeliani e palestinesi hanno marciato insieme, ieri, per chiedere l’indipendenza della Palestina e il riconoscimento dei confini del 1967 da parte dell’Onu. Il gruppo che ha organizzato la “Marcia dell’indipendenza”, l’israeliano Sheikh Jarrah Solidarity movement, parla di 4.500 partecipanti; le radio lì presenti di circa 2mila; la polizia israeliana porta il numero ad appena 500 persone. La dimostrazione si è svolta in maniera simbolica proprio lungo i confini del ’67, tra le zone est e ovest della città. È la prima volta in 20 anni che israeliani e palestinesi partecipano insieme a una manifestazione pacifica.
La marcia è partita dal Jaffa Gate, nella città vecchia, fino ad arrivare al sobborgo di Sheikh Jarrah, esattamente nella direzione opposta alla marcia di giugno, organizzata dagli attivisti israeliani di estrema destra per celebrare la Guerra dei 6 giorni. Portando cartelli con scritto “Tutti hanno il diritto a uno Stato indipendente”, “Marciare per l’indipendenza”, “Solo le persone libere possono negoziare per la pace”, gli attivisti presenti hanno definito “essenziale” il riconoscimento dei confini del ’67 da parte dell’Onu, che la Palestina chiederà il prossimo settembre nell’Assemblea delle Nazioni Unite.
Tuttavia, l’entusiasmo dei partecipanti è frenato dallo scetticismo di alcuni “spettatori” della marcia. Al Jerusalem Post Fuzi, un autista palestinese, ha dichiarato: “Non credo che questo aiuterà in qualche modo. Queste persone combattono una guerra differente dalla nostra”, spiegando che è più preoccupato per i costi alti del cibo e delle case. (continua a leggere)
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Tuttavia, l’entusiasmo dei partecipanti è frenato dallo scetticismo di alcuni “spettatori” della marcia. Al Jerusalem Post Fuzi, un autista palestinese, ha dichiarato: “Non credo che questo aiuterà in qualche modo. Queste persone combattono una guerra differente dalla nostra”, spiegando che è più preoccupato per i costi alti del cibo e delle case. (continua a leggere)
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