martedì, giugno 14, 2011
Il nostro Carlo Mafera ci racconta il Laboratorio Teatrale di Camilla Cufaro al Teatro Sette

La protagonista di questo spettacolo è la paura, e la sua storia durante i secoli fino ai giorni nostri, partendo persino dai primordi della preistoria. L'uomo e subito dopo la donna rigettano la responsabilità l'uno sull'altro. E' la paura che regola i loro atti e non la fiducia. Scaricando l'errore sull'altro, l'uomo, spinto dalla paura, vuole mantenere l'illusione della sua onnipotenza. Così diviene incapace di incontrare l'altro, di incontrare Dio. Il circolo vizioso del male continua. E Dio non può fare altro che costatare il disastro: "Sì, sarà col sudore della fronte, ma tu continuerai a gestire il mondo... Soffrirai per mettere al mondo i figli, ma continuerai a dare la vita (Gen. 3,16-19). Cos’altro può fare? Cosa può fare Dio per perdonare un errore di cui nessuno gli ha chiesto perdono, che nessuno ha riconosciuto come tale? Dio ha le mani legate. La vera paralisi che blocca il nostro corpo sta nel non riuscire ad andare incontro all’altro perché visto come un nemico, uno che ci impedisce di essere in qualche modo al centro della vita; la vera paralisi è non avere compassione, è non avere viscere di misericordia per la condizione umana, avendo sempre un giudizio velenoso sugli altri.

Dalla Genesi Camilla Cufaro fa un excursus storico e spiega quanti errori ed orrori sono stati compiuti per paura dell’altro. Una paura che genera violenza e discriminazione. In una scena si rappresenta la somma totale dei morti causati proprio dalla paura. Circa 600milioni nel corso dei sette millenni della nostra civiltà. Ed ecco che nasce l’esigenza della sicurezza, che fa come da barriera alla paura.

Recentemente ho fatto un esame di filosofia politica che verteva sui diritti umani e due giorni dopo assisto a questo spettacolo: mi sembra proprio il caso di ricordare i famosi legami trasversali di junghiana memoria. Il concetto che mi è rimasto più impresso è stato il discorso del 6 gennaio 1941 con il presidente F.D. Roosvelt che parla al Congresso degli Stati Uniti, enunciando la dottrina delle quattro libertà: la libertà di parola e di espressione, la libertà di culto, la libertà dal bisogno e quella dalla paura. Obiettivo degli Usa deve essere, secondo Roosevelt, il perseguimento di tali libertà a livello mondiale. E proprio l’ultima delle libertà è il fulcro del discorso di Roosvelt. Ed è anche il tema svolto da Camilla Cuparo, dove paura e cultura rappresentano dunque due dimensioni intersecate come emozione e ragione.

La paura si concretizza in genere nelle due immagini dello straniero e del nemico. Lo straniero perché rimane sconosciuto al senso comune “e quindi è una categoria vuota che può essere riempita delle paure più varie”. Il nemico perché è semplicemente un fattore aggregante. Quali sono le conseguenze di un simile modus operandi, cioè se una società si unisce in funzione del “nemico comune”, se il simbolo diventa lo straniero-diabolico?

Camilla Cuparo con la compagnia “La piccola bottega delle Arti” sembra sciogliere la dimensione della paura con l’opposto sentimento della fiducia e dell’amore. Un grande abbraccio tra gli attori che hanno rappresentato la storia dolorosa dell’umanità auspica invece, con grande commozione, una mitica età dell’oro dove il lupo pascolerà con l’agnello e dove “ut omnes unum sint” (dove tutti siano una cosa sola).

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