martedì, aprile 19, 2011
Il nostro Carlo Mafera ci racconta la celebre commedia musicale sulla vita di San Francesco messa in scena il 17 aprile da ‘Il Setticlavio’

Il Setticlavio è una Compagnia Teatrale amatoriale fondata nel dicembre del 2006, a Roma, da persone che dal 1990 vivono insieme esperienze artistiche di varia natura nell’ambito della Commedia Musicale, devolvendo sempre gli incassi per beneficenza. Questa volta è toccato alla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), un’associazione scientifica che ha per scopo lo sviluppo della ricerca e la promozione dell’aggiornamento culturale nell’ambito della prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle patologie neurologiche, neuropsicologiche e/o psichiatriche dell’infanzia e dell’adolescenza (da 0 a 18 anni) e di tutti i disordini dello sviluppo del bambino nelle sue varie linee di espressione (psicomotoria, linguistica, cognitiva, intellettiva, relazionale).

Si prefigge inoltre la valorizzazione di tali attività in tutte le sedi ed istituzioni regionali, nazionali ed internazionali, che legiferano in materia sanitaria e/o sociale e che sono deputate alla tutela della salute della collettività.

La forza che tiene unito il Setticlavio e che continua a fare di esso una squadra vincente sta nella sinergia tra l’indiscussa passione per il teatro e la sensibilità di chi sa accorgersi che c’è chi ha bisogno d’aiuto. “Oggi vanta nel cast - si legge nel loro sito - giovanissimi artisti in erba, alcuni dei quali studenti in Accademie di arte drammatica, ed adulti dal curriculum ormai quasi ventennale, insieme, perché nasca dal palco una fiaba perfetta, in grado di annullare la distanza del golfo mistico, fino a coinvolgere lo spettatore che sogna, gioisce, si commuove, si diverte e… applaude. E’ l’incontro tra persone prima e tra artisti poi che rende ‘Il Setticlavio’ ciò che il nome esprime nel suo significato più profondo: la totale assenza di disarmonia.”

Due parole sulla commedia e sulle sue canzoni: “Forza venite gente” è un musical teatrale incentrato sulla vita di San Francesco d'Assisi, messo in scena da Michele Paulicelli nel 1981 (testi in prosa e versi di Mario Castellacci, Piero Castellacci e Piero Palumbo). Debuttò il 9 ottobre 1981 al Teatro Unione di Viterbo, mentre l'edizione più famosa, dalla quale è anche stata tratta la registrazione ufficiale, è quella messa in scena nel 1991 sul sagrato della Basilica Superiore di S. Francesco d'Assisi.

Nella versione del Setticlavio la parte recitativa di tutto il musical è affidata ai personaggi di Pietro di Bernardone e della Cenciosa che, con i loro dialoghi o monologhi (a seconda delle scene), introducono o commentano, in maniera comica, le ventitré scene cantate che compongono il musical. La parte musicale della commedia mette in risalto gli stili di vita del Frate (semplicità, povertà, affidamento alla Provvidenza, perfetta letizia, concetto al quale siamo molto legati noi che scriviamo sull’omonima testata giornalistica,) e gli eventi che hanno caratterizzato il corso della sua vita.

La figura centrale è per l’appunto il padre di Francesco, messo in crisi dalla conversione del figlio che gli rimette in discussione tutta la visione e la mentalità con la quale aveva fondato la sua vita. Forse ognuno di noi si può identificare in Pietro da Bernardone e può ancor oggi lasciarsi interpellare dalla semplicità e dalla perfetta letizia di Francesco. Significative e attuali le canzoni, tra cui Sorella Morte: come dice la cenciosa nell'introduzione di questa canzone "belli o brutti, prima o poi si muore tutti". Ed anche per Francesco giunge l'ora della morte. Nonostante ciò egli la accoglie con il sorriso e non come una cosa negativa. In un periodo storico come il nostro dove è forte il tabù della morte, dovremmo riscoprire questa canzone francescana.
E infine “Laudato Sii”, il cantico delle creature: una delle preghiere più belle che il Santo Frate abbia scritto. Man mano che la canzone scorre compaiono sulla scena tutti i personaggi e le comparse del musical ad eccezione di Pietro di Bernardone che entrerà in scena verso la fine della canzone dal fondo della platea portando in alto una forma di pane che consegnerà al figlio abbracciandolo.

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