domenica, novembre 28, 2010
del nostro collaboratore Stefano Buso

Delinquenza e condanna si nutrono di pregiudizi viscerali ben radicati nella struttura sociale e conditi da una buona dose di luoghi comuni. I criminali sono visti come malvagi, e perciò meritevoli di essere allontanati dalla società. È una visione obsoleta, superata dai tempi e dalla storia. Si è costatato, infatti, che rinchiudendo un disgraziato senza offrirgli alcuna possibilità di riscatto si ottiene l’effetto di generare un delinquente ancor più deviato e per certi versi pericoloso. Già nella seconda metà del XVIII sec. l’illuminista Cesare Beccaria (1764) nel suo “Dei delitti e delle pene” offriva una visione “avanzata” sulle pene detentive. Beccaria proponeva temi attualissimi analizzando la fondamentale interpretazione delle leggi e la loro applicazione, la certezza della pena, auspicando che la stessa avesse un fine rieducativo. Questo avveniva circa duecentocinquanta anni fa! Da allora le cose non sono migliorate, quantomeno nel considerare la condizione in carcere non solo come pena ma anche come mezzo di recupero. Nel tempo sono subentrate delle migliorie (come l’abolizione della pena capitale) e l’introduzione di soluzioni di garanzia, specie nella fase processuale. Nondimeno la permanenza in gattabuia equivale tutt’ora ad una posizione senza alternative da affrontare in pressoché passività. Sarebbe come ricoverare un paziente in un ospedale e allettarlo senza fornirgli le terapie utili a guarirlo.

Chi delinque deve essere punito secondo quanto previsto dal Codice: è ineccepibile e fuori discussione. Le pene inflitte implicano la restrizione, o comunque la limitazione della libertà personale: è una conseguenza del crimine perpetrato. Ciò premesso, ad ogni condannato deve essere data l’opportunità di ricostruire la propria esistenza. Il carcere diventerebbe così non solo un parcheggio (stretto e scomodo), ma una realtà importante per redimersi e utile a un futuro reinserimento nella società. Una sorta di chance per costruire un nuovo progetto di vita.

Altro aspetto saliente è la qualità del soggiorno in carcere, che dovrebbe avvenire in condizioni decorose assicurando alla “popolazione reclusa” spazi e prerogative che spettano ad ogni essere umano. Da qui lo spunto per una considerazione sull’attuale situazione delle carceri. Tra i numerosi problemi che affliggono il sistema penitenziario italiano, il sovraffollamento è forse quello più sconfortante: il dato complessivo dei detenuti è di circa 68.000 unità (di cui 3.000 donne e 65.000 maschi), mentre la disponibilità delle strutture detentive è di 40-45.000 posti, ripartiti fra tutti gli istituti del territorio nazionale.

Questo esubero, oltre a violare i più elementari diritti della persona, cagiona un’ulteriore mortificazione al detenuto, in aggiunta alla condanna inflittagli. È, inoltre, un dato troppo importante perché passi inosservato e che inficia al negativo i conti pubblici, perché il mantenimento della popolazione carceraria costa e non poco ai contribuenti. Di recente è stato approvato il decreto sfolla carceri che a quanto pare porterà una boccata d’ossigeno al sistema penitenziario: chi ha una pena inferiore a un anno potrà scontarla a domicilio. Sono esclusi dal beneficio i delinquenti abituali echi è sottoposto a regime di sorveglianza speciale. Si sono calcolati circa 10.000 detenuti in meno tra italiani e stranieri.

Oltre alla consueta danza di cifre e stime, quanto sino ad ora espresso deve far riflettere chiunque dia valore a diritto e giustizia: la pena deve esser certa, tuttavia coadiuvata da un iter di recupero riabilitativo, se possibile con corsi educativi e di formazione professionale finalizzati a rendere autonome le persone una volta scarcerate. Persone quindi in grado di mantenersi, e immuni da tentazioni criminose che le rifarebbero precipitare in un baratro senza ritorno.

Le prigioni a “dimensione umana” non possono restare un progetto astratto, o l’ennesima promessa per chetare l’opinione pubblica sdegnata quando la cronaca diventa foriera dell’ennesimo suicidio in carcere, bensì una prospettiva da perseguire ad ogni costo. Un obiettivo meritorio che renderà la carcerazione senz’altro meno oppressiva e più sopportabile.


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