sabato, luglio 24, 2010
Milizie sempre più forti contro un governo sempre più debole: la crisi somala precipita mentre i Paesi africani dell'area preparano un intervento

PeaceReporter - Un gover
no troppo debole e senza risorse, una comunità internazionale miope e distratta, milizie islamiche ben armate e organizzate. La crisi somala continua ad incancrenirsi anche se è difficile ormai notare i segni del peggioramento, dato il caos che regna nel Paese, devastato da quasi vent'anni di guerra civile. Negli ultimi due giorni, i combattimenti tra i soldati del Governo federale di transizione (Gft), sostenuto dalle truppe dell'Unione africana, e le milizie islamiche con in testa Al Shabaab, hanno fatto cinquanta morti, quanti quelli della settimana precedente. E le cifre, tutte approssimate per difetto, raccontano della catastrofe in atto. Sono tremila i morti che si contano da marzo a oggi, ventimila gli sfollati registrati a giugno, altri sedicimila quelli che hanno lasciato casa nelle prime tre settimane di luglio,duecentomila dall'inizio dell'anno, che si aggiungono al quasi milione e mezzo di sfollati che vagano nel Paese e ai seicentomila ammassati nei campi dislocati oltre i confini. Quasi metà dei tre milioni di somali vive grazie agli aiuti umanitari, che cominciano a scarseggiare, visto che è stato raccolto solo il 56 per cento dei 600 milioni di dollari previsti per un intervento ad ampio raggio.Le milizie islamiche, che già controllano quasi tutto il centro e il sud della Somalia, hanno ormai in mano anche buona parte della capitale e adesso stanno tentando di prendersi tutto il piatto. Forti del controllo di alcuni dei porti principali e delle città più importanti, come Baidoa, sono vicini ad un colpo che, se riuscisse, potrebbe segnare l'esito della guerra: la presa di Mogadiscio. I mortai colpiscono incessamente interi distretti della città, come Hodan, Howlwadag, Yaaqshid, Karan e Wasrdghiley, dove la popolazione civile vive barricata in casa, mentre il portavoce di Al-Shabaab, lo sceicco Abdulaziz Abu Mus'ab, dichiara che il gruppo avrebbe ormai preso possesso di altri due quartieri strategici, Bondhere e Shibs. Martedì notte le milizie hanno tentato l'assalto al palazzo presidenziale, Villa Somalia, difeso da truppe ugandesi dell'Unione Africana.

Assalto al Palazzo. Colpi di mortaio e razzi si sono abbattuti sul palazzo e al termine di una notte di combattimenti furiosi si contavano oltre venti morti e una sessantina di feriti. Villa Somalia è il simbolo dell'agonia di uno stato che ormai è riduttivo persino definire fallito. Il mese scorso si erano "ammutinate" le guardie presidenziali, denunciando il mancato pagamento di dieci mesi di stipendio, episodio che aveva esasperato i contrasti all'interno del debole esecutivo, quel Gft nato dagli accordi firmati nel 2004 che avrebbero dovuto garantire una minima cornice di ordine e stabilità. A presidiare l'ultimo simbolo che dia un'idea di stato, sono rimaste le truppe della missione dell'Unione Africana, quell'Amisom varata nel 2007, alla quale hanno contribuito solo Uganda e Burundi, per un totale di poco più di seimila soldati con un mandato estremamente limitato e quasi nessuna possibilità operativa.

Il fronte si allarga. E adesso, dopo gli attentati in Uganda, e dopo che Burundi e Kenya hanno messo gli eserciti in stato di allerta lungo i confini, il conflitto rischia di estendersi, come già accadde nel 2006, quando l'esercito etiope entrò nel Paese per sbaragliare le corti islamiche, finendo per battere in ritirata davanti alla controffensiva dei gruppi nati sulle ceneri delle Corti, Al Shabaab, appunto, ma anche Izbul Islam. Washington in questi movimenti scorge l'ombra di Al Qaeda e mantiene un contatto costante con i suoi interlocutori nell'area, tutti in stato di agitazione. Già all'inizio del mese, i leader dei Paesi dell'Africa Orientale riuniti nell'Igad (Intergovermental Authority on Development, ndr) avevano lanciato un appello per incrementare il contingente dei peacekeeper, portandolo a 20 mila unità. Un'altra ipotesi vede la trasformazione di Amisom in una missione delle Nazioni Unite, e non della sola Unione Africana. Intanto, nel quartier generale della missione a Mogadiscio sono stati visti alti ufficiali di Nigeria, Ghana, Senegal e Zambia, segno che questi Paesi starebbero per mandare reparti dei propri eserciti. Scalpita anche l'Uganda, dove si valuta l'ipotesi di una dichiarazione di guerra unilaterale. E poi c'è il Kenya, che pochi giorni fa ha assistito all'ennesima incursione di gruppuscoli della galassia di Al Shabaab, questa volta con morto (un ufficiale di polizia keniota).Washington segue con attenzione e ha già fatto sapere di essere pronta a raddoppiare gli stanziamenti a favore del governo di transizione e dell'Unione Africana. Sulla carta ci sono volontà politica e risorse cospicue: basteranno per risolvere il rebus somalo?

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