venerdì, marzo 19, 2010
Tratto da "Fra Noi, notizie della Provincia dei Cappuccini di Lombardia": "Lascio alla lettura dei frati questo intervento di fra Giacomo Bini (già ministro generale ofm), dopo un anno dal Capitolo delle stuoie tenuto il 2 marzo u.s. all’Unione Conferenze Ministri Provinciali Famiglie Francescane d’Italia riunite ad Assisi".

Fraticappuccini.it - Introduzione - “Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,1-11).

Siamo chiamati ad appassionarci dell’ascolto della Parola come le folle che seguono Gesù; una Parola che dovrà incarnarsi nel nostro quotidiano e farci ridiventare itineranti come Gesù e Francesco; una Parola che invita a una fiducia assoluta, condizione per ogni miracolo. Solo dopo avremo il coraggio di lasciare tutto e incamminarci con il Cristo. Gesù sale sulla barca di Simone e gli chiede di allontanarsi da terra, dalla folla: siamo chiamati ad abbandonare la logica del mondo con tutti i suoi pseudo- valori che assediano le nostre case, per poter accogliere e annunciare la Parola in libertà e verità.

“Prendi il largo”, dice Gesù a Simone, e getta le reti per la pesca, contro ogni logica umana; cioè fidati di me; rischia sulla mia Parola, superando ogni fallimento, frustrazione e diffidenza. Se osassimo anche noi intraprendere cammini nuovi, contro ogni evidenza, superando tutte le paure, e soprattutto la “maledetta” autosufficienza nel voler fare tutto e sempre da soli! Se osassimo andare al di là della pretesa di vedere e sapere tutto prima di incamminarci con il Signore!

La vera fede è rinunciare a contare su se stessi per contare unicamente in Dio. E se ricominciassimo a credere? Se osassimo prendere il largo e non accontentarci di continuare a pescare nei nostri “miseri acquari”, nel nostro misero e abitudinario quotidiano, nel “sempre fatto” che tarpa le nostre ali e facilita un sedentarismo di comodo che paralizza la nostra vita. Solo così faremo
l’esperienza dell’abbondanza. Dio vuole ancora continuare a far miracoli con noi, ma dobbiamo rischiare sulla sua Parola.

“Fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli”(v 7). Quanto è urgente passare dalla concorrenza alla collaborazione, dall’individualismo alla comunione! Forse il primo miracolo da chiedere al Signore è proprio questa coscienza chiara e profonda che la nostra vocazione e missione esige l’incontro con gli altri: da soli i miracoli non si realizzeranno mai!! Siamo chiamati a ritrovare il gusto della relazione fraterna che abbiamo assaporato durante il Capitolo delle stuoie; una relazione fraterna aperta, gratuita e universale.

“Lasciarono tutto e lo seguirono”(v 11). Quando faremo della fiducia assoluta in Dio la nostra regola di vita, come ha fatto Francesco, allora soltanto ridiventeremo liberi e fedeli nella sequela, perché non avremo più nulla da perdere, e insieme riprenderemo il largo per una pesca miracolosa.

Vivere il vangelo per poter evangelizzare in verità

La vita di Francesco è una vita di totale e radicale obbedienza al Vangelo. “Lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo”(Test 14). Francesco, nella sua Regola, propone un’ideale di vita religiosa e cristiana, modellata sul Vangelo, sull’esempio di Gesù. Il Vangelo resta l’unica regola di vita, l’idea madre che lega e percorre tutti i 12 capitoli della Regola; questa inizia con l’appellarsi al Vangelo e termina raccomandando di essere fedeli al Vangelo. E’ il punto di partenza, di arrivo e di continuo confronto.

Francesco pratica, nei confronti del Vangelo, un’obbedienza senza sconti, né rimandi, alla lettera, “sine glossa”; senza annacquarlo né strumentalizzarlo. Quello che conta è vivere ancorati al Vangelo in un’attitudine contemplativa e fedele. Un’obbedienza che si fonda sulla fiducia assoluta nella Parola, nel Signore; e si esprime nel coraggio di osare senza paura. Francesco si lascia sorprendere e “portare” docilmente dalla Parola senza opporre resistenze.

Per lui vivere il Vangelo non è mettere in pratica delle prescrizioni morali, ma seguire la dottrina e le orme, la povertà e l’umiltà, la sofferenza e l’ignominia del Signore nostro Gesù Cristo. Di fronte a questa intuizione-ispirazione, Francesco non cede né ai frati, né alla Chiesa, quando vogliono proporgli una via mitigata, più organizzata, un ritorno alla vita religiosa del tempo.

Durante un Capitolo, prese per mano il cardinale Ugolino, protettore dell’Ordine, e lo condusse di fronte ai frati riuniti che chiedevano addolcimenti, e disse: “Fratelli miei, il Signore mi ha chiamato per la via dell’umiltà e della semplicità… Non voglio che mi nominiate nessuna Regola, né di S. Benedetto, né di S. Agostino, né di S. Bernardo… Il Signore mi ha detto che dovevo essere un novello pazzo in questo mondo...”(Spec 68).

L’incontro con la Parola, con il Cristo di S. Damiano, con i lebbrosi, hanno “destabilizzato” Francesco; lo hanno messo in cammino per una itineranza iniziata con il Vangelo, accompagnata dal Vangelo, terminata con il Vangelo: dal Crocifisso di S. Damiano alla Verna, dalla spoliazione in piazza ad Assisi di fronte al vescovo, alla spoliazione finale prima della morte.

Una spiritualità itinerante, sull’esempio di Gesù di Nazareth; una spiritualità libera e liberante, nella ricerca costante del volto di Dio e della sua volontà. Si tratta di una identità evangelica “in via”, che si costruisce camminando. Una spiritualità in cui ogni tipo di struttura dovrà essere in funzione di questo cammino ben orientato e guidato dalla Parola: una Parola che sorprende, che “destabilizza” e definisce periodicamente la nostra identità evangelica con le debite strutture che faciliteranno questo esodo cristiano...L’ancora che dà stabilità e sicurezza è il Vangelo.

In questo mondo “in fuga” senza sapere dove va; in questa cultura dell’effimero, del precario, dei cambiamenti rapidi e insospettabili, siamo chiamati a riappropriarci di questa intuizione chiara e dinamica di Francesco, radicati in una vera stabilità spirituale; siamo chiamati a incarnarla nel nostro quotidiano per farla diventare “Parola evangelica ed evangelizzatrice”. Quando ci si è incontrati con la Parola, si diventa Parola, si è portati dalla Parola e si porta la Parola al mondo. Oggi oltre a una vita evangelica, occorre una vita fraterna evangelizzatrice.

Vita evangelica, come esodo per incontrare l’uomo

Nelle sue origini, la spiritualità francescana è una spiritualità missionaria, una spiritualità dell’incontro, centrifuga come quella del NT. Tende a mettersi sempre in cammino, a rendersi presente all’altro nel suo “terreno”, nella sua situazione, nei suoi “luoghi”, nel suo “habitat”, prima ancora di diventare ospitalità e accoglienza. Una spiritualità legata all’uomo più che a una terra determinata, per quanto santa o peccatrice essa sia. La missione è un “atto” più che un discorso, o un progetto. “Andate”: esige audacia e fiducia insieme. “Li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore... e disse loro: Andate...”(Mc 16,14-15).

Tuttavia è importante notare che l’andare “inter gentes”, per Francesco esige un vero esodo, un uscire da se stessi per affidarsi totalmente al Signore; distaccarsi dalla sete di protagonismo e della propria affermazione, da ogni tipo di proprietà. Non basta essere in mezzo alla gente dal mattino alla sera; non basta essere “nel mondo”; occorre esserci “senza essere del mondo”, sposando i valori evangelici della kenosi e del servizio. Sono condizioni indispensabili per avvicinare il Vangelo alla storia, all’uomo e alla donna del nostro tempo.

Di conseguenza tutte le mediazioni e strutture, per essere vitali, dovranno continuamente confrontarsi con il Vangelo e armonizzarsi con i valori vivi della nostra vocazione e missione per poter dialogare con il mondo. Occorrono strutture e mediazioni provvisorie, soprattutto oggi che si parla di una “identità in via”.

Nessuna struttura è eterna; quindi è importante non vivere per la loro sopravvivenza ma per i valori che esse custodiscono. Si dovrà avere il coraggio di adattarle e trasformarle costantemente, verificarle con intelligenza affinché siano sempre portatrici di vita e non di morte. Siamo “viatores” con gli occhi fissi su Dio che viene. Aprirsi sempre più a forme e mediazioni aperte: inter-provinciali, inter-religiose e nella collaborazione con i laici.

La testimonianza della vita fraterna, prima forma di evangelizzazione

Nel nostro mondo globalizzato, viviamo una situazione di grave crisi per ciò che riguarda le relazioni nel loro insieme: relazioni uomo-donna, genitori-figli, autorità-sudditi, Chiesa-mondo; la relazione con l’altro in generale, con il diverso, con la politica, con il denaro... Una crisi che ha fatto dell’uomo un orfano, un solitario, un “mendicante di senso”. La vita, nel suo insieme, non ha più senso!

Ci stiamo incamminando verso una civiltà suicida; un suicidio lento o violento. Non stiamo più bene con noi stessi, con gli altri, con l’Altro. La vita ha perso non solo il senso cristiano, ma anche il senso umano! Si è persa anche la relazione con il tempo, con la storia. E’ sempre più determinante e fondamentale dare un significato umano e cristiano al mondo delle relazioni e, per noi, alla qualità delle nostre relazioni fraterne. La relazione fraterna è diventata sicuramente questa parola profetica che il mondo attende oggi!

Gli ultimi 40 anni della storia della Famiglia Francescana, dopo il Concilio Vat.II, sono stati chiaramente segnati dalla coscienza sempre più forte e indiscutibile, che siamo una fraternità. Una fraternità contemplativa in missione, nella minorità, come qualifica del nostro carisma. Questa dimensione fraterna, come elemento essenziale e costituzionale della nostra vocazione e missione, la troviamo in tutti i documenti.

Gli studi hanno dimostrato con molta evidenza questa peculiarità. Sappiamo anche molto bene, almeno teoricamente, che la prima missione, la prima forma di evangelizzazione di un francescano, al di là di ogni altra attività, è proprio la testimonianza di una vita fraterna serena e rispettosa; una relazione fraterna che è sempre da costruire, ma che deve restare il nostro principale impegno.

E una fraternità diventerà testimonianza missionaria nella misura in cui progredisce nella espropriazione: il Signore, chiamandoci a Lui, ci vuole “espropriati”e liberi; e poi ci manda al mondo, due a due, ancora senza portare nulla. Quindi anche la fraternità ha bisogno di esodo per diventare missionaria.

SFIDE:

1) La sfida dell’appartenenza

A chi apparteniamo? Chi amiamo veramente e cosa vogliamo concretamente? Troppi fratelli sono “orfani” e soli…perché appartengono solo a se stessi! Ricostruire questo senso di appartenenza al Signore, alla fraternità, come abbiamo promesso nella Professione, è una grossa sfida. Il sentirsi parte di una Famiglia non è un’opzione di generosità…ma la nostra vocazione!

Il vivere e il collaborare insieme in progetti di formazione ed evangelizzazione non è una strategia di efficienza o una necessità per mancanza di numero, ma una coscienza di vera fraternità che si costruisce insieme. Così come una missione, sia “inter gentes” che “ad gentes”, inter-provinciale o internazionale, non è un lusso per i più avventurosi, ma solo testimonianza evangelica di comunione vera, inerente alla nostra spiritualità.

Anzi, nel nostro mondo globalizzato, potrebbe diventare la vera parola profetica. C’è il pericolo dello “scisma bianco” di cui ha trattato l’ultimo Congresso sulla vita religiosa: si tratta di quelle forme di divisioni, di separazioni “tacite”, di indifferenza apatica nei confronti degli altri, dei valori fondamentali del carisma o dell’autorità centrale. Prevale così la filosofia del “fai da te” o del “si salvi chi può”!

Occorre allora approfondire e allargare gli orizzonti di questo senso di appartenenza. La consacrazione e i voti stessi sono in funzione del Regno, ultima e fondamentale appartenenza. Siamo “memoria viva del Vangelo e testimoni del Regno” già presente in mezzo a noi! Se manca questa visione teologica ci si chiude sempre più su se stessi, sul proprio convento, sulla propria Provincia, sul proprio Ordine. Infatti come si può affermare che un frate viene “rubato” a una Provincia perché viene chiamato a un servizio nell’Ordine o nelle missioni? A chi appartiene il frate?

Alcuni confratelli che dall’Africa ritornavano per qualche settimana nella loro Provincia, venivano addirittura tacciati di “traditori” dai loro stessi confratelli: “traditori” della loro Provincia! Forse è stato un “santo tradimento”, in quanto hanno oltrepassato gli angusti ed egoistici orizzonti provinciali per obbedire allo Spirito, a S. Francesco e all’autorità centrale, in vista del Regno. E’ questa una delle crisi interne più gravi che si sta vivendo.

2) Dirimere il divorzio tra Vangelo e storia , tra contemplazione e azione

C’è una forte crisi di spiritualità che si traduce nella fuga verso un attivismo sfrenato: abbiamo le giornate sempre più piene e il cuore sempre più vuoto! Siamo chiamati a “fermarci”, a rifare la gerarchia dei valori, a imparare a gestire il tempo che il Signore ci dà, a ri-situare periodicamente la nostra vita per ri-orientarla secondo la nostra professione religiosa e non secondo la logica del mondo.

Dalla Parola di Dio(At 6,1,1-7) ci viene suggerita una metodologia da seguire nei momenti di crisi e di smarrimento: fermarsi, prendere tempo per dialogare insieme e rifare la gerarchia dei valori. Non si può continuare a fare tutto come sempre. Il malcontento della primitiva comunità ha portato a cambiamenti radicali e a un cammino di rinnovamento; il disagio stesso non è sempre negativo, anzi può trasformarsi in occasione di grazia.

La Chiesa ci ricorda:”A ciascuno(consacrato) è richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fedeltà. Ciò che si deve assolutamente evitare è la vera sconfitta della vita consacrata, che non sta nel declino numerico, ma nel venir meno dell’adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione”(VC 63).

La crisi più grave dunque che corre oggi la vita consacrata non è la diminuzione delle vocazioni, l’invecchiamento, l’improduttività, ma l’insignificanza, l’inerzia nel continuare, meccanicamente e stancamente, senza speranza, a fare quello che si è sempre fatto, senza anima! La vera fedeltà non è legata alle forme storiche ma al Vangelo.

Se diciamo che la vita di relazione con Dio e con i fratelli sono priorità evangeliche assolute nella nostra esistenza, se siamo convinti e coerenti, dovremmo rivedere tutte le nostre attività, per ridare un nuovo contenuto a quello che facciamo, a partire da questi due pilastri che non sono altro che i primi due comandamenti. E qui occorre una “rivoluzione copernicana”!

3) Superare l’auto-referenzialità

Occorre superare l’auto-referenzialità sia personale che di una Fraternità determinata, o di una Provincia, o di un Ordine, con l’andare verso l’altro. E’ tempo di segni, di esperienze concrete, di ascolto e comunione. La Famiglia francescana è più ampia e più ricca dei nostri carismi personali, dei nostri “progetti” e possibilità provinciali, dei limiti angusti delle nostre nazioni, del nostro Ordine.

I nostri laici, le nostre sorelle del secondo e terzo Ordine hanno molto da dirci e da insegnarci; in certi casi esprimono molto meglio la radicalità evangelica di Francesco nel nostro tempo: perché non inventare qualche gesto missionario insieme? In certe parti si è già cominciato. Che bello poter ritrovare il senso di appartenenza a livello di Famiglia allargata!

La missione non è “un’aggiunta” secondaria al nostro carisma.”La missione rafforza la vita consacrata, le dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni, sollecita la sua fedeltà”(VC 78).

4) Riconciliare profetismo e comunione, missionarietà e ospitalità

Il cammino per le strade del mondo non contraddice il ritiro. Una fraternità mobile o itinerante deve saper vivere anche il ritiro e la preghiera, e non considerarsi in contrasto con una fraternità parrocchiale; come una fraternità contemplativa non è una fraternità di separazione ma di comunione a vantaggio di tutta una Provincia. I fratelli del nostro mondo globalizzato hanno bisogno di persone che vanno loro incontro e di coloro che sanno accogliere e condividere gratuitamente.

Dovremmo favorire gesti e mediazioni nuove, dove tutti siamo coinvolti. Dovrebbe diminuire soltanto il numero di coloro che “stanno a guardare alla finestra”, discutendo, commentando, progettando o criticando… Soprattutto evitare di mettere in contrasto gesti profetici di alcuni e impegni ordinari degli altri, nello sforzo di creare una sinergia rinnovata, coordinata e vissuta nell’obbedienza.

Segni nuovi, compiuti dai diversi fratelli, a livello interprovinciale e internazionale e da diverse Famiglie francescane, non sono un’utopia ma tentativi, già esistenti, alla ricerca di nuovi cammini fraterni di evangelizzazione. Sappiamo bene che la divisione o la contrapposizione tra Famiglie religiose non è certo una bella testimonianza di fraternità evangelica.

Conclusione

Nell’ultimo Capitolo delle stuoie di tutta la Famiglia francescana abbiamo celebrato la ricchezza del nostro carisma lungo otto secoli di storia; abbiamo riflettuto sulla vitalità e attualità dell’intuizione evangelica di Francesco, vissuta come una grazia dello Spirito, a cui si sono ispirati tanti uomini e donne di tanti Paesi e culture.

Abbiamo assaporato ancora una volta la bellezza della fraternità aperta, come riconciliazione delle diversità, nel rispetto e nell’accoglienza reciproca. Sarebbe augurabile che questa bella celebrazione avesse un seguito, che trovasse una qualche realizzazione, in gesti concreti, come normale per una celebrazione religiosa. Ma che tristezza se tutto fosse terminato come una qualunque “gloriosa commemorazione mondana”, in vista soltanto di un’efficiente propaganda religiosa!

Siamo dunque chiamati a dare un seguito a questo “segno” che il Signore ci ha concesso di vivere; abbiamo addirittura una responsabilità storica nei confronti di tanti fratelli e sorelle che ci hanno preceduto in questo cammino evangelico. La Chiesa ci direbbe che non abbiamo “solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire” (VC 110). Il pericolo di fermarsi a guardare indietro è sempre attuale e questo impedisce di essere creativi.

E’ stato scritto che “popoli e culture con più storia hanno più difficoltà a slanciarsi verso il nuovo e a inventarlo: è quasi fisiologico”. Coscienti di questo pericolo, siamo dunque chiamati a re-inventare il nostro presente in vista di un futuro voluto dallo Spirito. Guardare ossessivamente nello specchietto retrovisore è una vera psicopatologia!

Il Capitolo delle stuoie dovrebbe avere una continuità oggi, nel tentare anche nuove forme di vita e di evangelizzazione, nuove fraternità inter-obbedienziali, forse provvisorie, in vista delle diverse missioni nelle varie zone geografiche. Se tutto resta come prima, dobbiamo riconoscere che abbiamo ancora perso un’occasione storica, una Grazia che ci è stata offerta.


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