Cosa significa il ritorno dell'Italia al nucleare? Francesca Smacchia di Ecoradio lo ha chiesto a Massimo Scalia, docente di fisica ambientale presso l'Università La Sapienza di Roma.
QualEnergia.it - Il Senato ha approvato in via definitiva il ddl sviluppo che sancisce il ritorno all'energia dell'atomo in Italia. Entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge, il governo deve adottare uno o più decreti legislativi per la localizzazione sul territorio nazionale degli impianti e dei sistemi di stoccaggio e deposito dei rifiuti radioattivi. Segnali di apertura dalle Regioni Sicilia e Veneto mentre la Basilicata si è tirata indietro. Ma di che tipo di nucleare stiamo parlando? Francesca Smacchia di Ecoradio lo ha chiesto al Prof. Massimo Scalia, docente di fisica ambientale presso l'Università La Sapienza di Roma.
Per Scalia c’è una netta incoerenza tra ciò che è stato discusso al G8 e la decisione del governo italiano di ritornare al nucleare. Per Scalia l’Italia si muove nel verso opposto della storia e rispetto alle grandi potenze straniere, se escludiamo la Francia sponsor dell'atomo italiano.
Chiamare di "terza generazione avanzata" le centrali da realizzare per Scalia è molto fuorviante, perché non si tratta che di una seconda generazione che cerca di superare, a 30 anni di distanza dal grave guasto di Three Miles Island, problemi di vecchia data.
Scalia parla poi di rilasci di radioattività all’esterno delle centrali, con gravi effetti sanitari e dell’irrilevante contributo al 2020-2025 che può fornire il nucleare in merito al taglio delle emissioni climalteranti.
I quattro reattori previsti dal governo italiano avranno un costo di 30 miliardi di euro che quasi certamente verranno presi dalle tasche degli italiani e non certo investiti dalle società energetiche. Risorse che verranno decurtate al settore della green economy e soprattutto all’industria nazionale delle energie rinnovabili, ancora molto debole rispetto a molte altre nazioni.
Insomma, per il docente di fisica ambientale, ilritorno al nucleare dell''Italia è una scelta da ancien régime.
QualEnergia.it - Il Senato ha approvato in via definitiva il ddl sviluppo che sancisce il ritorno all'energia dell'atomo in Italia. Entro 6 mesi dall'entrata in vigore della legge, il governo deve adottare uno o più decreti legislativi per la localizzazione sul territorio nazionale degli impianti e dei sistemi di stoccaggio e deposito dei rifiuti radioattivi. Segnali di apertura dalle Regioni Sicilia e Veneto mentre la Basilicata si è tirata indietro. Ma di che tipo di nucleare stiamo parlando? Francesca Smacchia di Ecoradio lo ha chiesto al Prof. Massimo Scalia, docente di fisica ambientale presso l'Università La Sapienza di Roma.Per Scalia c’è una netta incoerenza tra ciò che è stato discusso al G8 e la decisione del governo italiano di ritornare al nucleare. Per Scalia l’Italia si muove nel verso opposto della storia e rispetto alle grandi potenze straniere, se escludiamo la Francia sponsor dell'atomo italiano.
Chiamare di "terza generazione avanzata" le centrali da realizzare per Scalia è molto fuorviante, perché non si tratta che di una seconda generazione che cerca di superare, a 30 anni di distanza dal grave guasto di Three Miles Island, problemi di vecchia data.
Scalia parla poi di rilasci di radioattività all’esterno delle centrali, con gravi effetti sanitari e dell’irrilevante contributo al 2020-2025 che può fornire il nucleare in merito al taglio delle emissioni climalteranti.
I quattro reattori previsti dal governo italiano avranno un costo di 30 miliardi di euro che quasi certamente verranno presi dalle tasche degli italiani e non certo investiti dalle società energetiche. Risorse che verranno decurtate al settore della green economy e soprattutto all’industria nazionale delle energie rinnovabili, ancora molto debole rispetto a molte altre nazioni.
Insomma, per il docente di fisica ambientale, ilritorno al nucleare dell''Italia è una scelta da ancien régime.
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