Opinioni di politici, industriali, economisti e teologi… e anche un po’ di storia
del nostro redattore Carlo Mafera (quarta parte)
Prima della pubblicazione della nuova enciclica di Benedetto XVI, si sono svolti tanti dibattiti propedeutici, il più famoso dei quali è stato quello dell’otto gennaio 2009 dove Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha pronunciato un discorso sull’attualità della Dottrina Sociale della Chiesa. “Gli aspetti permanenti della DSC le derivano anche dalla tradizione apostolica – ha detto mons. Crepaldi - … non solo la DSC ha una sua propria tradizione che comincia nel 1891 con la Rerum Novarum, ma si inserisce in pieno nella tradizione viva della Chiesa da cui trova alimento”. Sempre sul concetto dell’attualità del pensiero sociale cattolico Crepaldi ha specificato “L’attualità di un’enciclica non è data solo dai problemi sociali nuovi che essa affronta. Se così fosse, per stabilire la “attualità” della prossima enciclica sociale di Benedetto XVI sarebbe sufficiente fare l’inventario dei problemi sociali in essa affrontati e vedere quanti e quali non erano presenti nelle precedenti encicliche. Così però non è, per il semplice fatto che un’enciclica sociale non è un’indagine sociologica. Si capisce allora che la “attualità” della dottrina sociale della Chiesa non deriva solo dai fatti nuovi che l’umanità deve affrontare, ma dallo stesso Vangelo, che è sempre nuovo, in quanto è Parola incarnata. I fatti storici nuovi possono svolgere il loro ruolo di stimolo ad una rilettura della verità di sempre, perché la verità di sempre è essenzialmente aperta a ciò. Se così non fosse infatti, ogni enciclica parlerebbe solo agli uomini del suo tempo. C’è invece nella dottrina sociale della Chiesa un elemento profetico avente i caratteri della inesauribilità e irriducibilità che le deriva dal Vangelo. Cristo è sempre attuale, e non dimentichiamo che la dottrina sociale della Chiesa è “annuncio di Cristo”.”
Un altro aspetto importante che rende attuale il pensiero sociale della Chiesa è il “realismo cristiano”, per il quale Cristo si occupa dell’uomo concreto e non in astratto, come ha ben evidenziato la Centesimus Annus. “Cristo non è un filosofo, un teorico di nuovi assetti sociali, un capo popolo o un analista sociale – ha continuato mons. Crepaldi - … Egli è il figlio di Dio che si è fatto uomo, concretamente uomo, carnalmente uomo, e, diventando uomo, si è realmente unito a tutti gli uomini ed ha indicato una via: la via dell’uomo. Così, per esempio, di fronte alla globalizzazione, la Chiesa non manca di ricondurla alla responsabilità umana e consiglia a considerarla come una opportunità che va ordinata moralmente. Riguardo poi al fenomeno delle immigrazioni, la dottrina sociale della Chiesa sottolinea il dovere della solidarietà e dell’accoglienza ma mette in evidenza anche i doveri dei migranti. Bisogna parlare di reciprocità perché l’integrazione impegna sia chi accoglie ma anche chi viene accolto. In tema di sviluppo la Chiesa ha un pensiero ancora più evoluto. Non considera più attuale il rapporto Nord-Sud come risolutivo del problema. “La realtà è molto più complessa – ha detto mons. Crepaldi - … c’è la presenza della Cina in Africa, il ruolo dei paesi emergenti, c’è lo sfruttamento oltre la collaborazione Sud-Sud; ci sono i limiti delle culture ancestrali che alimentano il tribalismo; c’è un uso improprio - sia dei paesi sviluppati che anche di quelli in via di sviluppo - del turismo”. E tutto ciò incide non poco negli equilibri economici internazionali. “Il compito della Chiesa - ha concluso Crepaldi – è quello di allargare la ragione ma anche il cuore. E per far ciò c’è bisogno di un’alleanza tra ragione e fede… Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo, se superiamo la limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza.” Anche Benedetto XVI ha più volte sottolineato durante il suo pontificato, e in particolare nella sua lezione magistralis all’università di Regensburg, che ci vuole l’allargamento del cuore oltre che quello della ragione. Infatti riferendosi a Sant’Agostino, il Papa dice che “l’uomo è stato creato per una realta grande… Ma il suo cuore è troppo stretto per la grande realtà che gli è assegnata. Deve essere allargato… allargato e poi ripulito.” La DSC si è sempre impegnata a sostenere che nessun fatto sociale di tipo materiale si spiega solo con motivazioni materiali. L’economia non è mai solo economia.
Così Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus dimostrò e disse che quando succede che un sistema economico crolla, le cause vanno ricercate “non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etico-religiosa, si è indebolita e ormai si limita solo alla produzione di beni e servizi”. Così sta succedendo con l’attuale crisi finanziaria. Questa non è soltanto una crisi finanziaria ma una crisi di fiducia creata da speculatori senza scrupoli. “La fiducia - dice mons. Crepaldi - non è un elemento in sé finanziario, eppure se non c’è la fiducia la finanza non funziona. Un elemento della crisi finanziaria di oggi è che le banche non si fidano più l’una dell’altra”. E così egli continua: ”Se un’impresa fallisce non è solo per motivi solo economici. Del resto così capita per le famiglie: se non c’è unità, la famiglia anche si impoverisce”. Così anche la coppia. Se in essa manca la fiducia e spesso questa manca talvolta per mancanza di comunicazione (o per fraintendimenti) questa viene meno. E così separazioni e divorzi sono oggi una delle principali cause della disgregazione della famiglia e della società intera. Mons. Crepaldi così conclude il suo intervento dell’8 gennaio scorso presso l’Oratorio Don bosco a Reggio Emilia: “Il secondo ambito è quello di aprire spazi nelle relazioni sociali alla carità e all’amore, però non in modo marginale o suppletivo, bensì dall’interno delle stesse relazioni sociali ed economiche. Giustizia significa dare a ciascuno il suo. La giustizia ci fa dare quanto dobbiamo dare: o pagando, se si tratta del mercato, o ottemperando alla legge, se si tratta dello Stato. La giustizia è importante e non può esserci carità che scavalchi la giustizia. La giustizia però non è tutto. Infatti, se è vero che la persona matura il senso della propria dignità quando viene trattata con giustizia, è altrettanto vero, e forse ancor di più, che si fa originariamente esperienza della propria dignità quando si riceve di più di quanto ci è dovuto. E’ l’immeritato a farci capire che valiamo qualcosa e che siamo qualcuno. Se quello che riceviamo è eccedente rispetto a quello che diamo, se é gratuito e rappresenta per noi una sorpresa, allora comprendiamo che noi veramente contiamo molto. In altre parole solo davanti all’amore la persona fa autentica esperienza della propria dignità. Chi non conosce la carità maturerà la nozione dei propri diritti, ma non avendo fatto esperienza di qualcuno che non solo gli abbia dato quanto gli spetta ma gli abbia donato anche se stesso, non comprenderà a pieno il proprio valore incommensurabile. Penserà di avere un valore sì, ma misurabile. E’ per questo che Giovanni Paolo II ha scritto che la trascendente dignità della persona nasce dalla “chiamata” di Dio il quale, come ci ha ricordato Benedetto XVI, è amore.
La giustizia si fonda sul rispetto della dignità della persona, ma la dignità della persona non nasce solo dalla giustizia, ma dall’amore. La giustizia può essere anche una “fredda giustizia”, come scriveva Nietzsche. E infatti sia la giustizia del mercato che quella dello Stato sono spesso una fredda giustizia, tale che essa – la giustizia – è più importante della stessa persona. La giustizia non è quindi all’origine, in quanto non è in grado di fondare la dignità della persona su cui essa si giustifica. All’origine c’è l’amore, che precede e non solo segue la giustizia. Normalmente si pensa che ci sia la giustizia e poi la carità. Si pensa che la carità inizi laddove termina la giustizia. E’ lo stesso errore che facciamo tra la ragione e la fede. Come se la fede iniziasse quando la ragione ha fatto autonomamente il suo corso. Senza la carità la giustizia non è nemmeno giustizia. «Senza la carità fraterna è perfino impossibile vedere fino in fondo la dignità della persona umana e l’appello che ogni persona debole e fragile ci fa. Certo, c’è la giustizia, che consiste nel dare a ciascuno il suo. Ma è veramente possibile vedere fino in fondo in cosa consista quel “a ciascuno il suo” senza la carità? E’ possibile veramente vedere nell’altro, specialmente nell’indigente, non un fardello (da accollarsi!!) ma una risorsa, come auspica l’enciclica Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II?”.
1° parte
2° parte
3° parte
5° parte
6° parte)
del nostro redattore Carlo Mafera (quarta parte)Prima della pubblicazione della nuova enciclica di Benedetto XVI, si sono svolti tanti dibattiti propedeutici, il più famoso dei quali è stato quello dell’otto gennaio 2009 dove Mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha pronunciato un discorso sull’attualità della Dottrina Sociale della Chiesa. “Gli aspetti permanenti della DSC le derivano anche dalla tradizione apostolica – ha detto mons. Crepaldi - … non solo la DSC ha una sua propria tradizione che comincia nel 1891 con la Rerum Novarum, ma si inserisce in pieno nella tradizione viva della Chiesa da cui trova alimento”. Sempre sul concetto dell’attualità del pensiero sociale cattolico Crepaldi ha specificato “L’attualità di un’enciclica non è data solo dai problemi sociali nuovi che essa affronta. Se così fosse, per stabilire la “attualità” della prossima enciclica sociale di Benedetto XVI sarebbe sufficiente fare l’inventario dei problemi sociali in essa affrontati e vedere quanti e quali non erano presenti nelle precedenti encicliche. Così però non è, per il semplice fatto che un’enciclica sociale non è un’indagine sociologica. Si capisce allora che la “attualità” della dottrina sociale della Chiesa non deriva solo dai fatti nuovi che l’umanità deve affrontare, ma dallo stesso Vangelo, che è sempre nuovo, in quanto è Parola incarnata. I fatti storici nuovi possono svolgere il loro ruolo di stimolo ad una rilettura della verità di sempre, perché la verità di sempre è essenzialmente aperta a ciò. Se così non fosse infatti, ogni enciclica parlerebbe solo agli uomini del suo tempo. C’è invece nella dottrina sociale della Chiesa un elemento profetico avente i caratteri della inesauribilità e irriducibilità che le deriva dal Vangelo. Cristo è sempre attuale, e non dimentichiamo che la dottrina sociale della Chiesa è “annuncio di Cristo”.”
Un altro aspetto importante che rende attuale il pensiero sociale della Chiesa è il “realismo cristiano”, per il quale Cristo si occupa dell’uomo concreto e non in astratto, come ha ben evidenziato la Centesimus Annus. “Cristo non è un filosofo, un teorico di nuovi assetti sociali, un capo popolo o un analista sociale – ha continuato mons. Crepaldi - … Egli è il figlio di Dio che si è fatto uomo, concretamente uomo, carnalmente uomo, e, diventando uomo, si è realmente unito a tutti gli uomini ed ha indicato una via: la via dell’uomo. Così, per esempio, di fronte alla globalizzazione, la Chiesa non manca di ricondurla alla responsabilità umana e consiglia a considerarla come una opportunità che va ordinata moralmente. Riguardo poi al fenomeno delle immigrazioni, la dottrina sociale della Chiesa sottolinea il dovere della solidarietà e dell’accoglienza ma mette in evidenza anche i doveri dei migranti. Bisogna parlare di reciprocità perché l’integrazione impegna sia chi accoglie ma anche chi viene accolto. In tema di sviluppo la Chiesa ha un pensiero ancora più evoluto. Non considera più attuale il rapporto Nord-Sud come risolutivo del problema. “La realtà è molto più complessa – ha detto mons. Crepaldi - … c’è la presenza della Cina in Africa, il ruolo dei paesi emergenti, c’è lo sfruttamento oltre la collaborazione Sud-Sud; ci sono i limiti delle culture ancestrali che alimentano il tribalismo; c’è un uso improprio - sia dei paesi sviluppati che anche di quelli in via di sviluppo - del turismo”. E tutto ciò incide non poco negli equilibri economici internazionali. “Il compito della Chiesa - ha concluso Crepaldi – è quello di allargare la ragione ma anche il cuore. E per far ciò c’è bisogno di un’alleanza tra ragione e fede… Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo, se superiamo la limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza.” Anche Benedetto XVI ha più volte sottolineato durante il suo pontificato, e in particolare nella sua lezione magistralis all’università di Regensburg, che ci vuole l’allargamento del cuore oltre che quello della ragione. Infatti riferendosi a Sant’Agostino, il Papa dice che “l’uomo è stato creato per una realta grande… Ma il suo cuore è troppo stretto per la grande realtà che gli è assegnata. Deve essere allargato… allargato e poi ripulito.” La DSC si è sempre impegnata a sostenere che nessun fatto sociale di tipo materiale si spiega solo con motivazioni materiali. L’economia non è mai solo economia.
Così Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus dimostrò e disse che quando succede che un sistema economico crolla, le cause vanno ricercate “non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l’intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etico-religiosa, si è indebolita e ormai si limita solo alla produzione di beni e servizi”. Così sta succedendo con l’attuale crisi finanziaria. Questa non è soltanto una crisi finanziaria ma una crisi di fiducia creata da speculatori senza scrupoli. “La fiducia - dice mons. Crepaldi - non è un elemento in sé finanziario, eppure se non c’è la fiducia la finanza non funziona. Un elemento della crisi finanziaria di oggi è che le banche non si fidano più l’una dell’altra”. E così egli continua: ”Se un’impresa fallisce non è solo per motivi solo economici. Del resto così capita per le famiglie: se non c’è unità, la famiglia anche si impoverisce”. Così anche la coppia. Se in essa manca la fiducia e spesso questa manca talvolta per mancanza di comunicazione (o per fraintendimenti) questa viene meno. E così separazioni e divorzi sono oggi una delle principali cause della disgregazione della famiglia e della società intera. Mons. Crepaldi così conclude il suo intervento dell’8 gennaio scorso presso l’Oratorio Don bosco a Reggio Emilia: “Il secondo ambito è quello di aprire spazi nelle relazioni sociali alla carità e all’amore, però non in modo marginale o suppletivo, bensì dall’interno delle stesse relazioni sociali ed economiche. Giustizia significa dare a ciascuno il suo. La giustizia ci fa dare quanto dobbiamo dare: o pagando, se si tratta del mercato, o ottemperando alla legge, se si tratta dello Stato. La giustizia è importante e non può esserci carità che scavalchi la giustizia. La giustizia però non è tutto. Infatti, se è vero che la persona matura il senso della propria dignità quando viene trattata con giustizia, è altrettanto vero, e forse ancor di più, che si fa originariamente esperienza della propria dignità quando si riceve di più di quanto ci è dovuto. E’ l’immeritato a farci capire che valiamo qualcosa e che siamo qualcuno. Se quello che riceviamo è eccedente rispetto a quello che diamo, se é gratuito e rappresenta per noi una sorpresa, allora comprendiamo che noi veramente contiamo molto. In altre parole solo davanti all’amore la persona fa autentica esperienza della propria dignità. Chi non conosce la carità maturerà la nozione dei propri diritti, ma non avendo fatto esperienza di qualcuno che non solo gli abbia dato quanto gli spetta ma gli abbia donato anche se stesso, non comprenderà a pieno il proprio valore incommensurabile. Penserà di avere un valore sì, ma misurabile. E’ per questo che Giovanni Paolo II ha scritto che la trascendente dignità della persona nasce dalla “chiamata” di Dio il quale, come ci ha ricordato Benedetto XVI, è amore.
La giustizia si fonda sul rispetto della dignità della persona, ma la dignità della persona non nasce solo dalla giustizia, ma dall’amore. La giustizia può essere anche una “fredda giustizia”, come scriveva Nietzsche. E infatti sia la giustizia del mercato che quella dello Stato sono spesso una fredda giustizia, tale che essa – la giustizia – è più importante della stessa persona. La giustizia non è quindi all’origine, in quanto non è in grado di fondare la dignità della persona su cui essa si giustifica. All’origine c’è l’amore, che precede e non solo segue la giustizia. Normalmente si pensa che ci sia la giustizia e poi la carità. Si pensa che la carità inizi laddove termina la giustizia. E’ lo stesso errore che facciamo tra la ragione e la fede. Come se la fede iniziasse quando la ragione ha fatto autonomamente il suo corso. Senza la carità la giustizia non è nemmeno giustizia. «Senza la carità fraterna è perfino impossibile vedere fino in fondo la dignità della persona umana e l’appello che ogni persona debole e fragile ci fa. Certo, c’è la giustizia, che consiste nel dare a ciascuno il suo. Ma è veramente possibile vedere fino in fondo in cosa consista quel “a ciascuno il suo” senza la carità? E’ possibile veramente vedere nell’altro, specialmente nell’indigente, non un fardello (da accollarsi!!) ma una risorsa, come auspica l’enciclica Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II?”.
1° parte
2° parte
3° parte
5° parte
6° parte)
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