martedì, luglio 21, 2009
del nostro redattore Carlo Mafera

Centocinquanta anni fa nulla lasciava presagire che John D. Rockfeller, mercante di granaglie e di carne dell’Ohio, sarebbe divenuto il maggiore esportatore mondiale di “liquidi infiammabili”. A quell’epoca in Pennsylvania, e ben presto nel Caucaso, il petrolio sgorgava dal suolo in fontane zampillanti. Ma come fare ad arginare, incanalare, immagazzinare e soprattutto esportare il cosiddetto “olio di roccia”? La speculazione andava a gonfie vele perché i pozzi più grossi producevano da 750mila a un milione di chilogrammi di petrolio grezzo ogni ventiquattro ore. Tuttavia, la produzione, che comunque variava da un pozzo all’altro, poteva diminuire piuttosto rapidamente. Dopo una trivellazione fortunata, accadeva a volte che lo zampillo risplendesse fiammeggiante per poi seccarsi nel giro di due mesi. Lavorare il petrolio sul posto presentava troppi pericoli. Le prime città petrolifere come ad esempio Corry, detta Oil-Dorado, non erano che accampamenti da cui tutti scappavano non appena terminato il lavoro. Le torri di trivellazioni, le piccole macchine a vapore, le ferrovie, avevano preceduto le case che in principio erano dei tuguri costruiti sui tronchi d’albero tagliati a due metri da terra.

In quegli stessi anni, nel Caucaso, a Balakhani, si costruivano i primi oleodotti, inizialmente lunghi solo pochi chilometri, ma che presto si spinsero fino a Baku e Batum cioè a ottocento chilometri di distanza, sul mar Caspio, dove alcune navi prendevano in consegna il petrolio. Nel 1897 c’erano già quattro petroliere in circolazione nel Mediterraneo. Il Petrolio era versato direttamente nello scafo, che formava un enorme bacino diviso in compartimenti da paratie stagne. Nel mar Caspio il trasporto si effettuava agevolmente. Nel Mediterraneo invece, i rischi erano notevoli. Il Petrolio va infatti in ebollizione a 29° gradi. Col caldo, la petroliera si trasformava in una sorte di vascello fantasma avvolto in una nuvola di vapore infiammabile. Bastava una scintilla per far esplodere tutto. Nelle estati torride non era raro che una petroliera dovesse bruscamente spegnere tutti i fuochi, bloccare le caldaie, chiudere le cucine e andare alla deriva in attesa che sul mare tornasse il fresco.

Nel 1863 Rockfeller aveva fondato la “Standard Oil Company of Ohio”. Convinto che di petrolio ce n’è sempre troppo là dove sgorga e mai abbastanza là dove si vende, Rockfeller si concentrò sullo studio del problema di come smaltire la produzione. Un vecchio proverbio texano diceva infatti che “chi scava un pozzo si rovina, chi sa vendere il petrolio si arric chisce”. Rockfeller acquistò foreste che fornissero il legno per i barili, aprì impianti di raffinazione, comprò navi e vagoni ferroviari che offrivano ogni garanzia di sicurezza per il trasporto dei prodotti. Come tutti i grandi produttori americani, teneva sotto controllo, quasi al centesimo, i costi di produzione e di trasporto. Fu soltanto nel 1872, quando la società raffinava già diecimila barili di petrolio “lampante” cioè da illuminazione, ogni giorno, che Rockfeller iniziò a costruire oleodotti. A loro volta questi servivano ad approvvigionare dei vagoni – cisterna. Da qui il petrolio veniva travasato in barili di diciannove litri che, come i bidoni del latte, venivano consegnati direttamente al cliente, sia che fosse americano, eschimese o europeo. Quando da “lampante” il petrolio si trasformò in “energetico” il petrolio divenne indispensabile per soddisfare tutti i bisogni della società e contribuì ad incrementarli e la storia di questa preziosa materia prima continua ancora oggi.

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