domenica, giugno 14, 2009

di Carlo Mafera

Il desiderio di essere sempre altrove e di incontrare l’altro è una spinta fortissima di ogni persona che vuole colmare quel senso di incompletezza dello spirito ruggente dentro ciascuno di noi (per parafrasare un po’ Ugo Foscolo). Purtroppo questa aspettativa verso l’altro e l’altrove talvolta può diventare devastante perché sembra che si faccia tutto il possibile per evitare il confronto doloroso con la nostra fondamentale solitudine, lasciandoci intrappolare dai cosiddetti “specchietti delle allodole” nei quali cadiamo inesorabilmente. Le discoteche, la musica assordante, i numerosi incontri con gli altri, la fretta di arrivare e di tornare, dopo essersi storditi con l’alcool, perché alla fine non si è incontrato nessuno e non ci si è per niente divertiti, sono i nuovi idoli su cui sacrificare tante vite umane in modo insensato e assurdo. Se si avesse invece la consapevolezza, sia pure dolorosa, della propria solitudine esistenziale, si potrebbe comprendere che questa vada elaborata e sublimata per guardare oltre i suoi confini. Infatti tale consapevolezza può essere un dono da proteggere e da difendere, perché la solitudine ci rivela un vuoto interiore, che potrebbe essere distruttivo se incompreso, ma colmo di promesse per chi riesce a tollerarne il dolore soave. Spesso siamo impazienti e vogliamo rinunciare alla solitudine cercando di superare il senso di separazione e di incompletezza mettendoci in relazione con il mondo senza riflettere e con aspettative deludenti. Vogliamo, a tutti i costi, ignorare ciò che sappiamo per conoscenza interiore e cioè che né amore, né amicizia, né uomo, né donna saranno mai in grado di soddisfare il nostro desiderio di essere liberati dalla nostra condizione solitaria. Questa realtà è tanto sconcertante da renderci propensi a fare voli pindarici, piuttosto che accettare la verità dell’esistenza. E così speriamo che un giorno troveremo la persona che comprenderà le nostre esperienze e che porterà pace nella nostra vita irrequieta oppure il lavoro nel quale potremo dispiegare tutte le nostre potenzialità o il luogo dove ci sentiremo finalmente a nostro agio. Questa aspettativa ci indurrà a crearci pretese stancanti predisponendoci poi all’amarezza e a rovinosi sensi di ostilità. Infatti quanto prima scopriremo che niente e nessuno può corrispondere alle nostre attese. Ciò dovrebbe essere compreso dai nostri giovani che devono essere indirizzati a cercare prima dentro di se stessi prima di relazionarsi all’esterno. Devono imparare a non aver paura di entrare nel loro stesso nucleo per concentrarsi sulle emozioni dell’anima e sentire ciò che realmente sentono dentro senza cercarlo fuori. Solo scoprendo l’amore e in particolare l’Amore di Dio per noi, i giovani e non solo i giovani, sapranno donare a loro volta l’amore agli altri e liberarli perché si è stati liberati da Colui che ha un cuore più grande del nostro. Solo scoprendo gli ancoraggi e i punti fermi del loro centro interiore, i giovani non andranno ad ammazzare e a farsi ammazzare nelle stragi del sabato sera (e purtroppo di recente non solo il sabato), ma saranno in grado di incontrarsi in luoghi sani per far entrare gli altri nel vuoto creato per loro, lasciando che gli altri danzino le vere danze, che cantino le canzoni più spontanee e che comunichino con il linguaggio più semplice. E il luogo non sarà più la discoteca ma lo spazio interiore che ciascuno avrà lasciato per l’altro.


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