giovedì, maggio 21, 2009
Il sindaco: «Abbiamo 100 progetti, obiettivo l'Expo. La borghesia esiste anche se resta nascosta»

Milano — «Raccogliamo la sfida del nostro cardinale. Siamo pronti a dare il nostro contributo per fare sistema: con una raccolta di idee per la città e valorizzando il molto che già esiste». Letizia Moratti scorre l'intervista dell'arcivescovo Dionigi Tettamanzi e ad un tratto scuote la testa: «Questo no. Condivido molti passaggi dell'analisi dell'arcivescovo, ma non si può dire che Milano abbia perso la sua anima. Milano ha un'anima molto radicata, ha risorse molto grandi, ha consapevolezza del proprio ruolo e della propria missione».
Signor sindaco, l'arcivescovo Tettamanzi si chiede se esista ancora la borghesia milanese. Cosa gli risponde?
«La borghesia esiste ancora e fa ancora la sua parte, pur restando nascosta. Ma Milano oggi ha nuovi protagonisti, che sono cresciuti e si sono imposti di pari passo con la trasformazione della città. E in questi nuovi protagonisti vedo la volontà di partecipare al bene comune».

Ha in mente qualche nome?
«Basta leggere le cronache di questi giorni. Giuseppe Rotelli, che inventa un'eccellenza come il Policlinico San Donato, è un valore per Milano. Così Livia Pomodoro che ricorda sua sorella Teresa tenendo vivo un teatro sociale; la Fondazione Trussardi e le mostre che finanzia; la Fornace Curti frequentata da artisti internazionali; la Fondazione Rava che aiuta i bambini: e potrei continuare a lungo..».

Quindi, i milanesi ci sono?
«Certo. E ci hanno sostenuto anche nella vicenda di Expo: singoli cittadini, associazioni, imprenditori, banche e fondazioni. Milano c'è e ci crede».

Anche il cardinale riconosce che Expo sia un'occasione: ma l'impasse di questo anno?
«C'è un'altra Expo oltre a quella raccontata dai media, che si concentrano sui problemi della governance e dei fondi. Ci sono accordi, paesi che hanno avviato progetti grazie al nostro contributo: Milano si riconosce in questo».

Tettamanzi dice: «Occorre ricondurre tutte le scelte amministrative ad una grande, organica visione di città». Manca la visione?
«Manca, come ben spiega il cardinale in un altro passaggio, la capacità di fare sintesi. Mi spiego: è riduttivo parlare per compartimenti stagni e pensare all'ambiente, poi al sociale, poi alla cultura. Ci sono tanti fili e a noi spetta il compito di intrecciarli: per questo accettiamo la sfida e pensiamo a 50 progetti. Diamoci l'obiettivo del 2015, anno di Expo. Raccogliamo le 50 idee più significative che possano caratterizzare la nuova Milano. Accanto, però, diamo visibilità a 50 realtà che già esistono: è il nostro modo per far vivere e crescere la speranza, seguendo il monito di Tettamanzi».

«L'individualismo mina la solidarietà». Milano è una città aperta o ostile?
«Milano è una città apertissima e infatti arrivano qui stranieri e studenti, creativi e imprenditori che la scelgono per le molte opportunità che offre. Il problema dell'integrazione è giustamente posto: ma se si fa un giro nelle nostre scuole e nei nostri campi sportivi si vede che Milano è una città integrata».

Non può negare le difficoltà di questa integrazione e le spinte talvolta un po' eccessive in senso opposto.
«Non le nego, ma fanno parte delle realtà di tutte le metropoli. Il nostro obiettivo continua ad esser di fare politiche che siano equilibrate: politiche sociali e ordinanze sulla sicurezza. Sennò generiamo nei cittadini reazioni di chiusura e di autodifesa, che spesso sono giustificate e comprensibili».

Milano non è più un laboratorio ?
«Milano è tuttora un laboratorio di idee, progetti e vita. Certo, siamo molto esigenti e quindi vorremmo giustamente che si facesse meglio e di più. Infatti, guardiamo con attenzione a molte realtà in Europa e nel mondo che vogliamo riproporre da noi. Ma si sappia che molti all'estero prendono noi come esempio».

Giorgio La Pira ogni sera si chiedeva come era stato buon sindaco, quel giorno, per la sua città. Lei si pone questa domanda?
«Sì, spesso. Vorrei fare di più e meglio ma credo sia mio e nostro dovere dare fiducia a Milano, restituirle orgoglio».

Per cosa vorrebbe essere ricordata?
«Per avere lasciato una città sicura di sé, orgogliosa e bella da vivere».

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