venerdì, aprile 17, 2009
di Monica Cardarelli

Ogni giorno assistiamo più o meno attoniti ad un crescendo di reazioni violente che si scatenano senza alcun motivo o per motivi del tutto futili fra gli uomini in ogni luogo e in ogni momento. Non riusciamo a spiegarci perché ci stiamo avvicinando a grandi passi non tanto ad un progresso umano quanto ad un abisso. Viene spontaneo porsi delle domande in proposito. Cosa è il progresso? Quale la strada su cui proseguire, avanzare e quale invece il percorso da evitare per non tornare indietro? Come viene vissuto nel concreto il rapporto ragione/emozione? Fino a che punto l’uomo riesce ad ascoltare la propria voce, quanto vuole dar voce agli altri e come riconoscere e riconoscersi in una natura che ci è madre? Infiniti sono gli interrogativi che possiamo continuare a porci ,e non ultimo, quale libertà per l’uomo nella scelta del suo destino e di quello dell’umanità? Quale spazio l’uomo lascia, in questa ricerca della libertà, a Dio e alla sua volontà?

Nei giorni scorsi mi è capitato di rileggere “Memorie del sottosuolo”, di Fedor Dostoevskij. È bizzarro pensare di trovare fra le pagine di questo primo scritto, redatto nel 1864,
di un autore come Dostoevskij, una riflessione sulla personalità umana estremamente attuale. “Ci sarà per esempio una noia tremenda, ma in cambio tutto sarà straordinariamente ragionevole. Certo, dalla noia, che cosa non s’inventa? Infatti, anche gli spilli d’oro si piantano per noia, ma tutto questo non sarebbe niente. Il brutto è che, chi sa mai, c’è anche il caso che la gente allora si rallegri agli spilli d’oro. Perché l’uomo è sciocco, sciocco in modo fenomenale. Infatti io, per esempio, non mi meraviglierei per nulla se a un tratto, di punto in bianco, in mezzo all’universale saggezza futura sorgesse un qualche gentlemen dall’aspetto ignobile o, per meglio dire, retrogrado e beffardo, si mettesse le mani sui fianchi e dicesse a noi tutti: ebbene, signori? Non dobbiamo buttar giù tutta questa saggezza d’un colpo, con una pedata, mandandola in polvere, col solo scopo che tutti questi logaritmi se ne vadano al diavolo e che noi si possa di nuovo vivere secondo la nostra sciocca volontà? Questo non sarebbe ancora nulla, ma il guaio è che senza fallo troverebbe dei seguaci: così è fatto l’uomo.”

Non solo, ma l’uomo, secondo Dostoevskij, non vuole solamente costruire, erigere, avanzare ma anche distruggere, colpire. È comunque attratto dalla confusione, dalla distruzione e dal caos: dalla sofferenza. “L’uomo ama costruire e tracciare delle strade, è indiscutibile. Ma perché mai egli ama fino alla passione anche la distruzione e il caos? Non può darsi ch’egli ami tanto la distruzione e il caos in quanto lui stesso istintivamente teme di raggiungere la meta e di ultimare l’edificio in costruzione? Che ne sapete? Forse l’edificio lo ama solo da lontano e niente affatto da vicino; forse ama unicamente costruirlo e non viverci dentro.”

Allora, con Dostoevskij ci chiediamo il perché di questo atteggiamento ripetuto nei secoli. Perché l’uomo, in effetti, non è affascinato dalla meta, ma dal viaggio. Non dal raggiungimento, ma dalla ricerca. Non Itaca, ma il percorso per raggiungerla interessava Ulisse. “Mettiamo pure che l’uomo non faccia che cercare questo due per due quattro, valica gli oceani, sacrifica la vita in questa ricerca, ma di scoprirlo, di trovarlo effettivamente, vi giuro che ne ha come paura. Infatti egli sente che, non appena l’avrà trovato, non ci sarà più nulla da cercare.”

A questo punto però la riflessione acquista una sfumatura ulteriore: che cosa interessa l’uomo? Siamo veramente consapevoli di ciò che vogliamo o siamo sempre soggetti a condizionamenti continui? Infatti: “Può darsi che l’uomo non ami la sola prosperità. Può darsi che ami esattamente altrettanto la sofferenza. Può darsi che proprio la sofferenza gli sia esattamente altrettanto vantaggiosa quanto la prosperità. (…) La sofferenza è dubbio, è negazione, e che palazzo di cristallo sarebbe quello in cui si potesse dubitare? Eppure sono sicuro che l’uomo, all’autentica sofferenza, cioè alla distruzione e al caos, non rinuncerà mai.”

Fino a che punto ci fermiamo all’evidenza presentata dalla ragione? Quando accettiamo il ‘due per due quattro’ e quando invece andiamo oltre, sfidiamo la nostra stessa natura ragionevole e cerchiamo non di dimostrare il ‘due per due cinque’ quanto piuttosto di affidarci all’ignoto, a qualcosa che è diverso da noi, che va oltre e che non possiamo controllare, ma di cui abbiamo un estremo bisogno? Chi ci assicura che il ‘due per due quattro’ sia l’unica soluzione solo perché spiegabile razionalmente? A questo proposito Dostoevskij introduce un pensiero molto interessante e attuale. “Ma quando mai, in primo luogo, è accaduto, in tutti questi millenni, che l’uomo agisse unicamente per il solo proprio vantaggio? Che fare dei milioni di fatti che testimoniano come gli uomini, scientemente, cioè comprendendo appieno i loro veri vantaggi, li lasciassero in secondo piano e si buttassero su un’altra strada, al rischio, all’avventura, da nessuno e da nulla costrettivi, ma come se non desiderassero appunto solo la strada indicata, e ostinatamente, di loro arbitrio se ne aprissero un’altra, difficile, assurda, cercandola poco meno che nelle tenebre? Il vantaggio! Che cos’è il vantaggio? E poi, vi assumete voi di definire con perfetta esattezza in che cosa precisamente consista il vantaggio umano? E se capitasse che il vantaggio umano, a volte, non solo potesse, ma perfino dovesse appunto consistere nell’augurarsi in qualche caso ciò che è nocivo, e non ciò che è vantaggioso? Infatti, voi, signori, per quanto mi è noto, tutta la vostra lista dei vantaggi umani l’avete desunta come media dalle statistiche e dalle formule della scienza economica. Infatti, i vostri vantaggi sono la prosperità, la ricchezza, la libertà, la tranquillità, e così via, e così via, sicché un uomo che, per esempio, fosse andato palesemente e scientemente contro tutta questa lista sarebbe secondo voi, bè, naturalmente anche secondo me, un oscurantista o un vero pazzo, non è così?”

Quante volte ci soffermiamo a pensare al criterio di giudizio della nostra vita e di quella dei nostri fratelli. Quante volte saremmo tentati di dirazzare dai ‘vantaggi’ che ci vengono proposti per seguirne e perseguirne altri, anche se agli occhi del mondo risultano degli ‘svantaggi’. Qui il pensiero corre alla testimonianza di fede di Francesco e Chiara che scelsero come unico vantaggio il privilegio della povertà scandalizzando con le loro scelte di vita concrete la società in cui vivevano. È possibile allora, seguire altri ‘vantaggi’ e non farsi trascinare. È possibile seguire la propria volontà, quindi, in altre parole, essere liberi di scegliere e di vivere. Anche se “la scienza stessa insegnerà all’uomo che in realtà egli non ha né ha mai avuto né volontà né capriccio, e che anche lui non è nulla più che una specie di tasto di pianoforte o di una puntina d’organetto”, l’importante è “che l’uomo dimostri a se stesso ogni momento che è un uomo, e non una puntina!”.

La coscienza di se stessi, di ciò che si è resta il punto di partenza di un percorso che deve e p uò condurci avanti e non indietreggiare o cadere nell’abisso del sottosuolo “perché in ogni caso ci conserva la cosa più importante e più cara, cioè la nostra personalità e la nostra individualità.” Sopra ogni cosa, non dobbiamo mai rischiare di affermare, come il personaggio descritto da Dostoevskij, “ho avuto tutta la vita uno sguardo obliquo e non ho mai potuto guardare gli uomini dritto negli occhi” quanto piuttosto fissare sempre lo sguardo negli occhi di Dio e dei fratelli.

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