sabato, gennaio 31, 2009
Oggi si vota in Iraq per le elezioni provinciali. Ma tante incognite restano irrisolte

PeaceReporter - Un voto amministrativo, ma carico di significati. In realtà, dal 2005, è la prima volta che gli iracheni si recano tutti alle urne. La situazione, cinque anni fa, era molto più instabile e il governo iracheno e gli Usa vogliono che il voto sia una sorta di prova generale del nuovo Iraq. In questa tornata dovrebbero dire la loro in massa anche i sunniti, che nel 2005 erano totalmente fuori dal processo politico del Paese.

Saranno quindici milioni gli iracheni che oggi si recheranno alle urne per le elezioni provinciali irachene. Si vota in 14 delle 18 provincie del Paese. Restano fuori le provincie di Suleymania, Dohuk, Erbil e Ta'amim, tre curde e l'ultima con il capoluogo Kirkuk conteso. In palio 440 seggi nei 14 consigli provinciali, contesi da 14431 candidati. Tra loro 3912 donne. In questa tornata elettorale è previsto un meccanismo di 'quote rosa' che assegni un seggio a una donna per ogni tre assegnati a un uomo. Il sistema precedente garantiva invece una quota totale del 25 percento dei seggi. Ma come denunciato da alcune candidate donne il meccanismo non è chiaro. Per le minoranze sono state previste delle 'quote': tre ai cristiani (uno a Ninive, uno a Baghdad, e uno a Bassora), uno ai yazidi (a Ninive), uno agli shabbak (a Ninive), e uno ai sabei-mandei (a Baghdad). La campagna elettorale è finita a mezzanotte del 29 gennaio, senza particolari incidenti, ma tre candidati sunniti sono stati freddati in poche ore, uno a Baghdad, uno a Mosul e uno nella provincia di Dyala. La Commissione elettorale, senza sbilanciarsi, ha parlato di martedì 3 febbraio come data utile per la diffusione dei risultati parziali della tornata elettorale, ma alcuni esperti ritengono che possa essere necessario addirittura un mese per i risultati definitivi. Imponenti le misure di sicurezza. Sabato e domenica, alle 22, sarà imposto il coprifuoco fino alle 5 del mattino dopo. Verranno, nella stessa fascia oraria, chiuse le frontiere, gli aeroporti e le principali arterie interne e saranno sospesi i porti d'armi. Migliaia di militari intorno ai seggi permetteranno il passaggio solo a un ristretto numero di veicoli privati.

al malikiIn realtà le operazioni di voto sono iniziate il 28 gennaio scorso, quando circa mezzo milioni di elettori 'speciali' si sono recati alle urne: poliziotti, militari, detenuti e malati disabili. Secondo i dati resi noti dalla Commissione elettorale di Baghdad, saranno allestiti 1677 seggi in caserme, prigioni,ospedali. A coloro che hanno votato in questa tornata è stato segnato con inchiostro indelebile un dito, per evitare voti multipli. I detenuti che hanno potuto votate sono quelli ancora in attesa di un processo e quelli che hanno subito condanne inferiori a cinque anni. Le autorità di Baghdad hanno commentato positivamente questo primo turno elettorale, che a detta della Commissione elettorale, si è svolta senza incidenti. In realtà qualcosa è successo, per la precisione nel carcere di Bassora. ''Prima hanno ritardato il nostro ingresso, poi hanno cominciato a malmenarci quando abbiamo scoperto che alcuni detenuti veniva imposta la scelta del voto'', ha denunciato Issam Sudani, fotografo dell'agenzia France Press. Non proprio un bell'esempio di democrazia. Il premier Maliki, per evitare polemiche, ha acconsentito alla presenza di 800 osservatori elettorali internazionali che monitoreranno le operazioni di voto.

risha e bushLa grande novità di queste elezioni, come detto, è la partecipazione in massa di sunniti nel processo elettorale. In particolare punta a fare incetta di voti l'Alleanza delle Tribù e degli Indipendenti dello sceicco Ahmed Abu Risha, che coinvolge 42 clan sunniti. Risha è stato l'architetto di quei Consigli del Risveglio che, a detta di molti, sono stati la vera svolta nella gestione della sicurezza in Iraq. Milizie tribali sunnite che, in cambio dell'impegno Usa a coinvolgerli nella politica irachena e nel rispettare il loro autogoverno, hanno combattuto contro i miliziani 'stranieri', ritenuti vicini ad al-Qaeda. Si parla di migliaia di uomini, ben armati e ben addestrati, che adesso vanno coinvolti nelle forze armate e nella vita politica. Risha ha puntato su una trentina di candidati, contando al controllo della provincia dell'al-Anbar, con capitale Ramadi, regione dove dal 2003 hanno perso la vita un terzo dei militari Usa. In questa zona, nel 2005, votò solo l'1 percento della popolazione. Principali rivali per Risha è il Iraqi Islamic Party, ritenuto vicino alle posizioni dei Fratelli Musulmani e l'Iraqi Accord Front. Nello schieramento sciita il premier sciita Nuri al-Maliki, dopo anni di difficoltà, sembra in ripresa e punta a strappare al partito sciita Sciri il controllo delle provincie del sud a favore del suo partito Dawa. Maliki vuole incassare un successo notevole, che lo rilanci in vista delle elezioni politiche. L'altro gruppo sciita, che fa capo all'ayatollah radicale filoiraniano Moqtada al-Sadr sembra in declino, dopo la smobilitazione delle sue milizie. L'impegno di Bush a ritirare i 140mila soldati Usa entro il 2011, scadenza che con Obama potrebbe essere anche anticipata.

Il nodo gordiano, però, resta il nord, dove non a caso non si vota. L'accordo sulla legge elettorale provinciale è stato trovato solo a scapito, come detto, delle quattro provincie del nord, tre curde e una contesa. Proprio Kirkuk è una delle questioni più spinose del Paese, strettamente legata alla legge nazionale sulla distribuzione dei proventi del petrolio, che dovrebbe essere approvata in primavera. Quella legge, come lo status di Kirkuk, che rappresenta uno dei giacimenti più ricchi del Paese, potrebbe ridisegnare la stessa natura costituzionale dell'Iraq. I sunniti sono contro l'ipotesi federale e l'accetterebbero solo in cambio di una legge che garantisca un'equa distribuzione dei proventi della vendita del petrolio. Il destino di Kirkuk, in questo senso, dovrebbe essere affidato a un referendum per riequilibrare i ricchi giacimenti del nord (curdo) e del sud (sciita) con il centro (sunnita). Un voto atteso, dunque, ma che è solo l'ultimo passo del cammino dell'Iraq verso la pace e la normalità.

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