In una lettera di buon anno al presidente Usa, il climatologo James Hansen incita la politica all'azione ed espone la sua ricetta per il clima: stop al carbone e "carbon tax" con 100% di dividendo anziché "cap and trade".
QualEnergia.it - “C’è uno scollamento profondo tra le azioni che la politica sta considerando di intraprendere e quello che la scienza chiede sia fatto per la salvaguardia del pianeta”. Che il 2009 sia un anno in cui si inizia a lottare seriamente contro il global warming: è questo l’appello che il direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, James Hansen (tra i primi scienziati a denunciare i rischi del riscaldamento globale) rivolge al presidente eletto Barack Obama nella sua lettera pubblica di auguri per il nuovo anno. Nella missiva Hansen esprime apprezzamento per l’importanza data da Obama alla lotta ai cambiamenti climatici nel suo programma, ma mette in guardia sul fatto che le azioni intraprese nell’immediato futuro saranno cruciali e sottolinea come gli approcci al problema adottati finora siano “inadeguati e non commisurati con il rischio clima”.
Per Hansen anche nelle nazioni in cui sì è fatto di più lo si è fatto nel modo sbagliato. Il “cap and trade”, cioè porre limiti all’emissione di CO2 e vendere i permessi per emettere (sistema che è alla alla base dell’ETS europeo, che alcuni stati americani hanno già adottato e che Obama vorrebbe introdurre a livello federale) non sarebbe efficace e “potrebbe far perdere un altro decennio”. La ricetta dello scienziato americano è diversa: innanzitutto fondamentale è dare uno stop immediato al carbone senza carbon capture, poi promuovere rinnovabili, efficienza e fare ricerca per il nucleare di quarta generazione. Infine, per un’economia a basse emissioni, è meglio una “carbon tax” i cui dividendi tornino ai cittadini che non il sistema “cap and trade”.
“Un prezzo crescente per le emissioni – scrive Hansen – è essenziale perché funzionino le altre politiche per il clima. Il metodo più efficace è far pagare le emissioni già alla fonte, tassando cioè petrolio, gas e carbone. La tassa a quel punto andrà a colpire tutte le attività e i prodotti che utilizzano le fonti fossili. Le scelte di breve, medio e lungo termine del pubblico saranno così influenzate dalla consapevolezza che questa tassa sulle emissioni sarà destinata a crescere.”
Un sistema più semplice, in contrasto con il “cap and trade” che richiede un certo apparato burocratico, “genera lobby, interessi speciali e sistemi speculativi che creano milionari non produttivi a spese del pubblico”. La “carbon tax” con 100% di dividendo, invece, premierebbe economicamente chi ha un’impronta più leggera in termini di emissioni: i soldi raccolti con la tassa, infatti, dovrebbero essere redistribuiti in parti uguali a tutti i cittadini. Così chi ha uno stile di vita a basse emissioni riceverà più soldi di quelli che pagherà per la tassa in questione, mentre chi emetterà di più ci rimetterà.
“La tassa – continua la lettera – stimolerà l’innovazione perché gli imprenditori faranno a gara per sviluppare prodotti a basse emissioni. Il dividendo mette soldi nelle tasche dei consumatori, stimolando l’economia”. La velocità della transizione verso un’economia low-carbon potrà essere modulata da quanto si farà crescere ogni anno la carbon-tax. “Gli effetti permeeranno la società. Cibi che comportano grosse emissioni per essere prodotti e trasportati diverranno più costosi e viceversa”.
Una soluzione quella riproposta da Hansen più radicale rispetto al “cap and trade” con vendita all’asta di tutti i permessi che vuole Obama. Con la carbon tax sarebbe l’intera società a essere coinvolta e non solo i settori produttivi ad alta intensità energetica. Con vantaggi evidenti, ma anche qualche svantaggio: primo fra tutti bollette più alte e un aumento dei prezzi in generale, compensato dalle entrate del dividendo, sì, ma solo per i cittadini americani e cioè non per i milioni di residenti illegali.
Risvolti applicativi a parte, il succo della lettera del capo del Goddard Institute al presidente Usa, comunque, è che la scienza chiede con urgenza alla politica interventi più incisivi rispetto a quelli di cui si parla ora: a partire da una moratoria sul carbone e da interventi di contenimento delle emissioni meno timidi.
QualEnergia.it - “C’è uno scollamento profondo tra le azioni che la politica sta considerando di intraprendere e quello che la scienza chiede sia fatto per la salvaguardia del pianeta”. Che il 2009 sia un anno in cui si inizia a lottare seriamente contro il global warming: è questo l’appello che il direttore del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, James Hansen (tra i primi scienziati a denunciare i rischi del riscaldamento globale) rivolge al presidente eletto Barack Obama nella sua lettera pubblica di auguri per il nuovo anno. Nella missiva Hansen esprime apprezzamento per l’importanza data da Obama alla lotta ai cambiamenti climatici nel suo programma, ma mette in guardia sul fatto che le azioni intraprese nell’immediato futuro saranno cruciali e sottolinea come gli approcci al problema adottati finora siano “inadeguati e non commisurati con il rischio clima”.Per Hansen anche nelle nazioni in cui sì è fatto di più lo si è fatto nel modo sbagliato. Il “cap and trade”, cioè porre limiti all’emissione di CO2 e vendere i permessi per emettere (sistema che è alla alla base dell’ETS europeo, che alcuni stati americani hanno già adottato e che Obama vorrebbe introdurre a livello federale) non sarebbe efficace e “potrebbe far perdere un altro decennio”. La ricetta dello scienziato americano è diversa: innanzitutto fondamentale è dare uno stop immediato al carbone senza carbon capture, poi promuovere rinnovabili, efficienza e fare ricerca per il nucleare di quarta generazione. Infine, per un’economia a basse emissioni, è meglio una “carbon tax” i cui dividendi tornino ai cittadini che non il sistema “cap and trade”.
“Un prezzo crescente per le emissioni – scrive Hansen – è essenziale perché funzionino le altre politiche per il clima. Il metodo più efficace è far pagare le emissioni già alla fonte, tassando cioè petrolio, gas e carbone. La tassa a quel punto andrà a colpire tutte le attività e i prodotti che utilizzano le fonti fossili. Le scelte di breve, medio e lungo termine del pubblico saranno così influenzate dalla consapevolezza che questa tassa sulle emissioni sarà destinata a crescere.”
Un sistema più semplice, in contrasto con il “cap and trade” che richiede un certo apparato burocratico, “genera lobby, interessi speciali e sistemi speculativi che creano milionari non produttivi a spese del pubblico”. La “carbon tax” con 100% di dividendo, invece, premierebbe economicamente chi ha un’impronta più leggera in termini di emissioni: i soldi raccolti con la tassa, infatti, dovrebbero essere redistribuiti in parti uguali a tutti i cittadini. Così chi ha uno stile di vita a basse emissioni riceverà più soldi di quelli che pagherà per la tassa in questione, mentre chi emetterà di più ci rimetterà.
“La tassa – continua la lettera – stimolerà l’innovazione perché gli imprenditori faranno a gara per sviluppare prodotti a basse emissioni. Il dividendo mette soldi nelle tasche dei consumatori, stimolando l’economia”. La velocità della transizione verso un’economia low-carbon potrà essere modulata da quanto si farà crescere ogni anno la carbon-tax. “Gli effetti permeeranno la società. Cibi che comportano grosse emissioni per essere prodotti e trasportati diverranno più costosi e viceversa”.
Una soluzione quella riproposta da Hansen più radicale rispetto al “cap and trade” con vendita all’asta di tutti i permessi che vuole Obama. Con la carbon tax sarebbe l’intera società a essere coinvolta e non solo i settori produttivi ad alta intensità energetica. Con vantaggi evidenti, ma anche qualche svantaggio: primo fra tutti bollette più alte e un aumento dei prezzi in generale, compensato dalle entrate del dividendo, sì, ma solo per i cittadini americani e cioè non per i milioni di residenti illegali.
Risvolti applicativi a parte, il succo della lettera del capo del Goddard Institute al presidente Usa, comunque, è che la scienza chiede con urgenza alla politica interventi più incisivi rispetto a quelli di cui si parla ora: a partire da una moratoria sul carbone e da interventi di contenimento delle emissioni meno timidi.
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