Squadroni della morte afgani al servizio delle truppe d’occupazionedi Enrico Piovesana
PeaceReporter - Al termine di una missione investigativa in Afghanistan, l’australiano Philip Alston, inviato speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni sommarie, arbitrarie ed extragiudiziali, ha denunciato il ricorso, da parte delle forze d’occupazione straniere, a “squadroni della morte” composti da “milizie irregolari afgane” per combattere una guerra sporca contro la guerriglia talebana.
“Ho raccolto molte testimonianze di violenti raid contro presunti insorti condotti da milizie afgane pesantemente armate agli ordini di militari stranieri”, ha dichiarato Alston a Kabul. “Azioni che spesso si concludono con l’uccisione dei sospetti, senza che nessun esercito o istituzione se ne prenda la responsabilità. Queste unità segrete, chiamate Campaign Forces, pur essendo sottoposte a una regolare catena di comando, operano al di fuori di ogni legge e nella più totale impunità. E’ una situazione assolutamente inaccettabile”.
L’inviato speciale dell’Onu ha spiegato che queste milizie operano in tutte le zone ‘calde’ del Paese, dalle province di Helmand e Kandahar nel sud a quella di Nangarhar nell’est.
Faccia a faccia con i mercenari.
Due anni fa, nel maggio 2006, PeaceReporter aveva indagato su questo argomento nell’ambito di un reportage dalla provincia di Helmand. Ne ripubblichiamo un estratto.
Provincia di Helmand, Afghanistan meridionale. Appena fuori Grishk c’è la base militare statunitense: un fortino in mezzo al deserto, dominato da una torre di legno su cui sventola la bandiera stelle e strisce. La base ospita una delle tante prigioni Usa ‘non ufficiali’ dove vengono interrogati, e torturati, i sospetti membri dei talebani o di Al-Qaeda, prima di essere spediti a Kandahar, Bagram e poi a Guantanamo.
A difendere la base non ci sono militari americani, ma mercenari afgani. La gente del posto li chiama khakhprush, venduti al nemico. Sono ragazzi dei villaggi vicini. Non indossano nessuna divisa. Quando non escono in missione per o con gli statunitensi, se ne stanno sui tappeti stesi davanti alle baracche che circondano le mura della base. Passano la giornata bevendo tè, fumando hashish e facendo manutenzione del loro arsenale: fucili, mitragliatrici e lanciarazzi. Il loro comandante è mullah Daud. Ci riceve nella sua piccola e buia baracca. Se ne sta seduto a terra a parlare con uno dei suoi ufficiali. Dietro a lui, appoggiato al muro, il suo Ak-47; accanto a lui un frasario d’inglese. “Gli americani ci pagano bene, ma non è per quello che lavoriamo per loro: lo facciamo perché sono gli unici che possono salvare questo Paese. Il governo afgano, l’esercito afgano, la polizia, sono tutti corrotti. Pensano solo ai soldi e per farli non esitano ad allearsi con talebani e trafficanti d’oppio. Loro non fanno nulla, mentre noi combattiamo i talebani: i miei centocinquanta uomini ne hanno uccisi e arrestati a decine”.
Torniamo a Grishk e andiamo a casa del governatore distrettuale. Haji Mohammed Ibrahim vive con il suo assistente Farid in una vecchia casa appena fuori dal bazar. E’ una persona colta e dai modi eleganti. “La gente di qui odia i mercenari di Daud più degli stessi americani. Con la scusa della lotta ai talebani e con le spalle coperte dai loro padroni, questi criminali vanno in giro a uccidere e derubare la gente facendo irruzione nelle case, terrorizzando le persone per farsi dare soldi. Chi non paga viene rapito, portato agli americani e spacciato per talebano, terrorista di Al-Qaeda”.
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