mercoledì, novembre 16, 2016
La scoperta fatta da un team guidato dall’italiano Andrea Bonisoli Alquati.Il greggio della BP è entrato nella catena alimentare degli animali terrestri.

GreenReport - Gli scienziati hanno identificato la prima prova che il petrolio della marea nera della Deepwater Horizon è finito nel corpo di un animale terrestre: il passero di mare o passero delle coste (Ammodramus maritimus). La scoperta è stata presentata nello studio “Incorporation of Deepwater Horizon oil in a terrestrial bird” con il quale gli scienziati della Louisiana State University (Lsu) e dell’Austin Peay State University hanno analizzato la dieta e le piume di passeri catturati più di un anno dopo la fuoriuscita di petrolio, avvenuta nel 201°0, il più grosso disastro ambientale della storia Usa, che ha vomitato nel Golfo del Messico settentrionale 700.000 m3 di greggio, 154 milioni di galloni.

I ricercatori della Lsu spiegano che «Gli uccelli che sono stati catturati in habitat che sono stati esposti al petrolio avevano una firma chimica diversa nei loro tessuti dagli uccelli che sono stati trovati nelle zone di palude che non sono state esposte al petrolio. I risultati degli scienziati mostrano che il greggio della fuoriuscita di petrolio della Deepwater Horizon è stato incorporato nelle prede e nelle piume degli uccelli esposti». Una degli autori dello studio pubblicato su Environmental Research Letters, Sabrina Taylor, della School of renewable natural resources dlla Lsu, evidenzia: «Sappiamo che il carbonio dl petrolio è entrato nelle reti alimentari offshore e nearshore, come dimostrato per plancton, pesci e animali filtratori. Ma questa è la prima dimostrazione che il carbonio proveniente dal petrolio è stato integrato anche in una specie di vertebrati terrestri: passero delle coste».

Il passero delle coste vive tutto l’anno nelle paludi della Louisiana e questo nuovo studio evidenzia che «L’esposizione diretta al petrolio tossico potrebbe essere andata a detrimento del successo riproduttivo degli uccelli. Questi risultati suggeriscono che le differenze che abbiamo osservato nell’espressione genica del passero e nel successo riproduttivo tra i siti inquinati dal petrolio e quelli non inquinati possono essere causati dagli effetti tossicologici diretti non solo del degrado dell’habitat o dalla perdita di specie preda». Per questo i ricercatori statunitensi chiedono che vengano incoraggiati ulteriori studi sugli effetti degli sversamenti petroliferi sulle specie terrestri.

Il principale autore dello studio, l’italiano Andrea Bonisoli Alquati, professore di tossicologia ambientale al Dipartimento di scienze biologiche di Cal Poly Pomona della Lsu, spiega a sua volta: «Tendiamo a pensare di ecosistemi terrestri come al sicuro dalla contaminazione di petrolio. Tuttavia, il confine tra ecosistemi marini e terrestri è molto meno definito di quanto presumiamo. Specie che vivono al confine non sono vulnerabili solo agli effetti tossici del petrolio, ma possono anche essere responsabili del trasporto del petrolio nelle reti alimentari terrestri. Le future valutazioni dei rischi e dei danni dovrebbero includere una valutazione della potenziale minaccia per la fauna selvatica terrestre a causa delle operazioni petrolifere e dell’inquinamento della fuoriuscite di petrolio».

Il team guidato da Bonisoli Alquati si è concentrato su questi piccoli uccelli stanziali e sui sedimenti del suolo contaminati delle paludi della Louisiana per identificare una sostanza chimica come “impronta digitale” dalla marea nera della Deepwater Horizon. I ricercatori hanno quindi esaminato le piume e il contenuto del tubo digerente di 10 passeri di mare, per capire quanto petrolio avevano assunto nei loro tessuti biologico nel tessuto biologico dei passeri.

Bonisoli Alquati, sottolinea che «Questi risultati sono coerenti con l’incorporazione del petrolio dalla Deepwater Horizon nei tessuti degli uccelli esposti».

Richard Shore, dell’UK Centre for ecology and hydrology ha detto a BBC News che risultati sono interessanti, ma ha aggiunto che «I passeri si nutrono di invertebrati marini e terrestri, pertanto l’esposizione avrebbe potuto avvenire attraverso la catena alimentare marina. E forse non è così sorprendente. Ma è interessante che ci possa essere stata l’esposizione in questa specie».

Sempre su BBC News, Bonisoli Alquati ha ribattuto che «Il nostro lavoro ha dimostrato che il petrolio non rimane dove è stato sversato può potenzialmente spostarsi in altri ecosistemi. Quindi penso che le future valutazioni del rischio per l’estrazione di petrolio in acque profonde devono comprendere gli ecosistemi terrestri, così come quello marino. Molti animali vivono al confine indefinito tra i due».


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