lunedì, febbraio 16, 2015
Bombardate all’alba dal Cairo alcune basi del Califfato nell’est della Libia, dopo che lo Stato Islamico aveva diffuso un video sull’esecuzione di 21 egiziani copti sequestrati a Sirte. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi si è appena assicurato 24 jet da combattimento Rafale da Parigi, mentre le fazioni libiche tentano una tiepida collaborazione.  

NenaNews -  Sgozzati in ventuno, sempre in mondovisione. Solo che questa volta le vittime della furia dell’Isis, cristiani copti catturati a Capodanno a Sirte, erano di nazionalità egiziana. Troppo vicino il paese di provenienza perché non rispondesse, soprattutto dato che il Cairo, pur negandolo, ha già bombardato gli islamisti in Libia mesi fa. Dopo aver confermato l’avvenuta uccisione dei copti – commentata dal ministero degli Esteri sul quotidiano al-Ahram con “il cielo non voglia” – il presidente Abdel Fattah el-Sisi ha chiamato una riunione d’emergenza dei vertici della sicurezza nazionale nella serata di ieri e questa mattina all’alba l’aviazione del Cairo ha bombardato postazioni dell’Isis in Libia. “Vendicare il sangue egiziano – ha dichiarato la giunta militare alla tv di Stato – e rivalerci su criminali e assassini è un dovere che dobbiamo compiere”.

“Le vostre forze armate – si legge nel comunicato – oggi hanno effettuato attacchi aerei mirati in Libia contro i campi di Daesh (acronimo arabo per Isis, ndr), luoghi di incontro e di formazione, e contro depositi di armi. Gli attacchi aerei hanno colpito i loro obiettivi con precisione, e i falchi delle nostre forze aeree sono tornati tranquillamente alle loro basi”. Obiettivi che si trovano lungo il confine tra Egitto e Libia, una zona che il Cairo aveva già bombardato lo scorso anno unendosi ai raid degli Emirati Arabi pur negandolo ufficialmente.

Ancora non sono noti i danni provocati né le eventuali vittime, ma c’è da credere che l’Egitto, che non ha mai aderito alla coalizione internazionale anti-Isis, ora voglia fare la sua parte: il presidente francese François Hollande ha infatti annunciato poco fa che il Cairo ha acquistato 24 jet da combattimento Rafale, una fregata navale e tutto il relativo equipaggiamento militare per un valore di 5 miliardi di euro. Le negoziazioni per l’accordo, intavolato tre mesi fa, sono state concluse in fretta ieri e il documento verrà firmato oggi nella capitale egiziana.

Le preoccupazioni del Cairo sono note: una minaccia ai confini ovest, collegata con l’incubo del governo a est, e cioè i militanti della Provincia del Sinai (ex Ansar Beit al-Maqdis, ndr), gruppo jihadista attivo nella penisola che ha giurato lealtà al Califfato e che sarebbe già in contatto con l’Isis in Libia. Il gruppo, dal Sinai, ha condotto decine di attacchi contro obiettivi militari, uccidendo centinaia di poliziotti e soldati da quando, nel 2013, la giunta militare guidata da Abdel Fattah al-Sisi ha ripreso il potere toltole dalla cosiddetta primavera egiziana del 2011, con un colpo di stato ai danni del presidente islamista eletto Mohamed Morsi.

Ma quello che preoccupa ancora di più è clima di caos creatosi in Libia, con due governi paralleli e due eserciti che si vogliono entrambi legittimi e che controllano ognuno alcune parti del paese. C’è un governo nella capitale Tripoli, dominato dalla coalizione Fajr Lybia e sostenuto da Qatar e Turchia che include moderati e fazioni islamiste più estremiste, insieme con milizie tribali e locali. L’altro esecutivo, quello approvato internazionalmente ma dichiarato “incostituzionale” dalla Corte Suprema qualche mese fa, è fuggito a Tobruk quando Fajr Lybia ha occupato la capitale, lo scorso agosto, ed è sostenuto da parte dei parlamentari eletti l’anno scorso. A dare man forte a questo governo ci sono anche le milizie che puntano all’indipendenza regionale, alcune formazioni una volta legate al colonnello Muammar Gheddafi e altri gruppi islamisti.ù

Stretta tra le due coalizioni sta la branca libica dell’Isis, con base nella città di Derna, che la settimana scorsa è riuscita a farsi strada fino a Sirte con l’obiettivo dichiarato di marciare fino a Tripoli e da lì invadere “gli infedeli”, cioè l’Italia. L’avanzata dell’Isis sulla costa libica è stata accompagnata dal panico delle cancellerie occidentali, che hanno chiuso le loro ambasciate nel Paese e rimpatriato i loro impiegati. L’ultima ad andarsene è stata proprio l’Italia, che ha imbarcato ieri il suo personale e i concittadini rimasti a Tripoli su un catamarano appena sbarcato in Sicilia dopo che l’Isis aveva minacciato il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni, definendolo “ministro crociato”.

Se il governo italiano scalpita per intervenire al di là del Mediterraneo nel quadro di una missione internazionale per “proteggere i propri confini”, mentre l’opposizione preme per una risoluzione del conflitto “tra le parti” e “senza interventi stranieri”, dalle fazione libiche in lotta da oltre un anno sembrano arrivare i primi, timidi segnali di collaborazione contro il “nemico comune”. Dopo le accuse che le parti si sono lanciate vicendevolmente sull’attentato dello scorso mese all’hotel Corinthia di Tripoli – rivendicato dall’Isis, ma secondo il capo del governo tripolino Omar al-Hassi ordito dal suo omologo di Tobruk, Abdullah al-Thani, per dimostrare l’instabilità che regna all’ovest ndr – ieri Omar al-Zanki, ministro dell’Interno (sospeso dal premier, ndr) del governo di Tobruk ha rivelato che ci sarebbe la possibilità che i due governi paralleli si uniscano nella lotta all’Isis. “Abbiamo avuto contatti con esponenti della regione occidentale – ha detto – e in particolare con le brigate di Misurata, sulla grande minaccia dello Stato Islamico”.


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