lunedì, febbraio 17, 2014
450 anni fa, il 18 febbraio, moriva a Roma il grande toscano. Nella notte la salma fu trafugata dai fiorentini e il funerale si svolse a Santa Croce  

Città Nuova - Era il 17 febbraio 1564 e Michelangelo di Ludovico Simoni de’ Buonarroti stava male. Malissimo. Tommaso de’ Cavalieri, l’amico fidato, e Daniele da Volterra, il pittore-discepolo fedele, gli stavano accanto. Il vecchio, 89 anni, che fino a pochi giorni prima cavalcava sotto l’acqua ghiacciata e con indosso i soliti abiti frusti – la biancheria buona che gli mandavano da Firenze la conservava nell’armadio –, era allo stremo. Si faceva leggere la Passione di Cristo e forse guardava l’ultima scultura, abbozzata, su cui si accaniva da giorni. Non gliel’aveva commissionata nessuno, la lavorava per sé. Era un tronco con una figura incerta appoggiata sopra un corpo nudo, un tronco di marmo aguzzo come un pinnacolo gotico. Una pietà, quella che oggi, a Milano, al Museo del Castello, chiamano la Pietà Rondanini. L’ultima delle quattro scolpite lungo la vita, la prima quando era ragazzo, nel 1498, quella di san Pietro: un mondo lontanissimo ormai, il Rinascimento era finito da un pezzo, adesso Michelangelo si struggeva in pensieri spirituali, disegnava crocifissioni e resurrezioni senza sosta. Gli amici le diffondevano, come Marcello Venusti, dipingendole.

A 89 anni dunque, nella Casa di Macel de’ Corvi, distrutta per far posto al Vittoriano, il vecchio terribile e scontroso era alla fine. Dopo la lettura l’agonia, il coma e poi la fine. Due giorni dopo, un notaio annotava con fredda precisione cosa si trovava in quella casa modesta, dove aveva vissuto un artista immenso e un uomo che aveva servito i grandi della Terra, un immigrato fiorentino che amava e malediva la patria, litigava coi parenti, centellinando nelle spese sino all’ultimo.

Il notaio annotava: pochi vestiti consumati dall’uso, tre materassi, un letto con pagliericcio, due coperte di lana, la biancheria nuova mai toccata riposta in un armadio, nessun mobile di valore, né quadri né gioielli. Poi però anche monete d’oro annodate nei fazzoletti e ben nascoste. Di arte, quasi nulla: pochi disegni, aveva fatto bruciare qualche giorno prima tutti i disegni, i cartoni. Qualcuno era sfuggito, per fortuna, restava l’abbozzo della Pietà.

La salma la portarono nella vicina chiesa dei Santi Apostoli: Roma si preparava al funerale del genio. Ma i fiorentini di notte la presero, la misero in un sacco e la portarono di corsa a Firenze: una folla immensa piangeva a Santa Croce dov’è anche ora Michelangelo.

A Roma restavano i capolavori – la Pietà, la Sistina, la Paolina, Porta Pia, la piazza del Campidoglio, la cupola vaticana – e l’ultimo ritratto di lui vecchissimo ed energico che indica il cielo nell’Assunta a Trinità dei Monti. Un gesto d’amore per la Madre di tutti, lui che la madre vera l’aveva persa da piccolo. Sotto la scorza superba, l’uomo era rimasto innocentemente attaccato alla madre.

di Mario Dal Bello


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