martedì, febbraio 04, 2014
Ci sono persone che silenziosamente e nel nascondimento vivono il proprio credo con coraggio ed entusiasmo, con forza e determinazione e con gioia restano sempre accanto ai fratelli, amando Dio sopra ogni cosa, anche quando tutto ciò sembra impossibile e la vita stessa viene negata 

di Monica Cardarelli 

Una di queste persone è sicuramente Etty Hillesum, giovane ebrea olandese, che con la sua famiglia vivrà la tragedia della Shoah: morirà nell’autunno del 1943 ad Auschwitz-Birkenau. Di lei ci parla p. Yves Bériault, domenicano canadese, nel libro “Etty Hillesum. Testimone di Dio nell’abisso del male”, per le edizioni Paoline. L’interesse dell’autore per la Seconda Guerra mondiale ha trovato una ulteriore conferma nell’incontro con Etty Hillesum, avvenuto in modo casuale. L’autore infatti racconta nella prefazione come sia rimasto colpito dalla foto della copertina del libro il “Diario” di Etty Hillesum, che ha visto passando davanti alla vetrina di una libreria di Tolosa.

Un incontro alquanto casuale, indubbiamente, ma alcune figure richiamano e attirano a se per essere conosciute. Così è nata una sorta di amicizia tra p. Yves e Etty, che lo ha spinto a leggere e documentarsi su di lei come anche a recarsi ad Amsterdam e ad Auschwitz per visitare i luoghi che ne conservano la memoria. Il libro “Etty Hillesum. Testimone di Dio nell’abisso del male”, infatti, ci parla di una giovane donna e del suo mondo, dei suoi sentimenti e le sue paure, le sue angosce e le sue gioie così come del suo percorso di fede che la condurrà a una tale intimità con Dio che sarà difficile per il lettore delimitare l’ebraismo e il cristianesimo a testimonianza che l’amore di Dio e per Dio è universale, non conosce confini né limiti. In queste pagine, attraverso le parole stesse di Etty tratte dalle sue “Lettere” o dal “Diario” (come Anna Frank, anche Etty Hillesum ha tenuto un diario dal suo soggiorno ad Amsterdam fino al campo di Auschwitz, passando per il campo di Westerbork), l’autore presenta la vita e i pensieri della giovane donna, mettendo in luce forse l’aspetto più toccante della sua personalità: la capacità di gioire e di ringraziare Dio sempre, per ogni cosa. “Trovo che la vita è bella e mi sento libera. In me si dispiegano cieli altrettanto vasti del firmamento al di sopra di me”, scriverà nelle “Lettere” il 20 giugno 1942.

E a poco a poco, Etty giungerà anche a pregare e a provare la necessità della preghiera che permea ogni istante della sua giornata, come scrive il 14 luglio dello stesso anno: “E’ come se qualcosa in me si fosse concentrato in una preghiera continua e tutto ciò non smette di pregare in me, anche quando rido o faccio una battuta.” Gradualmente la sua preghiera sarà sempre più costante e intensa e la condurrà ad un’intimità sempre maggiore con Dio: “Dio, ti ringrazio. Ti ringrazio per il fatto di degnarti di abitare dentro di me. Ti ringrazio di tutto”, scrive il 15 gennaio del 1942. Come precisa p. Bériault “siamo veramente in presenza di questa dinamica: ella riceve il dono inaspettato di un amore per Dio che non solo la appaga, ma che la trasforma giorno dopo giorno.” Nella preghiera che Etty appunterà tra le sue “Lettere” il 12 dicembre 1941 si legge: “Dio mio, ti ringrazio di avermi fatta così come sono. Ti ringrazio di darmi a volte la sensazione di una dilatazione, che non è nient’altro che la percezione di essere piena di te.”

P. Yves in questo suo libro sottolinea anche come per Etty la lettura della Bibbia fosse inseparabile dalla vita e da una preghiera intensa e costante. Non solo, per lei era importante anche il contatto fisico e quando dovrà salire sul treno per il campo di Westerbork, porterà con se solo la Bibbia e le poesie di Rainer Maria Rilke. A volte, nei momenti più importanti, Etty apriva la Bibbia a caso per leggere le parole che le davano sostegno. Sarà questo “un gesto che compirà istintivamente salendo sul vagone che la porterà ad Auschwitz” e, come ricorda p. Yves, dalla Bibbia Etty leggerà anche delle parole del Vangelo. Per lei la figura di Gesù sarà molto importante. Nei suoi scritti infatti citerà numerosi passi del Vangelo, da Matteo 6, 3 sulla Provvidenza, o Luca 12, 27 nel passo sui gigli dei campi. “C’è una parola dalla quale attingo costantemente nuove forze. La cito a memoria: ‘Se mi amate, dovete abbandonare i vostri genitori’.”, scrive Etty nelle “Lettere” il 18 agosto 1943. Dalla Bibbia e dai Vangeli Etty apprenderà anche ad amare il prossimo, chiunque esso sia anche perdonando e pregando per lui, e a riconoscere la sua missione.

“Credo in Dio e credo nell’uomo: ho acquisito a poco a poco il coraggio di dirlo sinceramente, senza falsa vergogna”, scriverà il 12 marzo del 1942, quando ancora si trova nel campo di Westerbork in cui dovrà svolgere un delicato lavoro. “Quando arriva a Westerbork per la prima volta,” – scrive p. Bériault - “alla fine di luglio 1942, si impone come vocazione di essere ‘il cuore pensante della baracca’, formula con la quale Etty cerca di definire il lavoro che vorrebbe compiervi o, più esattamente, il tipo di presenza che vorrebbe portarvi.”

E a proposito della sua missione, p. Yves prosegue: “Etty rimette tutto nelle mani di Dio, con la convinzione che tutto dipenda da lui. Per questa ragione, gli chiede di illuminare la sua rabbia di scrivere, che lei avverte e vive come una missione sacra.” Infatti nella lettera del 4 luglio 1941 Etty annota: “O Dio prendimi nella tua grande mano e fà di me il tuo strumento: fammi scrivere” e poco dopo, il 31 luglio dello stesso anno: “è con una certa tranquillità d’animo che, ogni sera, depongo le mie numerose preoccupazioni terrene ai piedi di Dio.” Nella sua permanenza a Westerbork e ad Auschwitz Etty sarà vicina a tutti i fratelli deportati, nella convinzione che la sua missione fosse proprio questa: sostenere chi era nella prova come lei, dando loro conforto. “Ti prometterò una cosa, Dio mio, una bazzecola: eviterò di accollare a questa giornata il peso delle angosce che mi ispira il futuro, anche se tutto ciò richiede un certo esercizio. (…) La sola cosa che conta: un po’ di te in noi, Dio mio”, scrive il 12 luglio 1942.

Molto ancora si potrebbe dire di Etty Hillesum e p. Yves Bériault ce ne parla con delicatezza ma anche con passione e senza remore per tutte quelle ambiguità che anche Etty portava con se e che possono essere capite solo se si guarda all’intera personalità e alla fede profonda di questa donna. Ci piace concludere ricordando quanto Etty sia riuscita, malgrado tutto, a perdonare e a pregare anche per coloro che stavano massacrando un intero popolo. “Non riesco a odiare gli uomini”, scrive infatti il 27 febbraio del 1942. Questo le è possibile perché, come scrive p. Bériault “Etty ha l’intuizione di un Dio che prega l’uomo nello stesso modo in cui l’uomo prega Dio e che lo accompagna nel suo percorso terreno, facendo sì che la libertà e i talenti che gli ha riservato si dispieghino nell’incontro con il mondo che gli ha affidato.”

Etty, rientrando a casa in bicicletta la sera del 25 novembre 1941, fa una promessa a Dio che manterrà per tutta la vita che le è stata donata: “Dovunque io sia, cercherò di irradiare un po’ di amore, di quel vero amore del prossimo che è dentro di me.”


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa