lunedì, gennaio 27, 2014
Il Nepal con la sua cultura millenaria e la natura dai profondi contrasti è il paese delle meraviglie e al contempo della povertà assoluta. 

di Simona Santullo

Il Nepal è una terra di panorami straordinari e antichi templi, percorsa dai sentieri più belli del mondo, da foreste pluviali, delle pianure del Terai, al parco nazionale reale di Bardia, al grande Himalaya fino all’altopiano tibetano. È un luogo ricco di storia, di antiche città, di bellissimi monasteri buddhisti di panorami mozzafiato, sovrastati dalla solennità e dallo splendore della catena Himalayana.

Il Nepal però è anche e soprattutto povertà, sofferenza e fatica per gli abitanti del luogo per riuscire a sfamare la bocca dei propri figli e la propria. A oggi, in Nepal esiste ancora maltrattamento e violenza tra le strade sconosciute di sassi e polvere. Tra quelle strade abita tanta miseria e povertà; c’è l’abbandono tra gli ospedali e nelle strade e c’è ancora l’emarginazione di numerose donne ripudiate che, con i propri figli, si ritrovano in balia di un destino faticoso da affrontare e difficile da cambiare. È sicuramente uno dei paesi più poveri dell’Asia, con un 31% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà, con una differenza sproporzionata tra le fasce più ricchi e le fasce più povere della popolazione, il tutto aggravato da anni di disordini politici e sociali. Le difficili condizioni economiche e sociali e quelle in cui si trovano la maggior parte della popolazione più povera, ma anche la semplice mancanza di opportunità e scelte necessarie per lo sviluppo umano, come vivere una vita lunga e sana, con un livello di vita per lo meno degno, avere autostima e rispetto degli altri e delle cose cui le persone danno importanza, qualità e valore durante la loro vita, fanno si che ogni anno, un numero elevatissimo di nepalesi siano costretti a recarsi in altri paesi attraverso sistemi illegali, per fuggire da questa condizione di assoluta miseria e povertà.

Emigrazione Endemica dal Nepal

I flussi migratori provenienti dal Nepal e che si dirigono principalmente in Arabia Saudita, Quatar, Malaysia, Emirati Arabi, Kuwait, Bahrein e Corea s’intensificano sempre più, accompagnati dalla speranza di trovare un lavoro che permetta di migliorare le condizioni di vita dei familiari che hanno lasciato a casa.

In questi paesi i migranti sono sfruttati nei settori dell’industria e dell’edilizia, oppure sono occupati nel settore domestico o di assistenza delle persone accettando salari molto ridotti.

Le statistiche ufficiali dimostrano che il numero dei lavoratori nepalesi residenti all’estero si aggira attorno ai tre milioni, ma se si considerano anche tutti gli immigrati irregolari, la cifra sale vertiginosamente.

I lavoratori migranti nepalesi sono una grande risorsa per il Nepal che grazie alle loro rimesse riescono a far fronte alla crisi economica. Circa il 24% delle entrate dello Stato è frutto delle rimesse che solo nel 2012 sono ammontate a circa 3,2 miliardi di euro.

Il denaro inviato in patria contribuisce allo sviluppo delle famiglie e dello stesso Paese. Nonostante quindi le rimesse dall’estero siano una delle maggiori fonti di profitto per il Nepal, i problemi e le difficoltà che tormentano i lavoratori continuano a essere ignorati dallo Strato stesso, come continua a essere, ignorato che quel denaro tanto importante sia la conseguenza diretta di lavori al limite della schiavitù, poiché spesso molti giovani emigrati perdono la vita nei Paesi ospitanti.

Una recente ricerca condotta dal ministero nepalese degli Esteri in collaborazione con Foreing Employment Board states ha rilevato che dal 2000 fino ad oggi più di 7.500 giovani lavoratori migranti nepalesi sono morti a causa dello sfruttamento e del maltrattamento sul lavoro (ovviamente la cifra è quella che risulta dai dati ufficiali). La maggior parte delle vittime lavorava in paesi islamici. Sempre secondo lo stesso rapporto, negli ultimi tre mesi del 2013 sono stati registrati 65 decessi. Sebbene queste morti siano registrate dalle autorità saudite come “morti naturali”, sono sempre più frequenti le dichiarazioni che le collegherebbero invece ad attività lavorative disumane, rese ancora più gravi dalla pratica, molto frequente fra i datori di lavoro, di sequestrare il passaporto dei propri dipendenti, tenendoli in questo modo sotto incessante minaccia persecutoria.

I lavoratori diventano in questo caso dei veri e propri schiavi, perché non possono licenziarsi, non possono muoversi liberamente e non possono lasciare il paese senza l’autorizzazione del loro padrone.

Il meccanismo per schiavizzare gli operai si chiama kafala. I lavoratori sono legati al loro datore di lavoro, che deve accordare l'autorizzazione per farli rientrare nel loro paese, per di più, date le condizioni di estrema povertà in cui vivono, sono costretti ad accettare qualsiasi tipo di condizione di lavoro, pur di guadagnare un po' di soldi da inviare alle proprie famiglie.

Il direttore generale del Dipartimento per l’impiego all’estero (DOFE) sottolinea che la maggior parte delle morti, poteva essere evitata se solo ci fosse stata più informazione sui rischi che si corrono in certi Paesi, soprattutto quelli del Golfo Persico.

A differenza di Stati come le Filippine, infatti, dove crescono agenzie di collocamento in Paesi esteri, in Nepal la popolazione preferisce partire con visto turistico e cercare lavoro sul posto tramite parenti e amici. Questo modo di agire però, impedisce allo Stato di tutelare i propri cittadini in caso d’incidenti in un Paese straniero, ampliando notevolmente la percentuale d’immigrazione clandestina e il commercio criminale del traffico di esseri umani.

Nepal e povertà

La fame e denutrizione sono le cause della povertà, dell'analfabetismo e degli alti tassi di mortalità in molti paesi del mondo in via di sviluppo e i progressi fatti per dimezzare il numero di persone che soffrono la fame in questi Paesi sono molto lenti e la comunità internazionale è ancora lontana dal raggiungere gli obiettivi e gli impegni assunti al Vertice Mondiale dell’Alimentazione e degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio entro il 2015. In questo settore purtroppo le cose vanno avanti a piccolissimi passi, e molte sono le cose che devono essere ancora fatte.

La riduzione della fame dovrebbe diventare la forza trainante e la causa prima del progresso e della speranza. Povertà e fame sono un affronto alla dignità umana, subirle, o accettarle con rassegnazione sono una violazione dei diritti umani, combatterle per sconfiggerle un dovere morale, un impegno e un obbligo verso ogni essere umano.

Affinché il Nepal possa crescere e migliorare su un cammino di pace, di stabilità e di benessere, incoraggiando quindi l’autonoma crescita istituzionale e culturale, delle popolazioni più povere al fine di promuovere i diritti umani, combattere la povertà e l’ingiusta distribuzione della ricchezza, muoversi per la divulgazione, per il rispetto e per la tutela dei diritti umani, incoraggiare il miglioramento delle condizioni di vita nei paesi in via di sviluppo e per la diffusione della pace, della solidarietà e dello sviluppo sostenibile in termini ambientali e sociali è necessario l’aiuto economico e sociale e politico di tutti i paesi internazionali.

Questo è il Nepal: un insieme di colori, di rumori, di cose, di emozioni, realtà, contraddizioni e problemi che non lasciano indifferenti e per i quali, da qualche tempo ormai, fortunatamente, numerose organizzazioni nazionali e internazionali si sentono chiamate a rispondere.

La Fondazione Fratelli Dimenticati Onlus

Un grande aiuto arriva sicuramente dalla Fondazione Fratelli Dimenticati ONLUS (www.fratellidimenticati.it) In Nepal la fondazione gestisce tre centri di accoglienza nei villaggi di Biratnagar, Bharawal e Chakargati descritti alla pagina www.fratellidimenticati.it/progetti/nepal/ Questi centri si occupano della gestione dei ragazzi di strada e grazie al sostegno a distanza tramite la Fondazione Fratelli Dimenticati riesce ad assicurare ai tanti ragazzi ospiti nei vari istituti l’istruzione scolastica, l’assistenza medica, l’acqua potabile, dei pasti caldi, il materiale scolastico e tutto il necessario alla loro vita all’interno delle strutture.

A Madre Teresa di Calcutta tanto tempo fa, fu chiesto di presiedere una grande conferenza sulla fame nel mondo: lei accettò a una sola condizione; tutti quelli che avrebbero dovuto prendervi parte, avrebbero dovuto digiunare per tre giorni prima della conferenza, in modo da poter “sentire” di che cosa si stesse parlando. La conferenza non ebbe mai luogo...


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