giovedì, agosto 08, 2013
Immediatamente, se ne acccorgono. I nostri giovani che sbarcano a Londra – purtroppo sempre più numerosi in questi ultimi tempi - la avvertono già dai primi passi. La sensazione di aver cambiato mondo. In bocca, un’espressione ormai usuale: “Ma qui tutto funziona!”…

del nostro corrispondente Renato Zilio

È vero, far girare una metropoli di otto milioni di abitanti con una efficacia straordinaria di mezzi pubblici - bus rossi e metro - sa di miracolo! Soprattutto, se si proviene da un mondo dove nulla cambia o tutto è complicato. Dove tutto un sistema si “barcamena” per sopravvivere... Barcamenarsi: sì, è proprio “la barca” la loro scoperta più grande, qui. Non tanto per le molte parole che in inglese imparano ad usare con la finale ship (barca): friendship, leadership, hardship, ownship... Tantissime. Non solo per la passione per il mare e per le terre lontane che ogni inglese coltiva nel cuore e nella mente da secoli. O per l’eccedenza nell’alcool, unico spazio di libertà per chi rimane in mare per mesi chiuso in un’imbarcazione. Scoprono, invece, che “ship” è la figura mentale dell’inconscio collettivo. Ricorrente forma mentis della cultura inglese.

Così, appena questi nostri giovani vengono presi da un ristorante, un’università o un’impresa qualsiasi percepiscono di trovarsi precisamente in una ship. Una realtà dinamica, che senza paura naviga in mezzo alle difficoltà. Con un obiettivo preciso, un team multiculturale e saldo come su una barca, la responsabilità di ognuno e il bene comune. Quasi sembra di sentire l’ammiraglio Nelson urlare ai suoi nella sua ultima vittoria a Trafalgar:“England expects that every man will do his duty!" (“L’Inghilterra si aspetta che ognuno faccia il suo dovere!”). Qui, se si vale si viene premiati. Senza dubbio. Se invece si è una zavorra, cortesemente ci si sente dire: “Dear, lunedì prossimo ci diciamo goodbye!”.

I pesi morti non si tengono a bordo. È il principio della meritocrazia. Precisamente per questo per un inglese la nostra patria resterà sempre un rebus incomprensibile. Dove incompetenza, raccomandazioni, illegalità, arrangiamenti anche recentissimi sono moneta corrente e farebbero affondare qualsiasi barca. Solo noi non ci preoccupiamo affatto! «In una terra di fuggiaschi, di fuggitivi, colui che cammina nella direzione contraria, sembra che stia fuggendo» ricorda Thomas Stearns Eliot. Questi giovani italiani a Londra capiscono, infatti, di fuggire da un mondo dove trionfa il feudo. Il territorio chiuso, ben definito, in mano a un signore. Questa è la nostra forma mentis. Figura metaforica che si ritrova in tante situazioni o istituzioni nei suoi tre elementi tipici e costitutivi: un feudo, un signore e un rapporto verticale, con diritto di vita o di morte. Una realtà statica dal soffocante senso di appartenenza. Ai nostri giorni, la più grande sfida sarà superare questo feudalesimo strisciante in cui si è immersi quotidianamente. Perfino lo stato può diventare un signore feudale, che decreta la fine dei suoi creditori, pagandoli troppo tardi. O un professore universitario, un manager, un politico... Anche i partiti possono assumere da noi questo antico profilo di feudo nelle mani del suo signore.

Ma oggi la più bella icona di chi ha superato questo spirito feudale è proprio Papa Francesco. Non si perde in giochi di potere come i potenti della nostra patria. Ma vive di servizio. Il leader non è un signore feudale. Ma colui che fa scaturire le energie, la speranza, le forze nascoste in tutti. A cominciare dagli ultimi. I giovani. I migranti. Per questo Lampedusa e Rio restano con lui due momenti indimenticabili. Le due capitali del mondo di domani.


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