Il correttivo a questo problema sta nella capacità di sintonizzarsi con la mente e con il cuore con coloro che sono nel disagio, rimanendo però distanti nella relazione per non stressarsi
di Carlo Mafera
In un recente articolo su Zenit, l’Associazione Moby Dick, che si occupa della formazione permanente in ambito sanitario, ha affrontato il tema del burnout. È un fenomeno non del tutto conosciuto ai più ma che riveste un’importanza decisiva nella preparazione degli operatori sanitari e di chi si occupa di volontariato in generale. I Camilliani hanno una grande esperienza nel campo della pastorale sanitaria e in particolare un loro sacerdote, Luciano Sandrini, si è occupato di questo processo stressogeno che investe gli operatori sanitari. Egli ha messo in evidenza, in una conferenza dal titolo “Aver cura dell’anziano malato. Come evitare il burnout. La resilienza che aiuta a crescere”, che la dedizione agli altri e la cura di sé vanno di pari passo. Ha invitato infatti a liberarsi dal condizionamento culturale che si continua a dare alla cura di sé, cioè che l’attenzione che si dà a se stessi è sinonimo di egoismo. Non ha tralasciato il richiamo alla Sacra Scrittura: “C’è un momento per ogni cosa, il tempo per ogni faccenda sotto il cielo” (Qo 3,1). C’è, quindi, un tempo per gli altri e un tempo per sé. Ricordando il buon comportamento pro-sociale dell’operatore sanitario, la capacità di sintonizzarsi con la mente e con il cuore con coloro che sono nel disagio, con ciò che stanno vivendo, ma rimanendo distanti nella relazione per non stressarsi e non entrare nella situazione di burnout”.
Infatti Burnout è il “non farcela più”, l’insoddisfazione e l’irritazione quotidiana, la prostrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori, in particolare di quelli che svolgono le professioni che si occupano di aiutare gli altri, ossia di attività nelle quali il rapporto con il paziente ha un’importanza fondamentale in termini di significato e di lavoro in sé. Tutte le professioni socio-assistenziali implicano un intenso coinvolgimento emotivo: l’interazione tra operatore socio-sanitario ed utente è centrata sui problemi di quest’ultimo (psicologici, sociali o fisici) ed è, perciò, spesso gravata da sensazioni d’ansia, imbarazzo, paura o disperazione. Poiché non sempre la soluzione dei problemi del paziente è semplice o facilmente ottenibile, la situazione diventa ancora più ambigua e frustrante e lo stress cronico può logorare emotivamente l’operatore e condurlo al burnout. L’esaurimento emozionale deriva dall’eccessivo coinvolgimento nel rapporto con l’altro, senza la possibilità di elaborazione dei propri vissuti coscienziali. Ciò porta ad una eccessiva identificazione con i bisogni e le sofferenze altrui a tal punto da divenire insostenibili.
Il risultato è una sensazione di stanchezza, sfinimento, deprivazione di risorse; ne consegue che la relazione interpersonale diventa un peso insostenibile. Tale situazione può rendere paradossalmente il rapporto interpersonale sempre più distaccato. Infatti l’operatore non riesce più ad essere a servizio dell’altro; cerca di difendersi dalle emozioni e nello stesso tempo non deve colpevolizzarsi. Il risultato è un atteggiamento freddo ed impersonale. Questo distacco è una “difesa psicologica” da parte dell’aiutante: quando ci si sente troppo invasi dal dolore dell’altro si finisce col cadere nella situazione diametralmente opposta, quella del ritiro emotivo, del distacco anestetico.
Questo insieme di cose porta ad una incompleta realizzazione di sé, cioè ad una scarsissima considerazione delle proprie capacità, che può culminare in un “auto-verdetto di fallimento”: non ci si sente in errore, in quanto eccessivamente difesi, cioè distanti nel rapporto con l’altro, ma incapaci, inadatti al compito.
La sindrome del burnout nel personale della sanità, considerato anche la rilevanza sociale del fenomeno, sta riscontrando un notevole interesse da parte della letteratura psicologica e psichiatrica. Gli effetti dello stress lavorativo sulle condizioni di salute dell’operatore sanitario ed i conseguenti rischi di burnout coinvolgono numerosi fattori che si sviluppano diversamente in ogni individuo e/o in ciascuna categoria professionale. L’azione patogena degli stressors protratti nel tempo, argomento su cui è ormai disponibile una ampia casistica sperimentale e clinica, anche se originariamente ristretti all’ambito lavorativo, può determinare reazioni non adattive che si estendono alla sfera extralavorativa fino a favorire l’insorgenza di quadri nevrotici o depressivi.
di Carlo Mafera
In un recente articolo su Zenit, l’Associazione Moby Dick, che si occupa della formazione permanente in ambito sanitario, ha affrontato il tema del burnout. È un fenomeno non del tutto conosciuto ai più ma che riveste un’importanza decisiva nella preparazione degli operatori sanitari e di chi si occupa di volontariato in generale. I Camilliani hanno una grande esperienza nel campo della pastorale sanitaria e in particolare un loro sacerdote, Luciano Sandrini, si è occupato di questo processo stressogeno che investe gli operatori sanitari. Egli ha messo in evidenza, in una conferenza dal titolo “Aver cura dell’anziano malato. Come evitare il burnout. La resilienza che aiuta a crescere”, che la dedizione agli altri e la cura di sé vanno di pari passo. Ha invitato infatti a liberarsi dal condizionamento culturale che si continua a dare alla cura di sé, cioè che l’attenzione che si dà a se stessi è sinonimo di egoismo. Non ha tralasciato il richiamo alla Sacra Scrittura: “C’è un momento per ogni cosa, il tempo per ogni faccenda sotto il cielo” (Qo 3,1). C’è, quindi, un tempo per gli altri e un tempo per sé. Ricordando il buon comportamento pro-sociale dell’operatore sanitario, la capacità di sintonizzarsi con la mente e con il cuore con coloro che sono nel disagio, con ciò che stanno vivendo, ma rimanendo distanti nella relazione per non stressarsi e non entrare nella situazione di burnout”.
Infatti Burnout è il “non farcela più”, l’insoddisfazione e l’irritazione quotidiana, la prostrazione e lo svuotamento, il senso di delusione e di impotenza di molti lavoratori, in particolare di quelli che svolgono le professioni che si occupano di aiutare gli altri, ossia di attività nelle quali il rapporto con il paziente ha un’importanza fondamentale in termini di significato e di lavoro in sé. Tutte le professioni socio-assistenziali implicano un intenso coinvolgimento emotivo: l’interazione tra operatore socio-sanitario ed utente è centrata sui problemi di quest’ultimo (psicologici, sociali o fisici) ed è, perciò, spesso gravata da sensazioni d’ansia, imbarazzo, paura o disperazione. Poiché non sempre la soluzione dei problemi del paziente è semplice o facilmente ottenibile, la situazione diventa ancora più ambigua e frustrante e lo stress cronico può logorare emotivamente l’operatore e condurlo al burnout. L’esaurimento emozionale deriva dall’eccessivo coinvolgimento nel rapporto con l’altro, senza la possibilità di elaborazione dei propri vissuti coscienziali. Ciò porta ad una eccessiva identificazione con i bisogni e le sofferenze altrui a tal punto da divenire insostenibili.
Il risultato è una sensazione di stanchezza, sfinimento, deprivazione di risorse; ne consegue che la relazione interpersonale diventa un peso insostenibile. Tale situazione può rendere paradossalmente il rapporto interpersonale sempre più distaccato. Infatti l’operatore non riesce più ad essere a servizio dell’altro; cerca di difendersi dalle emozioni e nello stesso tempo non deve colpevolizzarsi. Il risultato è un atteggiamento freddo ed impersonale. Questo distacco è una “difesa psicologica” da parte dell’aiutante: quando ci si sente troppo invasi dal dolore dell’altro si finisce col cadere nella situazione diametralmente opposta, quella del ritiro emotivo, del distacco anestetico.
Questo insieme di cose porta ad una incompleta realizzazione di sé, cioè ad una scarsissima considerazione delle proprie capacità, che può culminare in un “auto-verdetto di fallimento”: non ci si sente in errore, in quanto eccessivamente difesi, cioè distanti nel rapporto con l’altro, ma incapaci, inadatti al compito.
La sindrome del burnout nel personale della sanità, considerato anche la rilevanza sociale del fenomeno, sta riscontrando un notevole interesse da parte della letteratura psicologica e psichiatrica. Gli effetti dello stress lavorativo sulle condizioni di salute dell’operatore sanitario ed i conseguenti rischi di burnout coinvolgono numerosi fattori che si sviluppano diversamente in ogni individuo e/o in ciascuna categoria professionale. L’azione patogena degli stressors protratti nel tempo, argomento su cui è ormai disponibile una ampia casistica sperimentale e clinica, anche se originariamente ristretti all’ambito lavorativo, può determinare reazioni non adattive che si estendono alla sfera extralavorativa fino a favorire l’insorgenza di quadri nevrotici o depressivi.
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