giovedì, febbraio 07, 2013
Due giorni in una metropoli asiatica scoprendo umanità, religiosita e povertà di un popolo

di Renato Zilio

All’aeroporto di Manila mi viene incontro, sorridendo. “Tieni!” mi fa. È un grande casco da moto. È la prima sorpresa: farmi coraggio, stringermi all’altro, sfrecciare in un continuo slalom tra vetture e traffico indiavolato. Padre Mariano Cisco conduce la moto con un fare disinvolto e sbarazzino, degno di un diciottenne. È il rettore della teologia. Durante la settimana insegna all’università dei Gesuiti, la più grande di Manila, l’aplomb e la serietà non gli mancano. Ma qui in mezzo al traffico intasatissimo di una metropoli di 12 milioni sa cambiare personaggio. Sembra un angelo che cammina tra le fiamme dell’inferno. Nero inferno è il colore del gas che esce da migliaia di tubi di scappamento. L’inquinamento è emergenza grave. Visitare Manila in moto è, però, un’impresa tremenda, coraggiosa, fluidissima!

“Le style c’est l’homme” si dice. Per un missionario scalabriniano è questo “spirito sportivo” che lo caratterizza ovunque. Adattabilità, spirito di relativizzazione e polivalenza fanno parte del suo stesso DNA. Tantissimi lo ammirano, altri ce lo invidiano. Ed è ancora una sorpresa ritrovarlo qui in Estremo Oriente.

Le case scalabriniane nella vastissima Manila sono varie: tre case di formazione, un Centro Studi, un Centro di accoglienza per migranti. Alla casa dei teologi mi imbatto subito in un grande ritratto di Giovanni Battista Scalabrini... “Chi è?”, chiedo. “Our father!” risponde sicuro un giovane studente vietnamita. Mi commuove, allora, vedere un vescovo italiano dai delicati tratti comaschi avere dei figli proprio qui a migliaia di chilometri. Al mattino presto li vedi poi pregare in una lunghissima prece corale: chiudono gli occhi e lo pregano insieme a voce alta. Noi invece dovremmo avere sempre in mano un libro. Loro, lo amano a occhi chiusi...

“Do you love me?”. Nella cappella, accanto al tabernacolo vi è disegnato un grande cuore rosso e un semplice interrogativo. È il tema dell’anno, mi soffia uno studente di teologia. Ed è una domanda che va dritta al cuore per dei giovani, all’essenziale: “Mi ami?”. Mentre i canti della celebrazione si alternano con disinvoltura: un allegro Mari Kita indonesiano all’entrata, poi un dolcissimo Dong Len Chua vietnamita e un locale Pananagutas in tagalog. Con il canto semplicemente ti sembra di fare il giro del mondo. Questa casa non è una normale casa di studenti vietanamiti, filippini e indonesiani. È, in realtà, un laboratorio di riconciliazione dell’umanità. Un vero spazio di umanizzazione per un mondo diviso in culture o lingue differenti. Questi giovani di tre nazioni differenti imparano a condividere tutto: i pasti, la camera da letto, lo studio, il loisir, la preghiera, la passione e l’avvenire. Un grande segreto, per diventare domani uomini di comunione. E una bella sorpresa.

Una serata insieme a loro si svolge in un clima di simpatia e curiosità, quasi come in un quiz. Di chi la celebre frase “Sono nato per nascere” e che significa per un migrante? Che cosa esprime quel proverbio africano: “Se hai la mia stessa idea sei mio fratello, se invece hai un’idea diversa sei due volte mio fratello...”? Questo scambio stimola in loro il “critical thinking”, lo spirito critico, quello che le loro tradizioni, basate piuttosto sull’autorità, non aiutano a sviluppare. Così, la memoria per loro è fortissima. Ed è ancora una sorpresa.

In moto voliamo al centro storico, spagnolesco di Manila, “intramuros” viene definita l’antica città murata degli spagnoli. Ammiriamo la cattedrale, un miracolo vivente. Distrutta sette volte, sette volte risorta: causa un terremoto, poi un typhoon, un maremoto, un incendio, una rivoluzione... infine la guerra con giapponesi e americani. Tutto sulla facciata è enumerato e datato. Altro miracolo la chiesa vicino del Black Nazarene, un Cristo nero portato dal Messico, bruciato e annerito nella nave che lo trasportava: sa raccogliere un popolo di milioni di persone in processione. Come il Santo Niño a Cebu, un miracoloso Gesù bambino dei tempi di Magellano, vestito da re, divenuto patrono delle Filippine. Religiosità venute dalla lontanissima Spagna hanno saputo incendiare come un corpo solo un popolo dolce, umile, organizzato e compatto. Anche questo vi sorprende.

Infine, una visita al cimitero cinese. Cimitero vastissimo, monumentale, volti e scritte in cinese degli ultimi centocinquant’anni. Dimostra la potente presenza della comunità cinese. Da sempre. Fatti pochi passi, però... vi passa accanto un gruppo di anatre e due galline come in un cortile di casa, vedete biancheria stesa ad asciugare sui cancelletti di alcune tombe a cappella, un’allegra frotta di bambini selvatici vi appare d’improvviso davanti, più in là una radio accesa trattiene un crocchio di persone che parlottano tra loro... scene di vita normale. Vivono qui. Nel cimitero hanno stabile dimora centinaia di persone senza casa (nella foto). Miseria e povertà. Perfino un cimitero qui è preso d’assalto per essere luogo quotidiano di vita. Ed è l’ultima sorpresa di un mondo lontano.

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