Il regista Joe Wright offre una nuova versione dell’imponente romanzo di Tolstoj, scegliendo una dimensione teatrale. Jude Law, irriconoscibile, nei panni di Karenin, marito tradito di Anna.
Protagonisti i forti sentimenti capaci di rendere moderna una storia ambientata nell’800.
Bisogna dare atto a Joe Wright di aver tentato un nuovo approccio in questa ennesima trasposizione cinematografica di “Anna Karenina”. Quando una storia è già tanto conosciuta, quando sono almeno una decina i film tratti dal romanzo, senza contare le serie televisive, ovvio che si debbano necessariamente trovare altre strade, nuovi modi di raccontare. Per questa epica storia d’amore il regista Joe Wright sceglie un adattamento piuttosto coraggioso e anziché girare nelle location russe più simili a quelle descritte da Tolstoj, preferisce ambientare il film in un teatro: tutto è racchiuso in un palcoscenico, in continuo movimento, che si apre e si trasforma. In un attimo si passa dal palco alla strada, dal salotto alla stazione dei treni. E incredibilmente, il contesto teatrale non nuoce alla scena, anzi la rende più fluida, più cinematografica che mai (vedi clip). La macchina si muove con grande maestria, scivola sui corpi, entra ed esce dalle singole storie regalando continuità, quasi fosse un lunghissimo piano sequenza.
La storia è nota: Anna (Keira Knightley) è sposata con un funzionario governativo di alto rango, Karenin (Jude Law), vivono a san Pietroburgo e hanno un figlio. Quando conosce il conte Vronsky (Aaron Taylor-Johnson) tra i due scoppia subito la scintilla. Lei si innamora quasi a prima vista e decide di fuggire, tornando a casa, nella speranza di soffocare il sentimento. Ma l’affascinante ufficiale di cavalleria la segue e Anna non esita ad abbandonare il tetto coniugale provocando una scandalo che sarà l’anticamera della sua rovina.
Benché le convenzioni dell’epoca rischino di datare troppo il racconto, in realtà la critica è sempre stata unanime nel considerare il romanzo di “Anna Karenina” una storia senza tempo. E il regista gli rende omaggio confezionando un film che punta a sentimenti eterni: passione, rabbia, gelosia, dolore. Poco importa quale è la causa, è la reazione dei protagonisti a rendere la storia moderna.
Non è la prima volta che Wright si cimenta con capolavori del passato, da “Orgoglio e pregiudizio” a “Espiazione” : è evidente che nutre una certa predilezione per il genere. E, a onor del vero, è riuscito più volte là dove molti avevano fallito. Le sue scelte possono piacere oppure no ma, almeno in questo caso, il film risulta coinvolgente.
Tuttavia lascia perplessi la velocità con cui Anna passa dal suo momento più alto, l’innamoramento e la fuga con Vronsky, a quello della disperazione. Mancano alcuni passaggi. La sua gelosia cresce troppo all’improvviso, il cambiamento del rapporto tra i due amanti sembra avvenire solo dopo un’uscita pubblica che si rivelerà piuttosto drammatica per Anna. Un po’ poco per giustificare un atto disperato come il suicidio.
Joe Wright e lo sceneggiatore Tom Stoppard (Oscar per la sceneggiatura di “Shakespeare in love”) hanno però il merito di aver dato spazio anche alle altre storie. I precedenti adattamenti erano concentrati prevalentemente su Anna e il suo fatale amore con Vronsky. Qui si intrecciano altre storie, quelle di Kitty e Levin, di Dolly e Stiva, il fratello di Anna: diversi tipi di sentimento, tutti accomunati però da un’identica forza, capace di capovolgere il corso della vita.
In particolare la vicenda di Costia Levin e di Kitty è quasi l’antitesi di quella di Anna e Vronsky. Levin ama una donna, vuole sposarla con tutto se stesso, anche se teme che la convivenza potrebbe rivelarsi difficile: lei è giovane e bellissima, conduce una vita alla moda e, inizialmente, era innamorata di Vronsky. Ma il matrimonio e l’amore di Levin faranno emergere la sua vera anima, trasformando un legame convenzionale in un’unione profonda. Il contrario di quello che accade ad Anna quando si innamora di Vronsky: all’inizio tutto appare possibile, con l’amore in grado di superare ogni barriera; poi le difficoltà cominciano a minare il rapporto fino a sgretolare tutto.
E il passaggio da una storia all’altra, non è mai brusco, in un’ideale intreccio di sentimenti.
Menzione speciale agli interpreti: finalmente Keira Knightley (che qui si misura nello stesso ruolo che fu di Greta Garbo!) recita senza ossessionarci con le smorfie e le faccette che, ultimamente, abbondano un po’ troppo nei suoi film. Ed è un peccato perché Keira è brava oltre che bella, e ha uno sguardo così penetrante che quando lasci la sala i suoi occhi continuano a guardarti ancora per qualche ora. Con “Anna Karenina” ha fatto un notevole passo avanti e nei prossimi 10 anni potrebbe regalarci ruoli memorabili. A patto che riesca a recitare senza le sue smorfie.
Jude Law è praticamente irriconoscibile nei panni di Karenin: sappiamo che è lui perché lo abbiamo letto, ma è difficile ritrovare il fascinoso Dickie de “Il talento di Mr. Repley”, in quest’uomo compassato e spento. Bravo, anche se a volte, poco espressivo.
Giudizio contrastato per Aaron Taylor-Johnson: saranno stati i capelli biondo platino ma, nell’insieme, la sua figura risulta poco sexy. Il conte Vronsky dovrebbe essere più sfrontato e meno riflessivo. Ci sono momenti in cui Anna sembra una donna matura e lui un giovane soldato in libera uscita. Certo è belloccio, ma manca completamente il carattere: colpa un po’ dell’attore, un po’ della sceneggiatura che con questo personaggio si è fermata in superficie.
Il film è candidato a 4 premi Oscar: migliore scenografia, migliori costumi, migliore fotografia e migliore colonna sonora originale composta dall’italiano Dario Marianelli. Tutte e quattro le nominations sono meritatissime, in particolare quella per la scenografia, davvero innovativa e quasi magica. Candidature che già indicano una grande capacità di coinvolgere i sensi.
Ogni volta, di fronte a storie famose riportate sul grande schermo, ci si chiede: perché questa operazione remake? Era davvero necessaria? Necessaria no, ma si tratta di un film innovativo, di grande impatto visivo, capace, in alcuni passaggi, di far riflettere e di commuovere (guarda il trailer).
Protagonisti i forti sentimenti capaci di rendere moderna una storia ambientata nell’800.
Bisogna dare atto a Joe Wright di aver tentato un nuovo approccio in questa ennesima trasposizione cinematografica di “Anna Karenina”. Quando una storia è già tanto conosciuta, quando sono almeno una decina i film tratti dal romanzo, senza contare le serie televisive, ovvio che si debbano necessariamente trovare altre strade, nuovi modi di raccontare. Per questa epica storia d’amore il regista Joe Wright sceglie un adattamento piuttosto coraggioso e anziché girare nelle location russe più simili a quelle descritte da Tolstoj, preferisce ambientare il film in un teatro: tutto è racchiuso in un palcoscenico, in continuo movimento, che si apre e si trasforma. In un attimo si passa dal palco alla strada, dal salotto alla stazione dei treni. E incredibilmente, il contesto teatrale non nuoce alla scena, anzi la rende più fluida, più cinematografica che mai (vedi clip). La macchina si muove con grande maestria, scivola sui corpi, entra ed esce dalle singole storie regalando continuità, quasi fosse un lunghissimo piano sequenza.
La storia è nota: Anna (Keira Knightley) è sposata con un funzionario governativo di alto rango, Karenin (Jude Law), vivono a san Pietroburgo e hanno un figlio. Quando conosce il conte Vronsky (Aaron Taylor-Johnson) tra i due scoppia subito la scintilla. Lei si innamora quasi a prima vista e decide di fuggire, tornando a casa, nella speranza di soffocare il sentimento. Ma l’affascinante ufficiale di cavalleria la segue e Anna non esita ad abbandonare il tetto coniugale provocando una scandalo che sarà l’anticamera della sua rovina.
Benché le convenzioni dell’epoca rischino di datare troppo il racconto, in realtà la critica è sempre stata unanime nel considerare il romanzo di “Anna Karenina” una storia senza tempo. E il regista gli rende omaggio confezionando un film che punta a sentimenti eterni: passione, rabbia, gelosia, dolore. Poco importa quale è la causa, è la reazione dei protagonisti a rendere la storia moderna.
Non è la prima volta che Wright si cimenta con capolavori del passato, da “Orgoglio e pregiudizio” a “Espiazione” : è evidente che nutre una certa predilezione per il genere. E, a onor del vero, è riuscito più volte là dove molti avevano fallito. Le sue scelte possono piacere oppure no ma, almeno in questo caso, il film risulta coinvolgente.
Tuttavia lascia perplessi la velocità con cui Anna passa dal suo momento più alto, l’innamoramento e la fuga con Vronsky, a quello della disperazione. Mancano alcuni passaggi. La sua gelosia cresce troppo all’improvviso, il cambiamento del rapporto tra i due amanti sembra avvenire solo dopo un’uscita pubblica che si rivelerà piuttosto drammatica per Anna. Un po’ poco per giustificare un atto disperato come il suicidio.
Joe Wright e lo sceneggiatore Tom Stoppard (Oscar per la sceneggiatura di “Shakespeare in love”) hanno però il merito di aver dato spazio anche alle altre storie. I precedenti adattamenti erano concentrati prevalentemente su Anna e il suo fatale amore con Vronsky. Qui si intrecciano altre storie, quelle di Kitty e Levin, di Dolly e Stiva, il fratello di Anna: diversi tipi di sentimento, tutti accomunati però da un’identica forza, capace di capovolgere il corso della vita.
In particolare la vicenda di Costia Levin e di Kitty è quasi l’antitesi di quella di Anna e Vronsky. Levin ama una donna, vuole sposarla con tutto se stesso, anche se teme che la convivenza potrebbe rivelarsi difficile: lei è giovane e bellissima, conduce una vita alla moda e, inizialmente, era innamorata di Vronsky. Ma il matrimonio e l’amore di Levin faranno emergere la sua vera anima, trasformando un legame convenzionale in un’unione profonda. Il contrario di quello che accade ad Anna quando si innamora di Vronsky: all’inizio tutto appare possibile, con l’amore in grado di superare ogni barriera; poi le difficoltà cominciano a minare il rapporto fino a sgretolare tutto.
E il passaggio da una storia all’altra, non è mai brusco, in un’ideale intreccio di sentimenti.
Menzione speciale agli interpreti: finalmente Keira Knightley (che qui si misura nello stesso ruolo che fu di Greta Garbo!) recita senza ossessionarci con le smorfie e le faccette che, ultimamente, abbondano un po’ troppo nei suoi film. Ed è un peccato perché Keira è brava oltre che bella, e ha uno sguardo così penetrante che quando lasci la sala i suoi occhi continuano a guardarti ancora per qualche ora. Con “Anna Karenina” ha fatto un notevole passo avanti e nei prossimi 10 anni potrebbe regalarci ruoli memorabili. A patto che riesca a recitare senza le sue smorfie.
Jude Law è praticamente irriconoscibile nei panni di Karenin: sappiamo che è lui perché lo abbiamo letto, ma è difficile ritrovare il fascinoso Dickie de “Il talento di Mr. Repley”, in quest’uomo compassato e spento. Bravo, anche se a volte, poco espressivo.
Giudizio contrastato per Aaron Taylor-Johnson: saranno stati i capelli biondo platino ma, nell’insieme, la sua figura risulta poco sexy. Il conte Vronsky dovrebbe essere più sfrontato e meno riflessivo. Ci sono momenti in cui Anna sembra una donna matura e lui un giovane soldato in libera uscita. Certo è belloccio, ma manca completamente il carattere: colpa un po’ dell’attore, un po’ della sceneggiatura che con questo personaggio si è fermata in superficie.
Il film è candidato a 4 premi Oscar: migliore scenografia, migliori costumi, migliore fotografia e migliore colonna sonora originale composta dall’italiano Dario Marianelli. Tutte e quattro le nominations sono meritatissime, in particolare quella per la scenografia, davvero innovativa e quasi magica. Candidature che già indicano una grande capacità di coinvolgere i sensi.
Ogni volta, di fronte a storie famose riportate sul grande schermo, ci si chiede: perché questa operazione remake? Era davvero necessaria? Necessaria no, ma si tratta di un film innovativo, di grande impatto visivo, capace, in alcuni passaggi, di far riflettere e di commuovere (guarda il trailer).
Tweet |
È presente 1 commento
ho trovato molto belli i costumi ma avrei preferito scene girate in esterni nn mi è piaciuta questa innovazione di fare teatro se è un film nn vedo perchè si debba fare teatro
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.