mercoledì, febbraio 13, 2013
Dopo Celestino V, Benedetto XVI si dimette dal soglio pontificio... e le ragioni non sono molto diverse

di Mariateresa Riola

Dopo 2858 giorni di pontificato Papa Ratzinger “scende dalla barca di Pietro”, una barca forse in preda ad una tempesta troppo grande, che ha dovuto affrontare incidenti di governo e di comunicazione, l’ingombrante e imbarazzante vicenda legata agli scandali per pedofilia e l’arresto di Paolo Gabriele, il corvo che ha sottratto e diffuso documenti segretissimi della curia. Ufficialmente per motivi di salute e per il bene della Chiesa, Benedetto XVI decide di seguire le orme di Celestino V, il caso forse più emblematico di dimissioni papali, lo stesso che Dante apostrofò nel III canto dell’inferno con la celebre frase “colui che per viltade fece il gran rifiuto”. Tuttavia Paolo VI propose un’altra lettura del gesto di Celestino, che, diventato Papa nel luglio del 1294, dovette assistere, un po’ come il nostro pontefice, ad una situazione storico-politica poco felice, una contingenza che non aveva esperienza sufficiente per affrontare. Si chiamava Pietro da Morrone, nato in Molise, era un eremita. Per molti anni condusse la sua vita in un isolato monastero benedettino nei pressi di Benevento per poi trasferirsi, all’età di trent’anni, sul monte Morrone sopra Sulmona, che abbandonò solo per recarsi a Roma e prendere i voti da sacerdote. Quando Pietro aveva oramai ottantacinque anni, sessanta passati nel quasi totale isolamento, fu eletto papa dai cardinali, che avevano impiegato ben 27 mesi a scegliere: la scelta ricadde non casualmente su di lui, di età avanzata, destinato dunque a morire presto, poco erudito, che non conosceva il latino ed era politicamente al di sopra di ogni sospetto.

«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale»: con queste parole consacrò l’ascesa del suo successore Bonifacio VIII. E proprio per questo motivo, l’elezione di Bonifacio VIII, Dante, l’exul immeritus, serbò tanto rancore verso di lui, visto che fu proprio Benedetto Caetani, salito al soglio pontificio come Bonifacio VIII, a determinare, più o meno direttamente, l’esilio del poeta.

Effettuiamo un excursus tra le storie di altri uomini di Chiesa cui era stato affidato l'arduo compito del papato e che hanno però ceduto il passo. In epoca romana, quando i cristiani si riunivano ancora nelle catacombe di Roma, persero la carica Ponziano, Silverio e Martino I, papi dei primi secoli di storia della cristianità, che addirittura non sono considerati papi propriamente “storici” e dei quali ci sono pervenute informazioni solo dalle loro agiografie. Ma in quell’epoca il papa era solo un primus inter pares tra tutti i vescovi del mondo senza alcuna autorità civile, insomma poco più del vescovo di Roma. Secondo alcune fonti il primo papa deposto sarebbe Clemente I, di cui è difficile però ricostruire anche l’esatta collocazione temporale, parimenti per Marcellino, costretto alla rinuncia dalle persecuzioni anticristiane, secondo alcune versioni. La storia ci fornisce qualche informazione maggiore su Ponziano, il quale durante una persecuzione dei cristiani fu deportato in Sardegna e in tale circostanza si dimise per consentire alla Chiesa di continuare ad avere un capo. Anche papa Silverio fu costretto a dimettersi, obtorto collo, dall’Imperatore d’Oriente, che impose un sacerdote bizantino come vescovo di Roma, e simile fu la sorte di Martino I.

Con volo pindarico arriviamo all’anno mille, una delle epoche più convulse nella storia della Chiesa cattolica, e qui troviamo tre figure: Benedetto IX, Silvestro III e Gregorio VI. Quando Enrico III discese in Italia riunì diversi sinodi della chiesa e Benedetto IX fu dichiarato deposto e scomunicato e l’Imperatore impose un papa tedesco, ma prima di lui ci fu un altro papa dimissionario, Giovanni XVIII, che poche settimane prima di morire si ritirò in un convento e rinunciò alla carica. L’ultimo papa ad aver perso la carica è considerato Gregorio XII, visto che molti altri pontefici non furono considerati legittimi dalla Chiesa. Gregorio venne deposto, in uno dei periodi più difficili e corrotti della storia della Chiesa, che si configura tra la prima metà del 1300 e la conclusione del Grande Scisma nei primi anni del 1400.

Sono dunque storie di prigionia, compromessi, costrizioni; solo con Celestino V prima di Benedetto XVI si parla di vera e propria deposizione volontaria, ma le verità storiche, spesso apparenti, incomplete o celate, tuttavia restano espressione di un profondo malessere politico, sociale, storico. Tuttavia se la mente umana è imperscrutabile, un cuore consacrato alla fede è ancor più oscuro, perciò appare pretenziosa quanto insulsa la presunzione di poter cogliere aspetti reconditi di un gesto così estremo, fatto da pochi (e diversi fra loro) uomini di fede. L’unica certezza è che, volente o nolente, Benedetto XVI ha scritto una nuova pagina della storia della Chiesa, nonostante la pesante eredità a cui stato destinato: lui stesso non l’ha mai negato, e anzi si è presentato a noi come successore di Giovanni Paolo II. Ora forse sarà più opportuno ricordarlo alla maniera in cui lui stesso ha amato definirsi: “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”.

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