sabato, gennaio 19, 2013
È in corso la realizzazione di uno spettacolo-documentario che si sofferma sulle testimonianze della popolazione femminile che vive intorno al più grande polo siderurgico d’Europa

di Paola Bisconti

A Taranto, un tempo capitale della Magna Grecia, si respira un’aria inquinata, l’odore acre dei fumi tossici si sprigiona violentemente su tutta la città e il colore ruggine predomina ovunque. Qui l’azienda nata come Italsider oggi è un mostro che uccide e distrugge uomini, donne, bambini. Tutto sarebbe potuto essere diverso se solo fossero state effettuate scelte imprenditoriali più responsabili, tali da salvaguardare un’intera popolazione che senza l’Ilva non potrebbe più vivere perché offre loro un impiego, ma che a causa di essa muore. Il diritto al lavoro è importante tanto quanto quello alla salute e al rispetto dell’ambiente, ecco perché l’attrice Roberta Natalini, il giornalista Maurizio Distante, la video-maker Silvana Padula e il fotografo Daniele D’Errico hanno intrapreso un’avventura nell’universo femminile e si stanno prodigando ad ascoltare le voci delle tante donne che vivono direttamente o indirettamente la questione legata alla grande industria. Noi de “La Perfetta Letizia” abbiamo avuto il piacere di incontrare Roberta Natalini.

D - Com’è nata l’idea del progetto?
R - Io e i miei colleghi, pur non essendo di origini tarantine, abbiamo avvertito l’esigenza di soffermarci su una questione che riguarda non solo gli abitanti della città, ma anche il resto dei cittadini. I recenti risvolti giudiziari avvenuti riguardo la possibile chiusura dell’Ilva e le conseguenti manifestazioni di protesta ci hanno fatto riflettere sul fatto che tutti siamo chiamati in causa e dobbiamo interrogati su quanto sia giusto accettare un ricatto occupazionale pagandolo poi a caro prezzo. Il disastro ambientale e l’alta incidenza tumorale fra gli abitanti di Taranto è un’emergenza da risolvere al più presto. Alle autorità spetta il compito di varare decreti e approvare giuste misure cautelari, a noi cittadini appartiene il compito di tenere sempre accesa e viva l’attenzione sul problema.

D - “Le rose d’acciaio”: perché la scelta di questo titolo per il documentario?
R - Si tratta di un’allegoria che si serve dell’immagine della rosa come simbolo della delicatezza femminile accostato all’acciaio in quanto materia prima prodotta dall’industria metallurgica. L’idea infatti è quella di dare voce a mogli, madri, figlie e fidanzate costrette a fare i conti con una drammatica realtà: assistere inermi dinanzi alla morte dei propri cari, crescere nel grembo una creatura e scoprire tragicamente che può nascere con gravi malformazioni, vivere l’incubo anche in giovane età di combattere contro malattie terminali. Le testimonianze femminili offrono una visione più umana al problema e in questa battaglia le donne risultano delle vere e proprie eroine in grado di non lasciarsi abbattere da quel mostro che si chiama Ilva. Le protagoniste dimostrano la forza di rialzarsi e di combattere unite per la difesa dei propri diritti, il rispetto della dignità e la possibilità di sognare un futuro migliore.

D - In cosa consiste più precisamente l’iniziativa?
R - Il 16 dicembre abbiamo dato il via al progetto che è ancora in corso e stiamo raccogliendo le testimonianze delle voci femminili per poi riportarle in scena a marzo nei vari teatri delle province di Taranto, Brindisi, Lecce, e ci auguriamo anche fuori dai confini regionali. Lo spettacolo si basa su dei monologhi accompagnati dalle musiche del pianista Danilo Leo. Siamo già a metà dell’opera di un percorso difficile ma entusiasmante che vedrà il suo ultimarsi con la realizzazione di un documentario dove sono raccolti i momenti salienti di questa iniziativa.

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